É ritornata purtroppo di attualità a Roma la “vexata quaestio” degli “urtisti”.

É ritornata purtroppo di attualità a Roma la “vexata quaestio” degli “urtisti”.
Per chi non ha dimestichezza con l’Urbe, spieghiamo che con questa strana denominazione vi vengono designati i venditori ambulanti che – fendendo la folla dei pellegrini congregati in piazza San Pietro, e per l’appunto colpendoli con i loro tipici “baracchini” (di qui la denominazione) - offrono in vendita oggetti della devozione cattolica.
Per antica tradizione, gli “urtisti” sono israeliti, e la loro costituiva una delle quattro professioni che i componenti la Comunità venivano autorizzati ad esercitare al di fuori del “Ghetto”.
Anche il cosiddetto “Archiatra”, cioè il capo dei Medici addetti alla persona Papa, era in antichità un israelita, dato che all’epoca chi svolgeva la professione sanitaria veniva scomunicato, e quindi non poteva trattarsi di un cristiano.
Dopo l’interruzione causata dalle sciagurate “leggi razziali” del fascismo, gli “urtisti” erano ritornati a svolgere il loro lavoro.
Fino a quando una ordinanza della stessa Autorità Pontificia, che li aveva sempre autorizzati, ha loro interdetto l’accesso a Piazza San Pietro.
Un rappresentante della categoria ha consegnato una richiesta di revoca di tale disposizione al Papa quando Bergoglio ha reso visita al “Tempio Maggiore”.
La busta contenente l’istanza è passata dalle mani del rappresentante degli “urtisti” a quelle del Dottor Pacifici, all’epoca Presidente della Comunità Israelitica, il quale a sua volta l’ha porta al Papa.
Quest’ultimo, senza volerla ricevere direttamente – per motivi mai chiariti – l’ha fatta prendere in consegna dal Commendato Domenico Giani, presente all’incontro in qualità di incaricato della sicurezza del Pontefice.
La questione sollevata nella lettera indirizzata a Bergoglio pare sia ancora “sub judice” in Vaticano.
Mentre però gli Israeliti rispettano – come è loro costume – le norme dello Stato (nella fattispecie vaticano), i Bengalesi, che operano invece “contra legem” e  dunque violano sfacciatamente ogni imposizione tributaria, continuano indisturbati nel loro commercio, invadendo l’area antistante la Basilica.
Invano la Gendarmeria tenta sporadiche sortite per contrastarli: quando le Guardie Pontificie sbucano dall’Arco delle Campane per compiere un “pattuglione”, gli Orientali arretrano in direzione di piazza Scossacavalli.
Seguendo le regole dell’Arte della Guerra di Sun Tzu (anch’egli, non a caso, asiatico), essi si adeguano al precetto: “Il nemico avanza, ci ritiriamo”.
Se invece è la Polizia italiana a penetrare in piazza San Pietro, il ripiegamento strategico avviene nella direzione opposta.
Non abbiamo mai capito per quale ragione le due forze di Polizia evitino di operare in modo sincronico e coordinato, nel qual caso i Bengalesi non avrebbero via di scampo.
Lo spirito del Venti Settembre, evidentemente, prevale ancora su quello della Conciliazione.
Non vorremmo pensare che i Cristiani dessero una così plateale prova di inefficacia per mantenersi neutrali tra i Musulmani e gli Israeliti: questi ultimi, infatti, sono dalla parte della ragione, mentre i loro concorrenti hanno torto.
Nel frattempo, però, un’altra e ben più grave tempesta si è abbattuta sulla categoria degli “urtisti”: il Comune li ha cacciati dai siti prospicienti i monumenti storici ed artistici dell’Urbe.
Tale misura è stata recentemente aggravata, e dopo il Colosseo riguarda ora Fontana di Trevi ed altri luoghi caratterizzati dall’afflusso di turisti.
I rappresentanti della categoria hanno avanzato espressamente il sospetto che le motivazioni dell’aggravamento della disposizione vessatoria siano da addebitare ad un atteggiamento antisemita del Campidoglio.
Questo dubbio lo avevamo concepito anche noi all’epoca delle prime Ordinanze del Sindaco, ma gli amici della Comunità Israelitica ci avevano consigliato di tacerlo.
L’Onorevole Giulio Andreotti avrebbe commentato che a pensar male si commette peccato, ma si indovina.
La Raggi occupa il più alto scranno del Palazzo Senatorio grazie all’appoggio elettorale determinante dell’estrema Destra romana.
La Signora si è inoltre formata alla scuola di un fascista dichiarato quale l’Avvocato Previti, il cui collega di studio Sammarco è conosciuto nel suo ambiente politico con il soprannome di “Sindaco”.
Possiamo dunque immaginare che cosa succederà quando al posto dell’attuale Prima Cittadina ci sarà una “centuriona” come la Bongiorno o la Meloni.
Sul piano del Diritto Amministrativo, le Ordinanze ai danni degli “urtisti” risultano manifestamente illegittime.
Gli ambulanti potrebbero dunque non limitarsi alla pur necessaria opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, ed impugnare i provvedimenti da cui sono interessati dinnanzi alla Giurisdizione Amministrativa.
I motivi su cui basare i relativi ricorsi non mancano certamente.
In primo luogo, le Ordinanze del Sindaco si fondano in primo luogo su di una interpretazione estensiva e arbitraria del cosiddetto Decreto Franceschini”, emanato a protezione dei monumenti storici ed artistici.
Mentre però tale norma conferisce ai Comuni la facoltà di emanare provvedimenti come quelli relativi allo sgombero degli ambulanti, le Ordinanze si basano sul presupposto di costituire altrettanti atti dovuti.
In secondo luogo, gli atti emanati dalla Giunta Comunale disponevano in origine per un termine di sei mesi, ed in seguito sono state periodicamente reiterate.
Tale rinnovo delle disposizioni costituisce però un atto amministrativo nuovo e distinto dal precedente, che deve di conseguenza venire notificato agli interessati.
Non si è invece provveduto a tale adempimento, la cui omissione notoriamente non ha rilevanza soltanto “ad probationem”, ai fini cioè del computo della decorrenza dei termini per l’impugnazione, ma anche “ad substantiam”.
Ciò significa che la mancata notifica rende illegittimo, e dunque annullabile, l’atto amministrativo.
Quanto alla illegittimità nel merito, va rilevato anche che il trasferimento della sede in cui si svolge una attività commerciale causa al titolare un danno “grave e irreversibile”, e su ciò si può fondare una istanza di sospensione dell’esecuzione.
L’esecuzione dell’atto determina infatti la perdita dell’avviamento, che si definisce in Diritto come “la capacità della DITTA (le maiuscole sono nostre) di produrre profitto”.
La ditta – contrariamente a quanto ritengono i profani - è tutt’altra cosa dall’impresa, ed è definita dalla norma civile come “l’insieme dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.
Se la sede stessa in cui si esercita l’attività imprenditoriale viene sloggiata da piazza di Trevi e spostata in periferia, l’imprenditore è rovinato.
Se poi gli imprenditori sono tutti israeliti, si danneggia anche la loro Comunità.
Questo, naturalmente, non ha rilevanza giuridica, però è importante sul piano politico.
Il che può spiegare l’accanimento contro di loro da parte dell’Amministrazione Comunale.
Siamo davvero sicuri che non c’entri l’antisemitismo?

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Mario Castellano 15/01/2020
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