Il diligente Ufficio Stampa di via Fieschi, svegliandosi per l'occasione dal suo lungo letargo, obietterà che in realtà i Primi Cittadini accorsi a fare da “claque” al “Governatore”erano in numero di quattro.
A parte la scontata battuta sui “Quattro Rusteghi”, rispondiamo che il Sindaco di Taggia, pur
figurando quale anfitrione dell'incontro, vi partecipava in rappresentanza del suo bagnino.
Ai tempi della Prima Repubblica perfino l'inverso, cioè l'addetto agli ombrelloni e alle sedie a sdraio inviato a fare le veci del Sindaco, sarebbe stato considerato poco conveniente.
Figurarsi quanto è accaduto l'altro giorno: segno che l'attuale classe dirigente manca di rispetto non solo nei confronti dei cittadini (poveri nostri connazionali!), ma addirittura verso sé stessa.
Se dovessimo cercare un paragone adeguato a questo squallido “rendez-vous”, che perfino un seguace di Toti del livello di Scullino ha creduto meglio disertare (il Governatore merita soltanto di essere omaggiato, mentre la Madonna di Pulsi è degna di venerazione) ricorreremmo all'esibizione di un gruppo folcloristico.
Queste congreghe, che ancora si esibiscono sulle piazze della grande provincia italiana, hanno il compito di mostrare ai più giovani come ballavano i nostri bisnonni.
Anziché al ritmo del “saltarello”, del “trescone” o del “perigordino”, i superstiti destrorsi radunati a Taggia, hanno ballato al suono di una melodia possibilmente ancora più “démodée”.
Alludiamo ai Congressi Provinciali della Democrazia Cristiana, che avevano per l'appunto in genere Taggia quale scenario: non per un omaggio alla sua gloriosa storia cittadina, ma in quanto situata nel baricentro del nostro territorio, raggiungibile senza sforzo da Cervo e da Ventimiglia.
Allora, però, l'attrazione era costituita da Paolo Emilio Taviani, cui facevano corona i Deputati e Senatori locali.
La differenza consiste nel fatto che “temporibus illis” vi era quanto meno una finzione di dibattito, mentre oggi l'uomo della MEDIASET viene considerato una sorta di oracolo o di Unto del Signore: non sappiamo se di Berlusconi o di Salvini, essendo il “Governatore” transitato acrobaticamente dal “Cavaliere” al “Capitano”.
Ciò spiega la netta prevalenza dei Leghisti tra i presenti, mentre i berlusconiani hanno disertato in massa l'incontro, per non parlare dei dissidenti seguaci di Scajola.
Lo spionaggio “bassotto” ha certamente annotato chi c'era e chi non c'era, ed una vendetta
inesorabile si abbatterà su chi si fosse avventurato “in partibus infidelium”.
Dicevamo però di Taviani.
Il vecchio “Pappagorgia” – questo soprannome gli venne affibbiato dal compianto Titta Novaro – aveva buon gioco a sollevare il dibattito, immancabilmente di grande squallore.
I “big” del Partito facevano a gara a chi partiva per ultimo, come avviene nel ciclismo su pista, in cui si pratica il “sur place” essendo avvantaggiato chi sta dietro.
Se dunque il primo oratore esordiva dicendo che i Comunisti mangiavano i bambini, il secondo poteva aggiungere che lo facevano soltanto dopo averli violentati, e così via in un crescendo rossiniano che ben poco interessava ai poveri Sindaci dell'entroterra.
Questi buoni villici accorrevano in realtà per ottenere da Taviani qualche mutuo per il cimitero o per il campo sportivo comunale.
Il vecchio “P.E.T.” - così chiamato dall'acronimo delle iniziali – immancabilmente ne annunziava la concessione, non prima però di avere sbattuto in faccia ai questuanti le rispettive illegittimità amministrative: di cui il Prefetto – da lui assegnato all'uopo ad Imperia – lo aveva puntualmente informato mediante le temutissime “veline”.
