Eugenio Scalfari ha interrotto ieri la cadenza settimanale delle sue prediche
Eugenio Scalfari ha interrotto ieri la cadenza settimanale delle sue prediche, solitamente pronunziate di domenica, per annunziare una novità sensazionale, un autentico “scoop”, tale da innalzare le vendite – purtroppo in calo - del suo Giornale: il Papa, secondo il “Fondatore”, sarebbe un sincretista, sia pure non dichiarato, o meglio dichiarato confidenzialmente solo a lui.
Noi abbiamo l’impressione che Scalfari – certamente ferrato in Filosofia, ma non altrettanto in Scienze Religiose – confonda due, anzi tre, categorie diverse: una è, per l’appunto, il sincretismo; un’altra è l’ecumenismo, cioè la collaborazione tra le diverse fedi nel nome della pace tra i popoli, della giustizia sociale e del progresso; un’altra ancora è l’unione tra le Chiese Cristiane.
Molto prima dello Scisma d’Oriente, promosso nel 1054 da Michele Cerulario, il Concilio di Efeso del 431 aveva condannato l’eresia di Nestorio, il quale affermava l’unicità della natura umana di Gesù Cristo.
Da allora, i Nestoriani hanno costituito una Chiesa separata, distinta tanto dai Cattolici quanto dagli Ortodossi, accomunati nella fede in Gesù Cristo “Vero Dio e Vero Uomo”.
Maometto conobbe il Cristianesimo attraverso alcuni monaci, per l’appunto nestoriani, impiantati in Arabia, ed infatti la Cristologia islamica si basa sulla natura unicamente umana di Gesù, nominato nel Corano soltanto come un grande Profeta.
I Nestoriani sono considerati Cristiani dalle altre Chiese, ma l’accettazione delle loro tesi – se anche avvenisse da parte dai Cattolici - sarebbe certamente rigettata dagli Ortodossi.
L’unità dei Cristiani non può passare attraverso la modifica del Magistero, bensì attraverso l’affermazione di una sorta di libertà di opinione nell’ambito della Comunità dei Credenti: in cui vi è chi crede nella Divinità e nell’Umanità di Cristo, chi soltanto nella sua Umanità – come appunto i Nestoriani – e chi soltanto nella sua Divinità, cioè i Copti, detti anche “Monofisiti” seguaci di Eutiche, a sua volta condannato come eretico dal Concilio di Calcedonia del 451.
Ammesso però che si raggiunga l’unità tra i Cristiani, unanimi nel riconosce in Cristo il Messia, non sarà mai possibile accordarsi con gli Israeliti, che lo attendono ancora, né tanto meno con i Musulmani, secondo cui – come si è detto – Gesù era semplicemente un profeta.
Per non parlare dei culti non abramitici, che non conoscono la distinzione tra la Trascendenza e l’Immanenza e professano la fede nel “Deus sive Natura”.
Noi ne sappiamo qualcosa, dato che nostra moglie appartiene alla religione ancestrale degli indo americani.
Ci basterebbe dunque non sentire più proclamare da una radio cattolica che abbiamo una consorte destinata all’Inferno, se non altro perché è migliore di noi.
Scalfari, scrivendo di filosofia, dovrebbe almeno conoscere questi problemi.
Gli consigliamo dunque di leggere due libri: un buon manuale di Storia delle Religioni e il “De Senectute” di Cicerone.
Dove il Fondatore non si sbaglia è nell’analisi degli obiettivi che il Papa si è proposto convocando il Sinodo sull’Amazzonia.
Che Bergoglio sia un grande riformatore della Chiesa non lo può mettere in dubbio nessuno.
Sono viceversa destinati a rimanere delusi quanti si attendono da lui un “modus procedendi” di tipo induttivo, nello stile dei riformatori illuministi.
Bergoglio preferisce ed incoraggia la riforma “dal basso”, realizzata mediante la prassi, e solo in un secondo tempo – quando sia già accettata dalla coscienza collettiva – consacrata nella norma.
In questo modo, evitando di “épater le bourgeois”, si eludono le fratture promosse da quanti attendono che il Pontefice commetta un asserito errore, contraddicendo il Magistero consolidato, per promuovere uno scisma.
