Il sito è in fase di allestimento
Toccò ad uno spagnolo, l'aragonese Rodrigo Borja
Toccò ad uno spagnolo, l'aragonese Rodrigo Borja ...


Toccò ad uno spagnolo, l'aragonese Rodrigo Borja – il cui nome era stato tradotto con Borgia, essendosi trasferito ancora giovane in Italia – governare la Chiesa come Papa Alessandro VI quando il genovese Cristoforo Colombo, al servizio dei Re Cattolici, scoprì il Nuovo Mondo.
Il grande “descubrimiento” diede luogo quasi immediatamente ad una disputa con il Portogallo, i cui marinai sapevano già da circa un secolo dell'esistenza di una “Nova Terra”.
Proprio in previsione delle nuove scoperte geografiche era stato stipulato tra le due Nazioni iberiche il Trattato di Alcabaça, in base al quale le terre poste ad Occidente delle Canarie sarebbero appartenute alla Corona di Lisbona.
Questo spiega perché Colombo, prima di rivolgersi a Ferdinando e Isabella, aveva chiesto inutilmente ad Enrico il Navigatore di finanziare la sua spedizione.
Se dunque bisognava tenere in considerazione quanto stabilito in un atto di Diritto Internazionale, la Spagna basava le proprie pretese sul fatto che la propria bandiera era stata innalzata per prima sulle terre poste al di là dell'Oceano.
La controversia poteva essere risolta soltanto da una Autorità spirituale, come appunto quella del Papa, riconosciuta da entrambe le parti della controversia.
Fu appunto Alessandro VI ad emettere, con il Trattato di Tordesillas, l'arbitrato che le pose fine, tracciano la famosa “raya”, cioè   una linea divisoria tra i territori destinati all'una e all'altra Potenza, coincidente con un meridiano: quello che ancora oggi segna più o meno il confine tra l'America di lingua spagnola e l'America di lingua portoghese.
La partizione, seppur basata sul rispetto formale di quanto stabilito ad Alcabaça, premiò in realtà il Paese di origine del Papa.
Il Borgia, di cui è rimasta proverbiale la dissolutezza dei costumi – conviveva in pubblico concubinato con l'amante Vannozza Cattanei, che gli diede ben quattro figli quando già era stato ordinato Sacerdote, cui se ne aggiunse un quinto, concepito con un'altra concubina dopo l'assunzione al Soglio di Pietro – fu tuttavia un grande Papa, che oggi verrebbe definito “geostrategico”: quando Carlo VIII di Francia scese in Italia, ottenne che le sue truppe, attraversando lo Stato Pontificio, non lo saccheggiassero, a differenza di quanto avvenuto nelle altre parti della Penisola.
Quindi, pur non essendo italiano, il Pontefice animò i diversi Principi ad unirsi contro l'invasore, che venne sconfitto nella battaglia di Fornovo di Taro: a questo punto, però, le controversie tra i nostri vari Stati riesplosero, e Carlo VIII poté raggiungere indisturbato la Francia con tutta la sua refurtiva.
Se il Pontificato di Alessandro VI segna l'acme del Rinascimento come epoca di potere per la Chiesa, l'attuale Papa rappresenta in apparenza il suo esatto contrario, essendo ispirato da una concezione della Comunità dei credenti protesa unicamente al servizio dei poveri.
Eppure, la fantasia della storia ha prodotto un risultato paradossale: la funzione geostrategica del Papato accomuna due personaggi che non potrebbero risultare più diversi, quanto meno nel modo di vivere il Ministero sacerdotale e di intendere la funzione della Chiesa.
Se Alessandro VI è ricordato nella storia come il Papa che tracciò la “raya”, la memoria di Francesco  resterà legata con il Sinodo dell'Amazzonia: riguardante proprio quella zona dove corre la linea di confine tracciata dal suo lontano predecessore.
Parteciperanno infatti a questa assise i Vescovi provenienti tanto dal Brasile quanto da una serie di Paesi di lingua spagnola.
