La situazione attuale del nostro Paese ricorda per molti versi quella dell’inizio degli Anni Venti: superando il “non expedit”, ancora formalmente non revocato, Don Luigi Sturzo fondò il Partito Popolare, concepito quale strumento per promuovere la partecipazione dei Cattolici alla vita politica dello Stato unitario.
Un anno dopo, Mussolini andava al potere, e quattro anni dopo la nuova formazione politica venne sciolta, insieme con tutte le altre: salvo, naturalmente, il Partito Nazionale Fascista.
Fin dall’anno prima, tuttavia, quando il “Duce” compose il famoso “listone” in occasione delle ultime elezioni formalmente libere, i Popolari si erano scissi: da una parte i futuri “Aventiniani”, decisi a passare all’opposizione clandestina e illegale, dall’altra parte gli epigoni del “Patto Gentiloni” (certi nomi ricorrono sinistramente nella nostra vicenda nazionale), decisi a fiancheggiare il nuovo regime, ed anzi disposti ad aderirvi pubblicamente.
Se il nuovo Partito Cattolico nascerà – cosa di cui personalmente dubitiamo moltissimo – avrà davanti a sé due opzioni: supportare Salvini ed il suo disegno centralistico ed autoritario, oppure affrontare una nuova “traversata del deserto”; che per noi – sia detto “en passant” - è comunque già iniziata da tempo.
“Tertium non datur”: la vecchia Democrazia Cristiana è morta, ed è vano attendersi che Dio operi con essa il miracolo compiuto con Lazzaro.
Il quale – anche se il Vangelo non dice nulla di lui, salvo ricordare la sua amicizia fraterna con Gesù – era probabilmente una persona per bene, senz’altro meritevole di ritornare a vivere ancora per qualche tempo.
Ci siamo dimenticati come è morta la Democrazia Cristiana?
Certi Monsignori hanno la memoria ben corta, al punto di sussumere il fatto che questo Partito è morto sepolto dalla vergogna di Tangentopoli.
Il fenomeno ha avuto delle propaggini, giunte fino ai giorni che stiamo vivendo: una è costituita dalla vicenda della Sanità lombarda, che ha portato Formigoni in galera, e l’altro dalla storia di Matacena, su cui si attende la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria.
Il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna dell’Onorevole Scajola, per il quale – a prescindere dall’esito del processo di prima istanza – vale comunque il principio della presunzione di innocenza.
Altra cosa, però, è la valutazione della vicenda sul piano del Diritto Penale, altra cosa quella sul piano politico.
Non c’era bisogno di conoscere quanto emerso dal dibattimento per sapere che il Sindaco di Imperia è stato all’origine di una improvvida commistione tra l’interesse pubblico e quello mafioso.
Per cui la sua parte politica – checché ne pensi il Dottor Achille Fontana – avrebbe fatto meglio a non candidarlo.
Il “Bassotto” può rispondere naturalmente che lo hanno eletto Sindaco i cittadini.
Questo è indubbio, ma quanti condividono le sue opinioni sono stati messi nella classica alternativa del diavolo: perdere il Comune o tapparsi il naso e votare per Scajola.
Si tratta della stessa situazione vissuta dalla parte contraria in Umbria, dove la renitenza a dimettersi della Governatrice ha comportato il rifiuto di riconoscere uno sbaglio: come disse Charles Maurice de Talleyrand-Périgord a Napoléon quando fece fucilare il Duca di Enghien, “E’ peggio che un crimine, è un errore”.
Formigoni e Scajola: due cristiani incoerenti con i principi della loro Fede tanto nella vita privata quanto nella vita pubblica.
Uno dei due, il lombardo, si fece sostenere dall’Arcivescovo di Milano promettendo di edificare uno Stato confessionale.
Il “Celeste” passò dalla Società delle Opere al carcere di Opera, per il suo protettore valse il motto andreottiano: “Chi entra Papa in Conclave, ne esce Cardinale”.
Monsignor Scola dimenticò a suo tempo il comportamento tenuto dal suo predecessore Sant’Ambrogio nei confronti dell’Imperatore Teodosio.
Malgrado questi avesse emanato l’Editto che faceva del Cristianesimo la religione ufficiale dello Stato, il Vescovo eletto dai fedeli in virtù del prestigio malgrado non fosse neanche Sacerdote ebbe il coraggio di condannarlo: per l’appunto sul piano morale.
Eppure, in quel tempo, imperversavano le eresie, ed i Barbari erano sul punto di travolgere l’Impero.
Il peccato, però, secondo Sant’Ambrogio, non era comunque giustificato.
Quello di Formigoni da parte di Scola, e quello di Scajola da parte della Gerarchia Ecclesiastica locale venivano invece perdonati nel nome di un “pericolo comunista” che comunque era ormai passato.
Tanto Scola quanto i Vescovi della Liguria Occidentale hanno dimenticato che il potere totalitario, o che comunque aspira a divenire tale, ha bisogno di un nemico: e se il nemico non c’è, lo si inventa.