Si dirà che tutto l'insieme costituiva qualcosa di squallido.
In realtà, non c'è limite al peggio.
Credevamo infatti che un giorno avremmo assistito ad un Congresso vero, mentre oggi ci è dato di
assistere ad un mediocre “revival” del Ventennio, con il gerarca venuto da Genova applaudito da una platea di cortigiani.
Taviani iniziava il suo dire insolentendo la platea, composta da noi poveri provinciali, deplorando le
nostre vedute ristrette, e per meglio mortificarci si metteva a parlare di politica estera:
era come se il Vescovo avesse impartito una lezione di Teologia Teoretica ad un pubblico costituito da vecchie beghine.
La concione terminava immancabilmente con l'annunzio di una imminente guerra tra Russia e Cina.
Che viceversa non c'è mai stata, ma tanto bastava per alimentare il nostro senso di inferiorità.
I Genovesi, fin dai tempi dei Dogi, ci hanno sempre considerato dei poveri selvaggi: a loro infatti spettava la politica estera, mentre i nostri antenati la alimentavano pagando le gabelle.
Taviani, non a caso, era considerato l'ultimo Doge della “Superba”.
Burlando ha tentato ad atteggiarsi a sua volta quale Capo della Repubblica, ma assomigliava tutt'al più ad un Prefetto dell'Impero Francese.
Ora i Democratici tentano disperatamente di farlo dimenticare dagli elettori: se non ci riescono, ci succhiamo Toti per altri cinque anni.
Quelli di Taviani erano tuttavia tempi meno peggiori degli attuali.
Sia perché l'uomo ammoniva sul fatto che il mondo non finisce a Capo Mimosa, sia perché gli stava a cuore il principio di legalità.
Toti, da questo punto di vista, rappresenta il suo esatto contrario.
Essendo egli stesso uomo di corte vedute, non ci sprona a scrollarci di dosso il nostro provincialismo, anzi è ben contento se non usciamo da questa triste condizione.
Noi dobbiamo solo portare i voti, mentre a fare politica ci pensa lui.
Sappiamo benissimo in che modo.
Se Taviani usava sagacemente i Prefetti, i Questori e financo i Marescialli dei Carabinieri – cui puntualmente chiedeva scusa per lo straordinario cui li costringeva il Congresso Provinciale -
Toti dimostra la più crassa ignoranza del Diritto Pubblico.
Il suo Capo, d'altronde, misconosce perfino il Diritto Penale.
L'amministrazione della Regione si riduce – per l'uomo MEDIASET – alla nomina di alcuni “manager” lombardi.
Un tempo, i funzionari pubblici, gli Agenti di Polizia ed i Carabinieri che si comportavano male finivano in Sardegna.
Oggi a Milano si dice ai nemici “Ti mando in Liguria” per minacciarli.
Al tempo di Taviani, eravamo una colonia di Genova.
Oggi Genova stessa è una colonia di Milano.
Molto meglio i Prefetti e i Questori di una volta, che almeno servivano lo Stato Italiano e la sua Legge.
Allo svizzero Benveduti non gliene può importare assolutamente nulla.
C'era un'altra caratteristica dei vecchi Congressi che nelle attuali Kermesse folcloristiche della Destra si è perduta.
Qualcuno – cioè noi – parlava a nome dell'opposizione interna.
Era una voce flebile ed isolata, che si lasciava esprimere per dimostrare quanto si era tolleranti.
Oggi la mandria dei Leghisti – con scarsissime iniezioni berlusconiane – viene condotta ad applaudire a comando.
Proprio come il pubblico delle trasmissioni MEDIASET a Cologno Monzese.
Gabriele D'annunzio, che all'epoca militava nell'Estrema Sinistra, commentò nel 1887 il disastro di Dogali definendo i poveri Caduti “cinquecento bruti morti brutalmente”.
Oggi, per fortuna, i bruti sono solo la quinta parte.
Monday, February 10, 2020