Che risulta comunque verosimilmente inevitabile, ma sarà ridotto nelle dimensioni e nelle conseguenze in quanto destinato a scontrarsi con una consapevolezza ormai diffusa e radicata delle realtà nuove.
Abbiamo già parlato, in un precedente articolo, di come il celibato sacerdotale in America Latina non costituisca ormai più da molto tempo un tabù.
Sono trascorsi molti anni da quando la Conferenza Episcopale di quel Continente, essendole segnalato come i preti fossero in molti casi dei credenti impossibilitati a sposarsi con il rito religioso, rispose semplicemente “Nec perturbatis eos”.
Se la loro condizione non viene approvata, neppure la si condanna espressamente.
Lo stesso avviene in Europa con chi pratica la cosiddetta “Intercomunione”, cioè condivide l’Eucarestia con gli Evangelici.
Rimane la divergenza sul suo significato sacramentale, ma l’affermazione del principio della libertà di pensiero nella Chiesa trasferisce il problema dal piano disciplinare a quello della coscienza individuale.
Lo stesso discorso vale per il Sacerdozio femminile: in America Latina ci sono delle Suore che celebrano i matrimoni, battezzano i bambini e addirittura confessano, naturalmente senza dare l’Assoluzione.
“Quid juris”, però, se il penitente, essendo sinceramente pentito dei suoi peccati, si considera assolto?
Vogliamo considerarlo condannato solo perché non può accedere ad un Sacerdote?
Anche qui, il problema non è di disciplina, ma di coscienza.
Anche a noi è capitato di vivere una esperienza “ante litteram” del riformismo come lo intende Bergoglio.
Un giorno, bussò alla porta dell’Università Cattolica di Managua un illustre Cattedratico, espulso per ordine del suo Partito dall’Ateneo Statale.
Il malcapitato era un marxista dichiarato, Ordinario di Filosofia, e la sua unica colpa consisteva del “deviazionismo” rispetto alla dottrina politica ufficiale.
Lasciarlo insegnare in una istituzione accademica, data la disciplina scientifica cui si dedicava, significava permettere né più né meno ad un Professore di affermare “ex cathedra” che Dio non esiste.
Il Cardinale Obando y Bravo, in qualità di Rettore Onorario, convocò un Senato Accademico allargato, cui avemmo l’onore di partecipare su suo esplicito invito, in qualità di responsabile del Corso di specializzazione in Amministrazione Pubblica.
Ci fu naturalmente chi si oppose all’attribuzione dell’incarico, in base al tradizionale argomento per cui l’errore non ha diritto di esprimersi.
Il Cardinale impose invece che il Professore venisse ammesso ad insegnare tra noi.
I motivi addotti erano di ordine – per così dire – pratico.
Gli atei esistono, e da quando c’è l’Internet le loro tesi raggiungono anche le Suore di clausura.
Eravamo inoltre coscienti della necessità di inserire la nostra Università in un sistema accademico universale, dove la censura delle opinioni – oltre che contraria alla ispirazione comune – risulta materialmente impossibile.
Il Cardinale domandò infine se l’affermazione delle tesi ateiste, con cui ci si confronta quotidianamente in tutte le sedi, avesse mai scalfito le nostre convinzioni.
Per giunta, ci si offriva l’occasione di dimostrarci più coerenti – nel rispetto della libertà di cattedra – di chi si faceva condizionare dalla propria intolleranza ideologica.
Il Professore poté impartire il suo insegnamento.
Disse, naturalmente, che Dio non esiste, ma non risulta che abbia convertito nessuno.
Molti anni dopo, a Roma, ci toccò commentare il documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica che autorizzava le Università Cattoliche e quelle Ecclesiastiche ad ammettere Professori di altre tendenze, con la sola condizione che indicassero i punti su cui il loro insegnamento differiva dal pensiero cattolico.
Nel caso di un ateo, questa precisazione risulta naturalmente pleonastica.
Ci siamo domandati quanti casi simili a quello da noi vissuto avessero preceduto questa decisione, contribuendo a determinarla.
Il Generale De Gaulle, in questi casi, era solito dire “l’intendance suivra”.
Thursday, October 10, 2019