Rispondiamo alle reazioni provocate dalla nostra necrologia della compianta Signora Renata Carli,...
Rispondiamo alle reazioni provocate dalla nostra necrologia della compianta Signora Renata Carli, incentrate su una asserita eccessiva “vis polemica” nei riguardi del Sindaco.
Lo facciamo rilevando un dettaglio non insignificante della cerimonia religiosa celebrata nella Basilica Minore di San Giovanni Battista.
Il Primo Cittadino è entrato in Chiesa quasi di soppiatto e ha preso posto in terza fila. Per evitare una sua maggiore esposizione, si è anche omessa la presenza del Gonfalone, esibito in simili circostanze in onore dei Cittadini più eminenti.
Alla fine del rito religioso, l’Uomo è uscito altrettanto frettolosamente.
Così, almeno, ci è stato riferito da testimoni oculari.
Noi siamo subito fuggiti per poter scrivere in tempo le abituali “due righe”, senza porgere le doverose condoglianze ai dolenti.
Che peraltro – sempre a quanto ci dicono – non sono state neanche espresse dal Sindaco.
“Si vera sunt exposita”, come dicevano gli antichi Giureconsulti, siamo in presenza dell’emergere di una contraddizione.
Che, nel vecchio linguaggio marxista, si sarebbe definita “secondaria”, ma risulta comunque rivelatrice di un dissidio.
Dissidio che noi consideriamo tuttavia insanabile, anche se il superstite ceto imprenditoriale imperiese è costretto a celarlo – almeno fin dove ciò è ancora possibile – per non aggravare le proprie oggettive difficoltà.
Non ci riferiamo naturalmente alle situazioni patrimoniali, che noi non conosciamo e che comunque non ci interessano, quanto piuttosto a un’insanabile divergenza sulle prospettive.
Né si tratta di quelle proprie dell’una o dell’altra impresa, bensì della comunità nel suo insieme.
Nei giorni scorsi, abbiamo assistito al tentativo – intrapreso da un ben preciso settore della Destra – di inserire un proprio rappresentante ai vertici delle istituzioni rappresentative del settore economico.
Si trattava della stessa persona incaricata a suo tempo di dire chiaro e tondo ai nostri imprenditori che l’intenzione di tale parte politica – all’epoca non ancora insediata al Governo, ma ormai prossima a conquistarlo – consisteva nell’abolire l’effettiva libertà economica, sottoponendola alla discrezione del nuovo Potere.
È chiaro che questa persona, qualora il tentativo di fare carriera fosse stato coronato da successo, avrebbe agito in piena coerenza con i propositi così chiaramente enunciati.
Se l’operazione non è riuscita, ciò si deve al fatto che gli imprenditori – o almeno quelli più preparati e non ridotti in condizioni tanto disastrose da dover elemosinare la propria sopravvivenza – hanno capito di dover praticare la “resilienza”.
La resistenza non essendo possibile, soprattutto in quanto i soggetti incaricati di dirigerla – cioè l’Opposizione – hanno da tempo capitolato, in cambio del piatto di lenticchie costituito da qualche stipendio nelle “Partecipate”.
I Carli – e insieme con loro quel settore della piccola impresa che si riunisce intorno a Enrico Lupi e alle sue iniziative di promozione delle “Eccellenze” (le quali non hanno niente a che fare, malgrado il nome, con il defunto Monsignor Castellano) – devono lottare per sopravvivere.
Cosa che naturalmente auguriamo, a loro e a noi stessi, in quanto la crisi della libertà politica può essere almeno in parte contrastata con il mantenimento di un barlume di libertà economica.
Che in tanto sopravvive in quanto si barcamena tra l’ineludibile soddisfazione delle grassazioni pretese dal Potere e gli spazi sempre più angusti offerti da un mercato impoverito, non più in grado di esprimere una domanda adeguata.
Che poi gli imprenditori mostrino nei riguardi di certa politica una qualche adesione, lo si deve da un lato alle loro radici ideologiche – che noi non discutiamo – e dall’altro, per l’appunto, alla necessità di sopravvivere.
Si tratta della stessa condizione che, nel corso della Storia, ha spinto molte donne a infilarsi nel letto dei potenti, concedendo loro il corpo ma non l’anima.
Rappresentata oggi dalla nostra atavica vocazione alla libertà di intrapresa, la quale fa tutt’uno con la nostra identità.
Che non sopravvive certamente per merito degli attuali reggitori della “res publica”, bensì loro malgrado.
“Si parva licet componere magnis”, assistiamo in queste ore a un altro episodio dell’agonia dell’Europa.
Se la guerra in Ucraina finisse, i Governi del nostro continente non dovrebbero più adempiere a quella clausola del “Patto Leonino” stipulato dalla Von der Leyen con Trump, che ci impone di pagare all’America le armi da girare a Zelensky, prendendo quanto meno una boccata d’ossigeno.
Se viceversa la guerra continua, questo esborso graverà ancora sulla nostra economia, già tartassata dai dazi americani.
Siamo dunque costretti a sperare in una soluzione purchessia della crisi, augurandoci che sia quanto meno di tipo “coreano”, e che cioè l’Ucraina, in cambio degli inevitabili sacrifici territoriali, disponga almeno di una garanzia per la propria sopravvivenza.
Garanzia che però non potrà essere costituita né dalla presenza di truppe occidentali, né dall’adesione all’Alleanza Atlantica o all’Unione Europea.
Tutto sarà dunque rimesso alla “fides” di Putin, cioè a un rapporto di forze non già calcolato tra Est e Ovest, bensì soltanto sull’equilibrio interno al cosiddetto “Mondo Russo”.
La fine della Georgia, prima mutilata, poi di fatto sottomessa, costituisce un precedente poco incoraggiante.
L’Europa non può però manifestare la propria posizione se non mediante le deplorazioni e gli auspici verbali.
A ben vedere, il nostro continente si trova in una condizione di impotenza di fronte a chi detiene il vero Potere: tanto politico quanto economico, e soprattutto militare.
Esattamente come i nostri imprenditori di fronte al Governo, sia nazionale sia locale.
Speriamo dunque che la bandiera della Libertà di Intrapresa non sia stata sepolta insieme con la povera Signora Renata Carli, come la bandiera del Legittimismo nella tomba del Conte di Chambord.