La prima ispirazione di questa riunione riguarda, naturalmente, l'ecologia, nel solco di quanto scritto dal Papa nella sua Enciclica “Laudato sì”.
Gli scienziati affermano che dalla salvaguardia della foresta amazzonica dipenda la nostra stessa sopravvivenza: venendo meno le piante che la compongono, l'anidride carbonica ci soffocherebbe.
Il Papa ed i Vescovi diranno dunque naturalmente alle Autorità civili di quella zona che è loro dovere preservarla.
Nel nome, certamente, dell'interesse generale.
Tanto basterebbe per consacrare Bergoglio come campione dell'umanità.
Tuttavia, la preoccupazione per una causa che coinvolge più direttamente l'America Latina ricollega il Pontefice alle sue origini, alle sue radici.
Nella “Laudato sì”, redatta seguendo i consigli di un gruppo di Gesuiti operanti a Buenos Aires ma provenienti da vari Paesi dell'America Latina, molti dei quali di origine orgogliosamente indigena (nostra moglie direbbe “orgullosamente india”), riecheggia una ispirazione che risente dell'influenza delle religioni ancestrali del Continente, basate sul culto della natura.
Qualcuno, a questo riguardo, si è spinto maliziosamente a formulare contro il Papa un'accusa di sincretismo.
Non si tratta naturalmente di questo, quanto piuttosto della necessità di ricercare alleanze con le altre religioni.
Come il Papa cerca quella con i Musulmani quando si tratta di promuovere la giustizia per i Paesi del Sud del mondo, già sottoposti al dominio coloniale dell'Occidente, in questo caso lo stesso rapporto si stabilisce necessariamente con i culti ancestrali degli indigeni americani.
Se queste popolazioni identificano la Natura con la Divinità, non esistendo per loro la nostra distinzione tra l'immanenza e la trascendenza, tanto più forti ne risultano le motivazioni in base alle quali si impegneranno nella causa propugnata dal Vescovo di Roma.
Si tratta dunque di una causa ecumenica, nel senso che coinvolge ed impegna genti di diverse fedi.
Al contempo, si tratta però anche di una causa politica: usiamo questa parola senza racchiuderla tra le virgolette, che risulterebbero più che mai ipocrite in questo caso.
Quando i Vescovi informeranno i loro rispettivi Ambasciatori presso la Santa Sede dello svolgimento dei lavori del Sinodo, immaginiamo la risposta anticipata dai vari Governi.
Il Presidente del Brasile, Bolsonaro l'ha già espressa d'altronde pubblicamente.
Questa risposta si può riassumere in una semplice obiezione: “Se non esportiamo il legname, di che cosa viviamo?”
L'osservazione risulta inoppugnabile, ma la controreplica del Papa e dei Vescovi va al cuore del problema intorno al quale ruota oggi il conflitto di interessi tra il Nord e il Sud del mondo: l'autentico sviluppo dei popoli già soggetti al colonialismo consiste nell'uscita dalla monocoltura.
Tale condizione economica è imposta dal Nord del mondo, in funzione delle proprie necessità, la cui soddisfazione determina inevitabilmente la povertà della parte meridionale del Pianeta.
Oggi, però, come abbiamo già ricordato, è in gioco anche la nostra stessa sopravvivenza fisica.
Anche per questo, la soluzione del problema posto dall'Amazzonia assume il valore di un paradigma e di un precedente decisivo per un contenzioso su cui si gioca il futuro dell'umanità intera.
Se certamente risultano utili e lodevoli tutti gli sforzi per rendere più “pulito” il processo produttivo – in questo senso si è espresso il Papa nel suo recente messaggio alle Nazioni Unite – la soluzione completa e definitiva del problema consiste in una rivoluzione, basata sulla rottura della equiparazione arbitraria tra il progresso e lo sviluppo.
Questo precisamente viene affermato nell'Enciclica che ha proceduto ed ispirato il prossimo Sinodo, e spiega perché dall'interno della Chiesa Cattolica certe voci - amplificate mediante la radio - propagandino le tesi negazioniste in materia ambientale.