Tipico il caso dell’invasione islamica paventata da Salvini.
Il Partito Comunista era arrivato a ottenere il voto di un terzo dei cittadini.
I Musulmani, includendo nel computo i cittadini, i residenti regolari ed i residenti irregolari sono al massimo l’uno per cento di quanti vivono in Italia, compresi naturalmente i non praticanti.
Oggi ogni dittatore o semi dittatore presente nel mondo perseguita qualcuno: Putin se la prende con i Ceceni, Erdogan con i Curdi, Modi con gli Islamici, al-Sisi con i Fratelli Musulmani, Xi Jinping con i Tibetani e con gli Uiguri, Ruhani con i Sunniti: non avendone però a sufficienza in Iran, li va a cercare fuori dai confini.
L’elenco è destinato ad arricchirsi: l’estrema Destra spagnola già mette nel mirino i Catalani e i Baschi.
A questo punto, basta domandarsi chi compone in Italia la minoranza più consistente, da additare in futuro quale nemico pubblico: non si tratta dei seguaci dell’Islam, bensì di noi Cattolici liberali, o Cattolici democratici, o Cattolici “progressisti”, come ci definisce spregiativamente il Dottor Francesco Sudrio.
È curioso che i promotori del nuovo Partito Cattolico non si pronunzino su questo pericolo, che è viceversa grave e imminente.
Essi dovrebbero invece dichiarare chiaramente da che parte stanno, quella dei perseguitati o quella dei persecutori.
La Chiesa di Bergoglio non è la Chiesa di Ratti: Salvini non viene certamente definito “l’Uomo della Provvidenza”, ed anzi il “Capitano” bussa invano al Portone di Bronzo.
L’uscio però, regnante Francesco, non gli verrà aperto.
Ragion per cui il tribuno leghista cerca di infiltrare nei Sacri Palazzi qualche suo agente, magari facendolo appositamente arrivare dalla Francia.
Anche costoro, però, trattandosi di impenitenti “gaffeurs” - come si dice Oltralpe – sono stati respinti con gravi perdite.
E allora i Monsignori che vogliono la rinascita della Democrazia Cristiana dovrebbero dirci che cosa intendono farne.
Se questo Partito deve diventare un nuovo caudatario di Salvini, destinato ad entrare nella galassia della Destra per garantire al “Capitano” un accreditamento “cattolico”, dopo che Berlusconi gli ha offerto quello “liberale” e la Meloni quello fascista (in questo caso, però, le virgolette non servono), risulta evidente come da una parte l’ex Ministro non ne abbia alcun bisogno, mentre dall’altra parte noi ex democristiani siamo assolutamente contrari a fare i collaborazionisti.
Di Don Calcagno, e della sua “ Crociata Italica ”, prostituita ai fascisti repubblichini ed agli invasori nazisti, ne è bastato uno.
Se invece si tratta di opporsi a Salvini, allora lo si deve gridare a gran voce: proprio come fecero a suo tempo i Popolari che scelsero l’Aventino: gli epigoni del Conte Gentiloni erano schierati dall’altra parte, mentre quelli attuali fuggono a Bruxelles, lasciandoci nella cacca.
Il fatto che i Monsignori tacciano su questo punto risulta quanto meno sospetto: eppure, come dice il proverbio, “hic Rhodus, hic salta”.
Ammettiamo tuttavia comunque che l’intenzione sia quella di schierarsi contro Salvini, compiendo l’unica scelta per cui siamo disponibili.
Se questo è lo scopo, non c’è bisogno di un Partito.
Molto meglio agire come fermento nella società, portando il lievito e la testimonianza specifici dei credenti.
I quali hanno davanti a sé un campo di azione bel più ampio dell’impegno partitico, ed anzi della “politique politicienne” considerata nel suo insieme: il nostro compito, tramontato definitivamente il Partito Democratico, consiste nell’organizzare la resilienza della società civile, che si sta organizzando sul piano della cultura e della carità per mantenere davanti all’attuale crisi il proprio tessuto di solidarietà collettive.
Le forme di organizzazione politica verranno a tempo debito, quando la tendenza sarà invertita.
Nel frattempo, i Monsignori smettano di frapporre ostacoli alla nostra ricerca di cooperazione con tutte le altre componenti della società.
I precedenti stabiliti dalla Curia Romana quando scaricò Don Sturzo per negoziare con Mussolini un Concordato che fece dell’Italia uno Stato confessionale, quando si oppose alla partecipazione dei Cattolici alla Guerra di Liberazione e quando Ruini patrocinò Berlusconi non sono certo positivi ed edificanti.
Lasciateci lavorare in mezzo alla gente, dove porteremo sempre con noi la nostra Fede, ed anche la nostra identità.
Che non deve essere tuttavia concepita come una clava con cui colpire chi è diverso, quanto piuttosto quale motivazione del nostro agire per il bene comune.
Wednesday, November 06, 2019