L’autocrazia russa percepisce di essere dalla parte vincente della storia.
Essa, infatti, valica i propri confini, tende ad attrarre nella propria sfera di influenza i Paesi vicini, prosegue nella sua colonizzazione di quelli che un tempo erano chiamati “del Terzo Mondo” e soprattutto persegue nella destabilizzazione delle democrazie occidentali, le quali ancora persistono nel loro attaccamento ai valori del liberalismo.
Tale infatti rimane la loro caratteristica essenziale ideologica e soprattutto culturale, posto che va ben oltre le scelte compiute nel campo strettamente politico.
La conclusione cui giunge l’Autore è dunque nettissima: l’Occidente si trova sotto assedio.
Valutiamo distintamente i dati storici, quali risultano dall’analisi svolta da Maurizio Molinari.
Quando Putin, nella sua famosa intervista con il “Financial Times” (non fu casuale la scelta, quale interlocutore privilegiato nel mondo occidentale, del giornale che meglio esprime gli orientamenti della sua comunità economica e finanziaria) affermò brutalmente che “il liberalismo è obsoleto, ha esaurito il suo scopo”, ci venne in mente una definizione epigrafica di quanto era accaduto nell’Ottantanove e negli anni seguenti: “I Russi ci hanno raccontato due bugie: che la Guerra Fredda è finita, e che l’abbiamo vinta noi”.
La famosa conversazione con i giornalisti britannici si potrebbe dunque sintetizzare altrettanto epigraficamente in questo modo: “Fino adesso abbiamo scherzato”.
Per due volte, altrettante Potenze occidentali avevano tentato di invadere la Russia: prima la Francia rivoluzionaria, e poi la Germania nazista.
La guerra fredda, anche se gli Americani ebbero l’accortezza di non lanciare le loro divisioni corazzate alla conquista delle grandi pianure sarmatiche, produsse un risultato analogo a quello determinato dai due precedenti storici: lo straniero era penetrato profondamente nel territorio della Russia.
Se Napoleone era giunto ad occupare Mosca, ed i Tedeschi erano arrivati in vista delle guglie del Cremlino, dopo la caduta del Muro di Berlino l’Occidente aveva esteso i suoi confini di ben milleduecento chilometri verso l’Oriente, dal corso dell’Elba fino a quello del Don.
In tutti e tre i casi, però, la Russia aveva potuto avvalersi della sua maggiore risorsa, che consiste nell’estensione territoriale, per scambiare lo spazio con il tempo.
Per giunta, questa grande Nazione ha potuto contare su di un altro punto di forza, non derivante dalla geografia fisica quanto piuttosto dal suo “humus” spirituale: alludiamo ad una identità culturale che la rende impermeabile ad ogni tentativo di assimilazione ideologica operato dall’Occidente.
A ben guardare, la Russia di Stalin, che innalzava il vessillo del marxismo, cioè di una derivazione della filosofia hegeliana, era a suo modo più occidentalizzata di quella di Alessandro e del Maresciallo Kutuzov: eppure, nel momento decisivo, il dittatore georgiano seppe avvalersi, come estrema risorsa, dell’eredità della “Terza Roma”.
Ed è precisamente al legato costituito dal modello autocratico bizantino che Putin si rifà attualmente per contrapporsi al liberalismo dell’Occidente.
Ritorna l’antico disegno di palingenesi del mondo, di riscatto dal peccato della corruzione insita nell’Occidente che era stato concepito dal grande pensiero panslavista e pan ortodosso dell’Ottocento, in seguito reinterpretato dal Comunismo in chiave di palingenesi rivoluzionaria.
C’è però una differenza fondamentale rispetto al 1815 ed al 1945: tanto nell’una come nell’altra circostanza storica, gli Eserciti della Russia si erano fermati laddove si considerava più opportuno piazzare una linea difensiva avanzata che tutelasse questo Paese di un nuovo tentativo di invasione.
Fu la propaganda anticomunista a farci credere che Stalin volesse fare abbeverare i cavalli dei Cosacchi alle fontane di piazza San Pietro, anche se l’ambiguità di Togliatti concorse a rafforzare questa falsa convinzione.
Ora si assiste ad un fenomeno completamente diverso: Putin riprende espressamente quel disegno di conquista dell’Europa Occidentale che era stato ideato per un breve momento da Lenin, quando concepì l’idea di passare per l’Africa per conquistare l’Europa.
In questo disegno, malgrado la debolezza economica della Russia, il Presidente può contare su alcuni fattori che Molinari espone chiaramente nel suo libro: essenzialmente il fatto di porsi all’avanguardia di una alleanze delle autocrazie, accomunate dal rifiuto del modello liberale, che comprende i Cinesi con la loro “Nuova Via della Seta”, i Musulmani Sunniti guidati dalla Turchia neo imperiale con i loro disegni di espansione dell’Islam, gli Sciiti dell’Iran, non meno agguerriti, e perfino gli Indiani, alla riscoperta della loro identità religiosa.
