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Ha scritto il Professor Alberto Melloni su “La Repubblica”: “Quando la Chiesa pensa il suo fondamento fa più politica di quando crede di fare politica”.
Questa errata convinzione è durata in Italia dal giorno della Liberazione fino alla data in cui si è sciolta la Democrazia Cristiana.
Questa scelta ha naturalmente accresciuto il suo prestigio.
Quando invece essa ha inteso patrocinare una causa di parte, ha finito per approfondire le discordie civili, avallando errori, eccessi e perfino crimini perpetrati dagli uni contro gli altri.
L’elenco di queste situazioni è molto lungo.
Valga per tutti il caso dell’identificazione con la causa franchista durante la guerra di Spagna.
Ci vollero decenni di dialogo con la parte avversa per arrivare al famoso documento con cui la Conferenza Episcopale, sotto la guida del Cardinale Tarancòn, affermò solennemente: “Nos arrepentimos y humildemente pedimos perdòn”.
In questo caso, però, la rivendicazione del ritorno alla democrazia venne accompagnata e sostenuta attivamente dalla base cattolica e dalla gran parte del Clero: per sfuggire alla censura, l’opposizione scriveva i suoi appelli sui bollettini ecclesiastici, e le riunioni illegali – anche se non più clandestine – venivano ospitate dalle Parrocchie, avvalendosi delle norme di un Concordato paradossalmente voluto dal “Caudillo” per garantirsi l’appoggio della Chiesa.
In Italia, dopo l’appoggio alla cosiddetta “Unità Politica dei Cattolici” - che si traduceva sostanzialmente in un avallo all’egemonia della Destra sulla Democrazia Cristiana – abbiamo vissuto la lunga fase del patrocinio concesso dal Cardinale Ruini al berlusconismo.
Si è arrivati al punto che il Cavaliere poteva permettersi di bestemmiare pubblicamente il nome di Dio, essendo puntualmente assolto da un Monsignore, pronto ad affermare che la sua volgarità doveva essere “contestualizzata”.
Chissà che cosa avrebbe detto questo Alto Prelato se la stessa bestemmia fosse sfuggita ad un esponente della parte avversa.
La Democrazia Cristiana, quanto meno, ribadiva ufficialmente di non essere un partito confessionale, al punto da esibire - in occasione dei suoi Congressi – un tesserato protestante, proveniente da Bergamo, ed uno israelita, originario di Firenze: i quali giustificavano la propria iscrizione in base all’adesione al programma.
Paradossalmente, lo sfacelo del Partito già di De Gasperi non portò al superamento completo del confessionalismo, bensì ad una sua rivalutazione da parte di personaggi quali Formigoni e Buttiglione, che si proponevano apertamente di fare coincidere la Legge dello Stato con il precetto religioso.
Questa situazione è stata superata soltanto con l’avvento di Papa Bergoglio.
Oggi la Chiesa, in alleanza con gli altri Cristiani e con le altre confessioni religiose, prende posizione dalla parte giusta nel grande conflitto che divide il mondo, sul quale si gioca la  scelta tra la guerra e la pace tanto tra le Nazioni quanto all’interno di una società che deve fare i conti con il fenomeno delle migrazioni.
Lo squilibrio tra i Paesi che a suo tempo hanno dominato il mondo mediante il colonialismo e quelli che viceversa lo hanno subito deve essere ancora superato sul piano economico, e questa situazione può essere risolta solo ponendo fine allo sfruttamento delle risorse umane e naturali del Sud del mondo.
In parallelo, la presenza tra noi di masse di persone di diversa origine, e di diversa religione, ci obbliga a ripensare la società in cui viviamo accettando che divenga multiculturale.
La scelta compiuta da Bergoglio è netta sul piano politico, e conseguente in materia ecclesiale.
Il Sinodo sull’Amazzonia è stato il momento in cui questi due aspetti di uno stesso problema si sono visibilmente saldati tra di loro.
Le origini di tale evoluzione sono remote.
Qualcuno ricorda come fin dai tempi di Pio XII, nell’imminenza del processo di decolonizzazione, il Clero – e soprattutto l’Episcopato - avesse iniziato ad “indigenizzarsi”: il Vescovo non poteva più essere, dopo l’Indipendenza dei nuovi Stati, una sorta di funzionario rappresentante la Potenza coloniale europea.
Venne poi, a partire dal Concilio, il grande dibattito sulla cosiddetta “inculturazione”.
