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Chi – come noi - ha già i capelli canuti, ricorda una polemica che si accese in Italia negli Anni Settanta, quando l’allora Segretario della Democrazia Cristiana, l’Onorevole Ciriaco De Mita, tentò di introdurre nel dibattito politico il principio del cosiddetto “Arco Costituzionale”.
Non intendiamo polemizzare con la successiva regressione di De Mita rispetto a quella sua presa di posizione: pare che l’uomo sia finito a fare il Sindaco di Nusco, in provincia di Avellino, con i voti della Destra.
Con tutto il rispetto per l’Irpinia, tenuto anche conto del fatto che ogni uomo politico vorrebbe concludere la propria carriera rivestendo la fascia tricolore di Sindaco della sua città o del suo paese di origine, ci pare che De Mita abbia finito per vendere la sua primogenitura nella Sinistra cattolica per un piatto di lenticchie.
Tuttavia, la discriminante che l’allora Segretario tentò di stabilire, rispondendo alla proposta di “Compromesso Storico” più o meno contemporaneamente avanzata da Enrico Berlinguer, convergesse sullo scopo di ripristinare l’alleanza antifascista: che – pur con tutti i suoi limiti – aveva segnato la stagione della Guerra di Liberazione, l’abbattimento definitivo della dittatura fascista, l’instaurazione della Repubblica ed infine, per l’appunto, l’avvento della Costituzione Repubblicana.
L’errore di Berlinguer consistette non già nell’accettare la proposta che gli veniva presentata dal suo omologo democristiano, bensì dal prescindere dai suoi contenuti.
Il Segretario del Partito Comunista non si preoccupò di accertare se i suoi interlocutori intendevano mantenersi fedeli allo spirito dei Costituenti: in particolare per quanto riguardava il rispetto del principio di eguaglianza.
Sulla libertà e sulla fraternità, almeno a parole, tutti si dicono d’accordo.
L’uguaglianza comporta invece uno sforzo in direzione della giustizia equilibratrice, tanto nell’ambito giuridico come nell’ambito economico e sociale, e costituisce dunque il criterio in base al quale si distinguono i progressisti dai reazionari.
Rispetto agli Anni Settanta, la società italiana ha conosciuto una evoluzione, determinata dalla presenza tra noi di un numero sempre crescente di persone di origine straniera.
Di conseguenza, l’affermazione dell’uguaglianza comporta l’avvento di una società multiculturale.
Al tempo di De Mita e di Berlinguer, lo scontro tra i fautori ed i nemici dell’eguaglianza si giocava essenzialmente nel contenzioso sindacale, nelle lotte operaie che avevano come epicentro la fabbrica.
Oggi, questo contenzioso si è esteso a tutte le manifestazioni della vita consociata.
Chi se ne è reso conto per primo non è stata però la Sinistra, bensì la Destra più reazionaria, impersonata da Salvini.
Ha certamente ragione la Professoressa Nadia Urbinati quando denunzia, nel suo ultimo scritto apparso su “La Repubblica”, che il motto del Capitano “Prima gli Italiani” significa soltanto in apparenza una riconferma della diversa estensione dei diritti tra i cittadini e gli stranieri.
È pacifico che i primi debbano godere dei diritti politici, mentre ai secondi spettino solamente quelli personali.
Il problema consiste però nella definizione di chi sono gli Italiani.
In questi giorni, tutta la Destra ha rifiutato di compiere un gesto riparatore, riferito alla persona della Senatrice Segre, della ingiustizia commessa nel 1938 dal regime fascista quando ruppe il patto costituzionale allora vigente tra gli Italiani ed espresso dallo Statuto Albertino precisamente con l’abrogazione del principio di eguaglianza.
Partendo dal presupposto che gli Israeliti non si potessero considerare italiani, in quanto diversi per origine e per fede religiosa dagli altri cittadini, i loro diritti civili, come anche in parte quelli personali, vennero menomati.
Non siamo ancora alla riedizione delle sciagurate “leggi razziali”, ma Salvini ne ha già stabilito il presupposto, che consiste nell’adottare un criterio non tanto giuridico, bensì sostanzialmente razziale, per stabilire chi può essere considerato italiano.
Se si accetta questo presupposto, si finisce per negare tanto i diritti politici dei cittadini come a maggior ragione i diritti personali degli stranieri, anche se risiedono legalmente nel territorio dello Stato.
Per giunta – a differenza di quanto avvenne nel 1938 – non sarebbe nemmeno la Legge a stabilire chi si può considerare “italiano”, bensì il mero arbitrio di Salvini e dei suoi seguaci.
Quando ancora la Lega era separatista, nel ristorante della nostra provincia preferito dai suoi dirigenti si svolgeva una sorta di grottesco e tragico gioco di società consistente nel compilare le liste di proscrizione di tutti i dirigenti statali e parastatali da rispedire ai loro luoghi di origine in quanto meridionali.
Benché fossimo settentrionali, venimmo inclusi anche noi in questo elenco: forse a causa del nostro vincolo matrimoniale, o forse per via della nostra opposizione alla Lega.
Giunge notizia che le pattuglie delle “Guardie Padane”, malgrado il formale scioglimento di questo corpo paramilitare, girino per le vie di Bologna munite di macchine da presa per riprodurre i cognomi scritti accanto ai citofoni.
In molti casi, essi rivelano l’origine straniera degli inquilini, ma i seguaci di Salvini non si curano minimamente di appurare se si tratta di naturalizzati o di persone munite di regolare Permesso di Soggiorno.
La purezza etnica del capoluogo felsineo – dal loro punto di vista - risulta comunque contaminata.
Sembra di tornare ai tempi in cui si affiggeva sulle vetrine la scritta “negozio ariano”, o addirittura ai una “notte dei cristalli” ai danni degli esercizi gestiti da extracomunitari.
A questo punto, ci domandiamo che valore possa avere una consultazione elettorale, essendo l’intimidazione ormai praticata e diffusa sul territorio.
Ha dunque ragione la Professoressa Urbinati quando afferma che il principio di eguaglianza viene ormai messo in discussione, e che quindi non vale più il patto costituzionale.
Il rifiuto non soltanto di costituire la cosiddetta “Commissione Segre”, ma anche di compiere un atto formale di riparazione delle sciagurate “leggi razziali” non soltanto viola questo patto in modo irreparabile.
Risulta dunque necessario procedere alla sua riscrittura, tale da sancire l’esclusione di chi fonda le proprie fortune politiche precisamente sulla negazione del principio di eguaglianza.
Per uscire dal fascismo, risultò necessario sconfiggerlo in una guerra.
Oggi rischiamo di doverne affrontare un’altra.

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Mario Castellano 09/11/2019
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