Il Professor Castagnino

Devo ammettere che la Scuola, malgrado ripetute e documentate sollecitazioni, nonché l’ingente sostegno economico erogato dal CONI per favorire la pratica sportiva prevista dai programmi del Ministero della Pubblica Istruzione, non l'ha mai realizzata in modo efficace, quale da sempre io avevo auspicato.
Il mio attivismo urtava sovente contro una mentalità che all'epoca ignorava le istanze dei genitori degli alunni, nonché quelle delle Società Sportive.
I principali ostacoli erano da ricercare in un atteggiamento negligente verso lo sport, proprio dei dirigenti scolastici, come anche alle difficoltà burocratiche frapposte dalle Segreterie.
Influiva, da ultimo, anche la scarsa volontà di collaborazione dimostrata dai bidelli.
Si qualcosa di positivo è venuto dall'ambito scolastico, il merito deve essere attribuito ai pochi docenti che, con ammirevole impegno, si sono prodigati per fare comprendere alla Scuola nel suo insieme i valori e l'importanza propri della pratica sportiva per i giovani studenti.
Ho ancora ben vivi nella memoria questi pochi benemeriti, ma evito di elencarli per non incorrere in spiacevoli dimenticanze.
Desidero tuttavia doverosamente richiamare alla memoria il loro decano: il Professor Agostino Castagnino, diplomato presso l'Istituto Superiore di Educazione Fisica della Farnesina.
Ebbi modo di conoscerlo di persona solo durante i miei anni di Scuola Media Inferiore.
Con il passare del tempo, la semplice conoscenza si trasformò in amicizia.
Alla metà degli Anni Sessanta, quando ricoprivo la carica di Segretario Onorario della Delegazione del CONI, allora presieduta da Domenico Caprile, subentrato da poco al dimissionario Commendator Roberto Martino Gaglio, maturammo un proficuo rapporto di collaborazione, offerta soprattutto per affrontare l'organizzazione della prime edizioni dei Giochi della Gioventù.
Essi erano riservati all'epoca solo alle Società Sportive, e vennero indetti originariamente nell'anno scolastico 1974 – 1975 dal CONI e dal Ministero della Pubblica Istruzione, permettendo finalmente all'evento di arrecare un contributo prezioso nei processori formazione dei giovani.
Il Professor Agostino Castagnino era un convinto assertore degli alti valori morali dell'Educazione Fisica.
Egli assicurava spesso, nelle periodiche riunioni con i suoi colleghi, che l'Educazione Fisica e lo sport sono fattori essenziali di un medesimo progetto educativo.
Il Professor Castagnino invitava i colleghi a curare l'aspetto tecnico dei “Giochi”: la Scuola ed il CONI – egli asseriva – devono darsi la mano e lavorare insieme per un interesse comune, che coincide con quello della gioventù della nostra provincia e consiste nell'utilizzare lo sport come strumento per essere cittadini migliori, più forti nel fisico e nel carattere.
Il Professor Castagnino aveva l'aspetto di un uomo dell'Ottocento, si suole dire di altri tempi, ovvero di un aristocratico, per essendo una persona dall'apparenza comune: la nobiltà non dipendendo dal ceto, dal casato o dal lustro, ma è una virtù che si possiede.
Suo padre era un falegname e sua madre una casalinga, provenienti dalla zona di Ormea.
Piemontese puro sangue, aveva una conversazione pacata e meditata, animato da uno spirito sportivo che aveva contribuito a trasmettere alla scuola imperiese ed ai colleghi docenti, avviando una proficua collaborazione con il nostro Comitato e con le poche Società Sportive allora esistenti.
Castagnino fu una illustre figura di uomo e di sportivo.
Lo vidi per l'ultima volta, colpito da un male incurabile, ai funerali di mia madre: era il 17 agosto del 1971.

Meditazione intermedia
Trentanove anni al servizio del CONI come Presidente del Comitato Provinciale e dodici quale Segretario sono un soffio di vento rispetto all'eternità, oppure una vita: dipende dai punti di vista.
Trentanove e più anni sono l'età dell'energia e dell'ambizione, ma anche l'età della consapevolezza dopo i fantastici sogni di quella giovanile.
Posso ben dire con consapevolezza di essere stato testimone, in questi anni al CONI, di essere stato attento testimone di un'epoca spettacolare: ho visto il bello e l'originale dello sport, tanto imperiese quanto nazionale: il bello attraverso i mezzi di comunicazione scritti e stampati, l'originale avendo vissuto con amore, gioia e dolore le storie più incredibili dello sport locale, grazie ai suoi atleti ed ai suoi dirigenti.
Il nostro CONI ha saputo svolgere con passione ed impegno un lavoro impegnativo e responsabile per tutto il movimento sportivo, e penso – senza timore di esagerare – di avere lasciato una eredità impegnativa e difficile: tutto ciò grazie ai nostri collaboratori.

