LETTERA APERTA ALL’ONOREVOLE ANGELO ALESSANDRI
Illustre Onorevole Angelo Alessandri
Sua Sede

Illustre Onorevole,
Insieme con l’amico Avvocato Luigi Basso di Diano Marina, abbiamo rigorosamente rispettato il termine di ben otto giorni che Ella ci aveva richiesto per esprimere una risposta – non importa se positiva o negativa – alla nostra modesta istanza.
In tale lasso di tempo, Ella si era riservato di interpellare il Suo amico “Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Vaticano”: con il quale – sempre a Suo dire – desiderava anche promuovere un mio colloquio.
Ne sarei stato naturalmente onoratissimo, ma constato con disappunto una difficoltà nei nostri contatti.
Non fidandomi della mia ormai carente memoria di persona anziana, ho consultato l’Annuario Pontificio, messo gentilmente a mia disposizione dal Reverendo Parroco di San Giovanni Battista in Oneglia.
Questo utile strumento di lavoro si trova comunque in vendita preso tutte le Librerie Cattoliche, ed anche nei benemeriti Uffici Catechistici, che nei centri minori ne fanno le veci.
Noi, poveri provinciali, siamo ben lungi dall’essere degli ignoranti o degli sprovveduti, come è portato a ritenere chi si muove nelle alte sfere del “Caput Mundi”: non sempre – però – disponendo delle necessarie informazioni.
“L’Ordine dei Giornalisti del Vaticano” non esiste, e dunque non esiste il suo Presidente.
Non vorrei si trattasse di un titolo inventato, in conformità di una prassi molto in voga presso la Santa Sede, dove è costume attribuirsi delle qualifiche.
Ciò avveniva, in particolare, quando ancora esisteva la Corte Pontificia: i cui ex componenti, se ancora in vita, possono comunque continuare a fregiarsi di titoli altisonanti, quali “Palafreniere” (pur in assenza di cavalli), “Bussolante” o “Primo Gentiluomo di Camera”.
Ella non è d’altronde da meno, dato che rappresenta a Roma la “Nazione Emilia”.
Non so se esercita tale funzione presso la Repubblica Italiana o presso la Santa Sede”: la quale – come unica eredità dell’epoca del “non expedit” - tassativamente proibisce il cumulo delle due cariche.
La “Nazione Emilia”, evidentemente, aspira anch’essa all’Indipendenza, proprio come la nostra “Nazione Liguria”.
Dico questo senza ombra di ironia.
Trovandomi ad assistere alla conferenza stampa tenuta a Roma dal Ministro degli Esteri della Generalità di Catalogna (finito in carcere una settimana dopo proprio in seguito alla sua Dichiarazione di Indipendenza), mi imbattei nella “Ambasciatrice del Québec”.
Avendole obiettato che il suo Paese non è un Soggetto di Diritto Internazionale, questa diplomatica mi obiettò che se mai avessi dovuto far transitare una nave per i Grandi Laghi, sarebbe stato necessario corrispondere per sui tramite i relativi diritti: non al Canada, bensì alla sua Regione.
Il Québec, dunque, non esiste “de jure” (almeno dal punto di vista del Diritto Internazionale), ma esiste “de facto”.
Non so se sia necessario contattare il Suo ufficio per pagare i diritti doganali sul Lambrusco, ma glielo auguro di cuore.
Anzi me lo auguro, in quanto in quel momento noi percepiremo quelli dovuti per l’attracco delle navi nei nostri porti.
Che serviranno anche all’Emilia per affacciarsi sul Tirreno.
Fin qui, dunque, non ho divagato, ma ho cercato di spiegarle per quale motivo sia meglio che la “Nazione Emilia” eviti ogni incidente diplomatico con la “Nazione Liguria”.
Caro Ambasciatore - non si offenda se La chiamo così, ma anzi lo accolga come un auspicio – forse Ella non ha ancora capito che siamo sulla stessa barca.
E – come diciamo noi, che siamo gente di mare – quando si è sulla stessa barca, bisogna remare insieme.
Proprio questo mi ero sforzato di spiegarle: che ciascuno per suo conto, ma per quanto possibile unendo gli sforzi, dobbiamo cercare di far conoscere a Roma le nostre istanze.
Se a tal fine ci possiamo aiutare, tanto meglio.
Se non possiamo, almeno cerchiamo di non pestarci i piedi l’uno con l’altro, ma soprattutto evitiamo di darci delle arie, negandoci al telefono.
Il che – oltre tutto – non è buona educazione.
Altrimenti, anziché evolvere verso il rango di rappresentanti diplomatici, ci si riduce a fare i “brasseurs d’affaires”: che a Roma pullulano, ma non godono di buona fama.
E - soprattutto - non aiutano le cause che dicono di servire.
Ciò non significa che gli affari siano poco importanti: significa che le Autorità dell’Italia non devono applicare nei nostri confronti la massima del “divide et impera”.
Se ci vuole rispondere, La prego di farlo telefonando all’Avvocato Basso.
Non abbiamo perduto la speranza di essere trattati con rispetto.
Grazie per l’attenzione ed i più cordiali saluti.

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Mario Castellano  15/6/2022
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