C’è poi da considerare la condizione di obiettiva decadenza del Liberalismo: i movimenti populisti non soltanto se ne allontano nella loro prassi politica, ma addirittura postulano sul piano teorico il suo superamento.
Non è casuale che l’ideologia della Lega sia suggerita – per il tramite di Savoini – dal filosofo personale di Putin, cioè da Alexander Dugin.
La penetrazione delle potenze autocratiche straniere in Europa Occidentale avviene però soprattutto sul piano economico: se la Russia ci fornisce il petrolio ed il gas, la Cina si offre per modernizzare le nostre infrastrutture: il fatto che proprio in questi giorni cadano letteralmente in pezzi rivela quanto ne abbiamo bisogno.
Ci sono poi gli interlocutori politici: su questo punto, l’analisi di Molinari – certamente impeccabile – merita di essere completata.
La Russia, e con essa gli altri grandi soggetti che ambiscono a conquistare l’Occidente, possono agire in modo per così dire “trasversale” sull’arco politico dei nostri Paesi.
Se c’è infatti una Destra attratta tanto dal modello autocratico quanto dalla prospettiva strategica detta dell’Eurasia – che comporta inevitabilmente il passaggio dalla sfera di influenza statunitense a quella delle Potenze orientali – esiste anche una “Sinistra” indotta a simpatizzare con le forze contrapposte all’Occidente, nel nome dell’antica avversione allo “Imperialismo “Americano”.
Tale settore politico è portato ad interpretare la penetrazione di queste forze come una sorta di nemesi storica per il nostro passato dominio coloniale.
Si tratta di un segmento della Sinistra ormai relegato in un ruolo del tutto marginale, che ancora pretende di sussumere il problema della conciliazione tra l’ideale della Libertà e l’ideale della Giustizia: precisamente il motivo di quel processo di revisione che ormai risulta – noi diciamo per fortuna – irreversibile.
I suoi seguaci, tuttavia, si fanno ancora sentire.
Si annunzia a Genova una iniziativa che vedrà protagonisti Giovanni Spalla e Giulietto Chiesa; volgendo lo sguardo al passato, la “Superba” ha ospitato l’anno scorso anche la rievocazione delle Repubbliche Marinare.
Rimane comunque la necessità di riequilibrare il rapporto economico e sociale tra il Nord e il Sud del mondo: una contraddizione non certo di poco conto, dato che da ciò precisamente dipende la scelta tra la guerra e la pace.
Su questo punto, è bene ascoltare gli ammonimenti dispensati dal Papa.
Si tratta di un tema che esula naturalmente dalla recensione del libro di Maurizio Molinari.
Risulterebbe tuttavia a nostro modesto avviso opportuno riflettere su di un dato: il Papa più apertamente e convintamente schierato per la causa dei popoli oppressi è nel contempo il Pontefice che ha fatto cadere del tutto il muro di diffidenza frapposto tra il pensiero cattolico e la cultura occidentale moderna.
Si tratta però essenzialmente della cultura liberale.
Abbiamo ricordato in un nostro scritto precedente l’esortazione rivolta dall’Imperatore Nicola I al Papa Leone XIII affinché non deflettesse dal principio di legittimità, e certamente il “Sillabo” di Pio IX venne apprezzato dalla Corte di San Pietroburgo.
Molto più recentemente, il Patriarca di Mosca e di Tutte le Russie ha espresso il suo plauso a Benedetto XVI per la generalizzazione della Messa in latino.
Non risulta pervenuto un uguale apprezzamento per le aperture di Bergoglio nei riguardi delle religioni non cristiane.
Ci troviamo dunque davanti ad un dilemma: se da una parte il declino dell’Occidente accresce l’influenza sui nostri Paesi dei modelli autocratici, dall’altra le nostre società evolvono inevitabilmente verso il multi culturalismo.
Questa transizione non può essere a sua volta governata senza applicare il principio, tipicamente liberale, dell’eguaglianza.
I Comunisti che un tempo proclamavano “Ha da veni’ Peppone” ritenevamo erroneamente che la Russia sovietica avrebbe affermato questo principio in Occidente.
Non sbagliano invece, purtroppo, i Leghisti che confidano nell’aiuto della Russia per conculcarlo.
Risulta molto difficile, in conclusione, trovare un equilibrio tra l’affermazione di un nuovo ordine internazionale e la salvaguardia di quanto di buono c’è nel pensiero liberale.
Monday, November 25, 2019