A questo riguardo, ricordiamo un aneddoto che ci venne narrato da una persona presente alla discussione avvenuta durante il volo di ritorno di Benedetto XVI dal Benin.
Uno dei giornalisti presenti pronunziò precisamente questa parola, ed il Papa – non certo sospettabile di simpatie progressiste e sempre molto misurato nei toni – lo riprese bruscamente.
“Inculturazione” è infatti termine che perfino letteralmente richiama una asserita necessità di portare per l’appunto la cultura a chi ancora ne risultasse privo, presupponendo la superiorità di quella europea, riaffermando con ciò stesso l’egemonia dell’Occidente.
La fede – in base a questa visione – doveva essere diffusa presso gli altri popoli, e da essi accolta, in base alla interpretazione ed alla elaborazione compiuta in questa parte del mondo.
Una simile impostazione contraddiceva inevitabilmente la concezione stessa della “Ecclesia ex gentibus”, l’atteggiamento assunto dall’Apostolo delle Genti facendosi “ebreo con gli ebrei e greco coi Greci”: Paolo di Tarso fu d’altronde tale in quanto convivevano nella sua persona le due diverse culture.
Ogni popolo, ai primordi del Cristianesimo, giungeva a conoscere la Rivelazione assumendola nella propria identità originaria, non essendo costretto a pagare il prezzo dell’assimilazione e dello snaturamento.
Questo prezzo è stato viceversa imposto quando la diffusione del Cristianesimo è avvenuta come strumento di penetrazione del colonialismo.
La nostra religione, se non vuole essere liquidata come una eredità scomoda del dominio europeo, come una imposizione operata da una egemonia straniera, deve essere ripensata attraverso la cultura originale degli altri popoli.
Questo spiega il motivo per cui la possibilità dell’ordinazione sacerdotale degli sposati viene ammessa per la prima volta nell’ambito indo americano meno contaminato dall’influenza europea, precisamente quello dell’Amazzonia, in cui non si è determinato - diversamente da quanto avvenuto in altre parti delle Americhe - nessun meticciato culturale.
Ugualmente si spiega l’atteggiamento di rispetto nei riguardi della natura.
Le religioni pre abramitiche, come quelle originali delle Americhe, non conoscono la distinzione tra la Trascendenza e l’Immanenza, tra il Creatore ed il Creato: “Deus sive Natura”.
Se la natura non costituisce semplicemente l’immagine, il riflesso di Dio, ma identifica con la Divinità stessa, la sua sacralità è assoluta.
Lo stesso ordine impartito all’uomo di dominarla, di sottometterla, in sostanza - pur entro certi limiti - di sfruttarla, è contenuto nella Rivelazione.
Nella quale noi ci riconosciamo, mentre non vi credono quanti ammattono l’esistenza di Dio, senza però collocarlo nella Trascendenza.
Non risulta naturalmente possibile tra noi e loro alcun sincretismo, ma sul rispetto della natura l’una e l’altra fede possono convergere ed allearsi.
Tanto più se questa causa coincida con quella della giustizia sociale.
C’è naturalmente chi, tacciando il Papa precisamente di sincretismo, si accanisce sulle immagini delle divinità non cristiane, e le getta con gesto iconoclasta nel Tevere.
C’è anche chi, parlando alla radio, asserisce che queste statue fossero esposte alla venerazione dei Cristiani: ai quali assolutamente non si è chiesto di assumere tale atteggiamento, ma soltanto di rispettare le altrui convinzioni.
Ritorna comunque il tema dell’asserita superiorità della nostra cultura, usato come strumento di polemica tanto nei confronti delle altre fedi quanto verso chi intende promuovere la riforma della Chiesa.
In queste ore giunge notizia che anche i concittadini di San Francesco rifiutano la società multiculturale.
Non c’è da stupirsi, trattandosi di un orientamento che accomuna tutte le realtà sociali interessate dalle migrazioni.
La Chiesa di Bergoglio, che accetta viceversa le diversità nel proprio seno, cogliendo dalle altre realtà quanto di buono hanno da offrire anche a noi, sembra muoversi in controtendenza rispetto all’intero contesto dell’Occidente.
Lo fa essenzialmente per due ragioni: in primo luogo in quanto è per sua natura – come già detto - “Ecclesia ex gentibus”; in secondo luogo perché da ciò deriva la capacità di far circolare nel proprio ambito idee nuove e diverse.

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Mario Castellano 29/10/2019
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