La Costituzione della Repubblica Italiana, nella sua stesura originaria, nel definire le competenze legislative ed amministrative delle Regioni a Statuto Ordinario, poneva ad esse due limitazioni, l’una definita – sia pure con linguaggio non corretto da punto di vista giuridico – come “orizzontale” e l’altra come “verticale”.
Quella “orizzontale” si riferiva alle materie su cui le Regioni potevano emanare atti tanto di tipo legislativo, ma soltanto “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”: e tale criterio definiva precisamente la limitazione “verticale”.
Quando finalmente le Regioni vennero costituite, nel 1970, il Parlamento emanò per l’appunto – in adempimento di tale disposizione della Costituzione – le cosiddette “Leggi Quadro” o “Leggi Cornice”.
Le quali sono rimaste in vigore anche dopo l’entrata in vigore della sua successiva riforma.
Non risulta che l’inosservanza – vera o asserita - di queste norme abbia dato luogo, nel pur lungo periodo intercorso da allora, ad alcun contenzioso dinnanzi alla Consulta.
Le Regioni, infatti, non si sono tanto preoccupate di estendere la loro competenza, quanto piuttosto di lottizzare i Primariati e di aprire e chiudere gli Ospedali in base ad esigenze di ordine elettorale.
Negli ultimi anni, la Sanità lombarda – malgrado i noti scandali, che hanno portato portato alla carcerazione di un uomo altrimenti considerato in odore di santità (!?), al punto di essere definito “il Celeste” già in questa vita – ha progressivamente colonizzato le altre plaghe della Penisola.
Il metodo con cui si è consumata questa conquista consiste nella assunzione mediante chiamata diretta dei cosiddetti “manager”, preposti ad apposite Società per Azioni a capitale pubblico.
In questo modo, viene aggirata la norma costituzionale in base alla quale si accede all’impiego pubblico solo mediante concorso.
Il CONI di Imperia fu a suo tempo battistrada di questa tendenza, che in seguito si è generalizzata.
A loro volta, le Società a capitale pubblico presentano il pregio – dal punto di vista della Destra – di scaricare le loro perdite sugli Enti Locali che le promuovono, senza tuttavia essere sottoposte al controllo di legittimità; e nemmeno al contenzioso dinnanzi alla Giurisdizione amministrativa.
I vari Governi – anche quelli di Centro – Sinistra – hanno lasciato fare.
Fino a quando i Lombardi, lanciatisi in questa specie di “Seconda Crociata” – non a caso si tratta di cattolici tradizionalisti – hanno deciso di strafare, cogliendo l’occasione dell’attuale epidemia per sfondare i famosi limiti “verticali” stabiliti a salvaguardia delle prerogative dello Stato.
La peste – proprio come ne “I Promessi Sposi” - ha però operato quale strumento della Provvidenza.
Il secessionismo proprio della Lega delle origini si è improvvisamente ripresentato, ma questa volta il Governo della Repubblica ha reagito, opponendosi alla costituzione di una Autorità “de facto” che gli si stava contrapponendo.
Se Salvini avesse ottenuto i “pieni poteri” evocati nel suo delirio etilico dell’estate scorsa – verrebbe da dire “in mojito veritas” - oggi la sua dittatura si eserciterebbe proprio mediante i “manager” della sanità lombarda, spediti in giro per l’Italia come i Prefetti sabaudi dopo il 1860.
Il “Napoleone del Giambellino” ha trovato invece la sua Waterloo.
E’ bastato che il pur sbiadito Conte reclamasse i poteri di coordinamento attribuiti al Ministero della Sanità perché il piano di conquista concepito a Milano tra via Bellerio e la sede della Regione conoscesse una “débacle” tanto imprevista quanto disastrosa.
Ora il “Capitano” strilla contro il centralismo romano: che – a suo avviso – è buono soltanto se lo amministra lui.
L’uomo non è però più in grado di sollevare contro la Capitale la bandiera dell’autonomismo, e tanto meno quella del separatismo: è stato proprio lui, infatti, ad ammainarla, nella illusoria certezza di dominare l’Italia dalla terrazza del Viminale.
Nell’attuale fase storica e nel contesto dell’Europa Occidentale,  i disegni dell’indipendentismo regionalista non possono ancora essere realizzati: sia quando si cerca di affermarli in modo lineare e coerente, come è accaduto in Catalogna, sia quando il tentativo viene compiuto seguendo vie contorte ed incoerenti, come è accaduto per la Lega.
Rimane certamente la tendenza di fondo ad affermare le distinte identità, ma questo può avvenire – per il momento – solo sul piano della resilienza.
Il Manzoni attribuisce alla peste il compito di eliminare Don Rodrigo, personificazione del prepotente di provincia: un archetipo dell’eterna commedia italiana che ha trovato in Salvini, così come nei suoi emuli sparsi sul suolo della Penisola, l’ultima incarnazione.
A ben guardare, l’Italia rifluita nel privato ed orbata di Carnevali, partite di calcio, gite nei centri commerciali, perfino di Messe, di tutte le abituali manifestazioni della vita collettiva, sorvegliata da una sorta di “Grande Fratello” che scruta perfino l’intimità dei suoi abitatori, corrisponde in modo perfetto agli auspici di Salvini.
Con l’unica differenza che si è realizzata contro di lui.

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Mario Castellano 25/02/2020
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