Un ricordo del “Tour de France”
Ora, già che ci siamo, voglio parlare un poco del “Tour de France” del 1986, vinto dal campione statunitense Greg Lemond davanti al suo compagno di squadra - “La Vie Claire” di Monsieur Tapie – Bernard Hinault ed allo svizzero Zimmermann.
A distanza di anni, spenta l'adrenalina di emozioni vissute in prima persona, che sono rimaste dentro di me e che mai più ho riassaporato, i pensieri si ricordi nano.
Prima di addormentarmi, la mia memoria andò – fresca di quanto era accaduto – al 1952, quando la mia passione giovanile aveva vissuto, davanti alla televisione, gli ultimi chilometri della tappa che avrei percorso il giorno successivo, con l'arrivo posto in vetta al leggendario Puy de Dome, a 1464 metri di altezza.
La salita vera e propria, che conduce in vetta al colle, inizia dalla cittadina di Royat (456 metri), con undici chilometri di salita ed una pendenza che varia dal 7% iniziale al 13% fino agli ultimi tre chilometri al 12%: un tracciato difficile, con molte curve e grandissima affluenza di pubblico.
Avevo già avuto modo di conoscere la salita nel 1976, essendo stato designato anche quell'anno dall'U.C.I. quale componente del Collegio di Giuria.
Ritorno a quel lontano “Tour” del 1952.
Quel giorno, Coppi – già “leader” della classifica – ad una ventina di chilometri dall'arrivo disse a Bartali di tentare l'avventura, conoscendo le sue qualità di scalatore, per cercare il successo di tappa.
Bartali non esitò neanche un momento e prese un discreto vantaggio sul gruppo.
L'olandese Jan Nolten si portò all'inseguimento di Gino e lo raggiunse in breve tempo.
I due, alle prime rampe della salita, acquisirono un discreto margine di vantaggio sul gruppo, e tutto lasciava presagire la vittoria del campione toscano.
A quattro chilometri dall'arrivo, Bartali dovette però cedere il passo all'olandese, trovandosi in difficoltà respiratorie.
In quel momento si trovava a fianco di Gino il motociclista delle informazioni della RAI, l'amico bolognese Pierino Faroffi, il quale si attestò al lato della strada ed attese l'arrivo della “ammiraglia” della nostra squadra nazionale, su cui si trovava il Commissario Tecnico Alfredo Binda.
Faroffi lo informò prontamente che Bartali si trovava in difficoltà.
Binda, ricevuta la notizia, si portò all'altezza di Coppi, che stava guidando il gruppo: prontamente “l'Airone” aprì le sue splendide ali e raggiunse dapprima Bartali, chiese scusa, saltò addosso a Nolten ed andò a vincere a braccia alzate.
Il povero Gino, prossimo ai quaranta anni, si accontentò del terzo posto, dietro l'olandese.
L'impresa di Fausto è rimasta memorabile nella storia del ciclismo.
Si, fu una grande impresa del “Campionissimo”!
Momenti di vera esaltazione collettiva degli sportivi italiani e d'Oltralpe.
Finiva il 27 luglio quel “Tour de France” del 1986, faticoso e spettacolare, di cui ho parlato all'inizio.
Grandi emozioni mi vennero regalate dal duello tra l'americano Greg Lemond ed il francese Bernard Hinault, compagni di squadra: fu un “Tour” impegnativo e faticoso, lo ricordo bene!
Come pure ricordo bene che in quei giorni giunse notizia della morte, ad ottantaquattro anni e dopo breve malattia, di Alfredo Binda: un amico, un gentiluomo, una persona straordinaria e disponibile con tutti.
Seguivo nel contempo attraverso la stampa il “Tur de France” femminile, le cui tappe si svolgevano sulla stessa parte finale del percorso riservato ai corridori professionisti.
La nostra connazionale Maria Canins vinse per il secondo anno consecutivo la “Grande Boucle” con più di un quarto d'ora di vantaggio sulla francese Jeanine Longo, suscitando applausi e ammirazione da parte di tutti.
Mentre il “Tour” si avviava verso il suo trionfale epilogo – mancavano infatti solo due tappe alla conclusione a Parigi, nella splendida ed indimenticabile cornice dei Campi Elisi - quella stessa sera venne a prendermi in albergo a Clermont Ferrand, dove alloggiavo, il Comandante della Gendarmeria di scorta alla corsa.
Qualche giorno prima, avevo ricevuto un invito personale, redatto graziosamente su di un cartoncino, da parte del Presidente della Repubblica Francese, Monsieur Valéry Giscard d'Estaing, per una cena, che si tenne presso la sua villetta con giardino pieno di fiori e piante, elegante ma senza esagerazione.
All'arrivo in villa, venni presentato al Presidente, che dopo le consuete espressioni formali di cortesia volle parlare anche dello svolgimento della tappa, vinta dallo svizzero Eric Maechler davanti a Ludo Peter ed a Guido Van Calster.
Il Presidente mi domandò quali impressioni avessi del “Tour” e della mia città di origine, su cui commentò: “Nous sommes des voisins”.
Pochissimi gli invitati; Jacques Goddet e Félix Lévitan, Direttori del “Tour”, il Segretario Generale Taurand, Lehmuller ed Albert Bouvet, il Tesoriere Verdier, Laville e Gaillard, Herault ed il Capo dell'Ufficio Stampa Lapeyre.
Nell'attesa di dare inizio alla cena, Goddet, con cui stavo amichevolmente conversando, prese dal tavolo la lista del “menu”, anch'essa elegantemente all'uopo predisposta, inviandomi a porgere una espressione di omaggio al Presidente, a ricordo della nostra serata.
Prontamente feci presente che avrei maggiormente gradito un suo pensiero, quale leggendario “patron” del “Tour” e Direttore del quotidiano francese “L'Equipe” cantore delle più grandi imprese dei campioni dello sport.
Goddet non esitò e prontamente scrisse questa espressione di tono scherzoso: “Quand un Président rencontre un autre grand Président”.
Domandai altrettanto scherzosamente a Goddet chi fosse il grande “Presidente”, ed egli disse prontamente di rimando: “C'est à vous, cher ami Ivo, à décider!”
Il simpatico scritto e la spiritosa affermazione causarono in me una piacevole sensazione, tanto che ancora custodisco quel simpatico “menu”.
Quante storie a tinte forti sa raccontare il ciclismo di un'epoca irripetibile!

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Mario Castellano 06/03/2020
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