Se il Papa si preoccupa di un problema inesistente – questo è il succo del loro discorso – non vale la pena di dargli retta.
Soprattutto, però, secondo costoro il Papa propaganda l'errore.
Per chi si impegna in una nuova campagna “antimodernista”, non c’è male!
Questi personaggi ritengono che i Cristiani dovrebbero impegnarsi nella difesa del sistema capitalista “tel quel”.
Data l'inconciliabilità delle opinioni in merito ai doveri posti dalla attuale contingenza storica, risulterà difficile convivere a lungo nella stessa Chiesa.
Tanto più considerando come lo spostamento del Governo della Chiesa verso il Sud del mondo assume anche una valenza culturale.
Nel Sinodo, si parlerà della possibile Ordinazione degli sposati nella Chiesa Latina: un obiettivo che potrebbe essere raggiunto semplicemente dando facoltà alle Conferenza Episcopali Nazionali di ampliare le funzioni conferite ai Diaconi Permanenti nell'amministrazione dei Sacramenti.
È significativo che questa prospettiva non venga aperta in seguito ad analoghe istanze proposte da tempo nell'ambito dell'Europa Occidentale.
Abbiamo avuto personalmente la fortuna di vivere a lungo pienamente immersi nella cultura indo americana.
I familiari di nostra moglie sono tutti quanti poligami.
Questo costume è talmente radicato che la nostra monogamia è stata a lungo considerata da loro come una stranezza, se non come una deviazione.
Si spiega così come il celibato sacerdotale, in America Latina, non accresca – diversamente da quanto avviene in Europa – il prestigio del Clero.
A Masaya, che è la Città del nostro Paese di adozione dove più forte è la radice indigena, tutti ricordano affettuosamente un Monsignore che viveva in pubblico concubinato con una donna da cui aveva avuto quattro figli (proprio come Rodrigo Borja con Vannozza Cattanei, anche se nessuno di loro è assurto alla fama del Duca Valentino e di Lucrezia Borgia).
Occorre osservare che l'Arcivescovo di Managua, il leggendario Monsignor Lezcano, di santa memoria, nel conferirgli il suo titolo di Monsignore era certamente al corrente della situazione in cui si trovava.
Quando questo Sacerdote morì, tutta la Città seguì il suo funerale.
Altri preti, pur essendo assolutamente rispettosi del Voto di Castità, non ricevettero un simile tributo.
Le conclusioni del Sinodo, tanto in materia economica come in materia dottrinale, susciteranno una levata di scudi da parte dei detrattori del Papa.
Sandro Magister romperà il suo silenzio per tacciare Bergoglio di essere un povero selvaggio delle Americhe.
Padre Serafino Maria Lanzetta F.I., molto meno sintetico nelle sue argomentazioni, pubblicherà presso l'Editore Cantagalli di Siena un trattato di più di mille pagine dedicato a dimostrare l'eresia del Papa.
Il Professor Roberto de Mattei, a sua volta, redigerà una recensione laudativa dell'opera per “Corrispondenze Romane”.
“Dulcis in fundo”, Antonio Socci affermerà che non ci si deve preoccupare, trattandosi delle farneticazioni di un Antipapa.
Più imbarazzante risulterà il compito del cappellano di Salvini nel formulare le sue note radiotrasmesse.
La morale di tutta questa storia è però – a nostro modesto avviso – molto semplice: i Paesi che subirono l'ingiustizia del colonialismo cominciano a far valere le loro ragioni, tanto nella direzione dell'economia mondiale quanto nel Governo della Chiesa, ed il Papa si qualifica come il loro massimo rappresentante, conferendo al ruolo del Vescovo di Roma in risalto ancora maggiore rispetto a  quando il suo predecessore divideva i Continenti tra i potenti della Terra.

Send Comments mail@yourwebsite.com Thursday, October 03, 2019

Mario Castellano 04/10/2019
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved