La “Giornata Mondiale della Gioventù” si è conclusa offrendo un’ulteriore dimostrazione dell’influenza della Chiesa.
La “Giornata Mondiale della Gioventù” si è conclusa offrendo un’ulteriore dimostrazione dell’influenza della Chiesa.
Che non si manifesta, peraltro, solamente con la capacità di riunire centinaia di migliaia di persone intorno al Papa, potendo contare anche sull’espressione di una propria cultura, nonché sul prestigio di tanti vescovi e sacerdoti.
Per non parlare del fatto che la Santa Sede dispone – a differenza di altre confessioni religiose – di una propria diplomazia, essendo munita di personalità giuridica di diritto internazionale.
Ciò le consente di disporre di informazioni di prima mano sulla realtà di tanti Paesi.
Rimane tuttavia un problema: come impiegare tutta questa forza e tutta questa influenza.
Qui le possibilità variano a seconda delle situazioni.
L’anteriore Pontefice aveva costituito, in seno al Sacro Collegio dei Cardinali, un’apparente amplissima maggioranza composta da “terzomondisti”.
Al momento di scegliere il nuovo Papa, la gran parte di questi porporati ha dovuto però tenere conto della propria situazione economica.
Che si può riassumere brutalmente in questi termini: praticamente tutte le Chiese extraeuropee dipendono dall’Occidente.
L’aiuto di cui esse hanno necessità per proseguire non soltanto la propria azione di assistenza, ma anche la normale vita religiosa, proviene infatti dall’Europa e dall’America settentrionale.
Lo prova il fatto che le spese necessarie per la riuscita del grande raduno di Tor Vergata sono state sostenute dal governo italiano.
La Meloni non ha perso l’occasione per far valere tale contributo.
Invece di congratularsi con il Papa per il consenso di cui Prevost ha indubbiamente manifestato di godere, la Presidente del Consiglio si è compiaciuta per il perfetto funzionamento di una gigantesca ed efficiente macchina organizzativa predisposta e gestita dalle autorità dello Stato.
Gli svenimenti a catena hanno messo in luce i suoi aspetti sanitari, evitando che un collasso facesse schiattare qualche partecipante.
Si ripete – sia pure “mutatis mutandis” – la situazione successiva al 1929.
Anche allora venne celebrato un Giubileo, quello della “Redenzione” del 1933.
In tale circostanza, il Tribunale Speciale erogò l’unica condanna a carico di oppositori cattolici del regime.
Piero Malvestiti – futuro dirigente della Democrazia Cristiana – ed alcuni suoi compagni, componenti il cosiddetto “Movimento Neoguelfo”, vennero processati per avere distribuito ai pellegrini dei volantini critici nei confronti di Mussolini.
La denominazione di questo sparuto gruppo di animosi, facendo riferimento per l’appunto ai Guelfi, rivelava che la Chiesa – ridottasi a costituire uno dei tanti movimenti di massa creati per promuovere e incanalare il consenso – vedeva affermarsi precisamente l’ideale dei Ghibellini, i quali volevano il potere spirituale subordinato a quello dello Stato.
Non è un caso che sia stata pubblicata, in contemporanea con l’evento di Tor Vergata, un’intervista del cardinale Ruini, il quale invita bruscamente i figli di Berlusconi – in realtà solo Pier Silvio manifesta delle velleità politiche, mentre Marina si occupa più sagacemente delle aziende di famiglia – a “non disturbare il manovratore”, cioè la Meloni, di cui il cardinale rileva che non è cattolica.
Mussolini, da parte sua, non rinnegò mai il proprio ateismo, mentre la Signora della Garbatella è neopagana.
Come Tolkien, cui deve la propria formazione ideologica.
Ruini rileva però che la Meloni ha delegato la propria azione politica, nel campo dei rapporti con la Chiesa, a Mantovano, il quale è viceversa un cattolico praticante, che ha avuto in precedenza occasione di collaborare direttamente con la Santa Sede.
I giovani venuti a Roma dal “Terzo Mondo” scontano la stessa situazione in cui si trovano i loro pastori, che in alcuni casi – soprattutto in ambito islamico, ma non solo – è di aperta persecuzione.
Per cui le comunità cristiane devono non soltanto fare appello alla generosità dell’Occidente per sopperire alle proprie necessità materiali, ma anche per richiedere un minimo di protezione.
Che a volte, però, viene inopinatamente lesinata.
Mentre i cardinali Pizzaballa e Parolin si indignano per la morte di tre correligionari, bombardati nella chiesa di Gaza da Israele, non fiattano quando quaranta credenti del Congo vengono sterminati – in questo caso deliberatamente – dai musulmani “estremisti”.
Non si vede, peraltro, nessuna mobilitazione in favore di chi sconta la colpa ontologica di essere cristiano.
L’Occidente laico odia se stesso e ritiene che le colpe del colonialismo debbano essere pagate non già dai discendenti di chi ne trasse beneficio, bensì da chi è stato abbandonato “in partibus infidelium”, che dunque sopravvive solamente quando è in grado di difendersi da sé.
Come fa Israele.
Anche se ciò dispiace ad alcuni cardinali e anche a molti laici.
Non si ripete quel moto di solidarietà che accompagnò l’azione di Giovanni Paolo II volta a liberare l’Europa orientale dal comunismo.
Anche se va rilevato come “Comunione e Liberazione” sfruttasse in realtà la situazione della Polonia in funzione del proprio ruolo nella politica interna italiana.
Le alte sfere ecclesiastiche sapevano benissimo che la caduta del comunismo avrebbe determinato anche la fine della Democrazia Cristiana.
Esse dunque predisponevano nuovi strumenti per esercitare la propria influenza sulla vita pubblica italiana.
Il movimento di Formigoni, costituendosi come una sorta di “Chiesa nella Chiesa”, ma anche di “partito nel partito”, si preparava a confluire nei nuovi soggetti politici destinati a rappresentare la destra.
Per giunta, persone come Ruini non nascondevano la propria diffidenza nei confronti del partito fondato da De Gasperi, di cui denunciavano continuamente le “contaminazioni moderniste”.
La sua soppressione non venne dunque considerata come un fatto positivo in quanto eliminava un focolaio di corruzione, bensì perché toglieva di mezzo uno strumento usato dalle correnti cattoliche liberali per esprimersi, sia pure in posizione minoritaria.
Si ripeté dunque quanto era successo per il Partito Popolare, la cui componente di destra confluì nel “Listone” fin dal 1924.
La parte antifascista fu messa invece a tacere, in vista della “Conciliazione”.
Mussolini avrebbe potuto commentare – parafrasando Enrico IV – che “Roma vale bene una messa”.
Se i cattolici del Terzo Mondo sono abbandonati a se stessi, vedendosi offrire tutt’al più qualche buona parola, ovvero un posto di lavoro come “vigilantes” in Vaticano, quale sorte attende quelli dell’Occidente?
La difesa della sua identità è affidata ai soggetti politici secolari, i quali incassano – e naturalmente gradiscono – l’appoggio di una parte rilevante della gerarchia.
L’essere però priva di un proprio “braccio secolare” pone inevitabilmente la Chiesa in una condizione di dipendenza da chi si erge a difensore dell’identità cristiana, laddove essa può ancora contare – se non su un sostegno diretto delle masse, precluso dalla cosiddetta “secolarizzazione” – quanto meno sull’appoggio dei governi.
Non importa dunque se essi sono guidati da “Atei Devoti”, ovvero da neopagani.
L’importante è che questo connubio tuteli l’interesse immediato di entrambe le parti.
Quando Berlusconi bestemmiò pubblicamente in diretta televisiva, un monsignore disse che la sua espressione doveva essere “contestualizzata”.
Quanto alla “sinistra”, ben le si attaglia il motto “Qui gladio perit gladio ferit”.
Monsignor Castellano sostenne attivamente l’elezione di sua nipote, ottenendo in cambio la remissione dei propri debiti da parte del Monte dei Paschi.
Ora monsignor Ruini rileva che la Meloni non è cristiana, ma la Presidente del Consiglio si accinge a introdurre un emendamento alla Costituzione che – come abbiamo già rilevato – riconosce alla Santa Sede un “droit de regard” su Roma, oltre, naturalmente, a sostenere le spese del Giubileo.
Il vecchio Ruini è dunque pronto a scendere nuovamente in campo in suo favore, le campagne elettorali essendo la specialità del quasi centenario prelato di Carpi, di cui ricordiamo la plateale rottura dell’amicizia con Romano Prodi e con la sua compianta consorte, rei entrambi di essersi opposti a Berlusconi.
A Sua Santità vorremmo ricordare come la nostra sia un’identità molto complessa, in cui entra tanto De Maistre quanto Gioberti, Rosmini e Manzoni; confluisce tanto il Sillabo come il cattolicesimo sociale.
L’Europa carolingia compone anche quell’area della teologia “renana” che si espresse nel Concilio.
Bergoglio diceva di considerare “I promessi sposi” come uno dei propri testi preferiti.
Non a caso, l’anteriore Pontefice riabilitò pienamente noi cattolici liberali, che ora si accingono a una nuova “traversata del deserto”.
Nella prospettiva di una guerra, è logico che la Chiesa si ripieghi a difesa di se stessa, ma essa dovrebbe – a nostro modesto avviso – pensare, come sempre, non soltanto al domani, bensì anche al dopodomani.