Iniziamo questo scritto con un breve resoconto di quanto avviene qui ad Imperia.
Sono spariti dalle strade i provocatori al soldo della Destra che prima pullulavano offendendo le persone di diversa opinione e improvvisando comizi volanti nei caffè all'aperto. Costoro operano però adesso nelle code che si formano davanti ai supermercati. Questa mattina, uno di loro ci ha dapprima accusati di propagare l'infezione, e poi - non essendo caduti nella provocazione - ha aizzato all'interno i commessi a rivoltarsi contro il Governo. Abbiamo ragione di temere che questo sia solo l'inizio.
Una piccola nota di colore, che risulterebbe ridicola se non fosse inserita in una situazione drammatica, anzi tragica. Ieri, in uno spettrale pomeriggio domenicale, con la cittadinanza chiusa in casa per una sorta di coprifuoco, un'automobile della Protezione Civile ha percorso le strade con un altoparlante che diffondeva a tutto volume le note dell'Inno di Mameli.
Se i quadri di De Chirico, che raffigurano dei panorami urbani spettrali, in cui non appare alcuna figura umana, potessero avere un commento musicale, quanto ci è toccato di udire ieri, risulterebbe certamente il più appropriato. Ad uno scenario fatto di edifici dalla monumentalità astratta, ispirati alle costruzioni piacentiniane dell'EUR, farebbe degno riscontro l'altrettanto astratta sonorità di una composizione magniloquente nel testo e squillante nelle note.
Se lo scopo consisteva nel "sollevare il morale della truppa", come si diceva in tempo di guerra, si è senza dubbio raggiunto l'effetto esattamente contrario. I poveri cittadini di Imperia hanno infatti visto aggiungere al danno la beffa. Lo spettacolo organizzato dall'Amministrazione Civica era infatti caratterizzato da un evidente illogicità. L'Inno di Mameli evoca i momenti di aggregazione del popolo, che si ritrova invece oggi diffidato dal riunirsi in quanto viene definito con il termine spregiativo di "assembramento".
Che cosa sarebbe successo se i nostri poveri compaesani, in un improvviso quanto improbabile empito patriottico, si fossero riversati per le strade unendosi nel "Canto degli Italiani"?
La Forza Pubblica avrebbe dovuto sanzionarli doppiamente, non potendo giustificare la loro presenza in un luogo pubblico, per giunta in riunendosi in violazione delle misure vigenti. il Sindaco Scajola (con la i lunga), che qui tutti chiamano con il soprannome di "Bassotto"- non riferendosi alla razza canina, bensì ai personaggi di Topolino - emula quei guitti i quali, per evitare il fiasco del loro spettacolo, si avvolgevano nel Tricolore intonando per l'appunto inni patriottici.
Il prossimo passo in questo "descensus Averni" consisterà verosimilmente nel travestirsi da donna. L'uomo è d'altronde notoriamente del tutto alieno dal senso dello Stato. Giunto al Viminale la sua prima cura consistette nell'assegnarsi un ascensore riservato, dal quale fu escluso perfino il Direttore Generale. Ciò valse a creare un clima di diffidenza e di ostilità, mai dissipato. Personaggio digiuno di ogni sapere giuridico ed amministrativo, l'ex Ministro deve soprattutto a questo limite della sua cultura e del suo "habitus" mentale le ricorrenti disavventure giudiziarie, paragonate dalla plebe alle tre cadute di Gesù sotto la Croce.
I funzionari chiamati a collaborare con lui cadono immancabilmente a loro volta in disgrazia quando lo avvertono di qualche illegittimità, peggio ancora se si tratta di illiceità. Nella sua ultima epifania quale Sindaco, l'uomo ha chiamato ad affiancarlo un "City Manager", il quale - ispirando un recente comunicato stampa - ha confuso la sanzione con la ratifica: uno strafalcione degno di Franco Brioglio.
Passiamo però adesso ad argomenti più seri.
La città era stata così vuota, a memoria dei più anziani, soltanto nel 1944, quando il timore dei bombardamenti e dei rastrellamenti fece disperdere la popolazione nelle campagne circostanti. Ai venti mesi dell'occupazione nazista si riferivano gli infiniti racconti che abbiamo udito dalla vecchia generazione. Oggi la gente sta in casa, ma presto la mancanza di attività economiche e del venir meno della stessa vita civica la indurrà probabilmente a disperdersi un'altra volta. In quella sorta di accampamento collettivo quale divennero dal 1943 al 1945 le case di campagna, che un tempo tutte le famiglie della Liguria per fortuna possedevano, non destinate alle vacanze bensì ad integrare il reddito con un poco di olive, frutta, verdura, conigli e galline, si trovò rifugio. Quello fu il tempo della Resistenza ma il primo impegno - che più veniva ricordato - fu piuttosto la resilienza. E la resilienza consisteva - come succede anche oggi - prima di tutto nel continuare a vivere. La sopravvivenza fisica risultò possibile grazie all'aiuto reciproco, sorto spontaneamente tra familiari, amici e vicini. Qualcosa di simile fu vissuto nel Paese di adozione da nostra moglie dopo il terremoto che nel 1972 distrusse completamente Managua. La popolazione della capitale era in gran parte originaria della provencia e il Governo mise a disposizione dei superstiti i mezzi necessari per trasportarli nei luoghi di provenienza.
Tutti i parenti raggiunsero così Niquiriche, e poichè la casa di famiglia non poteva accogliere tanta gente, venne eretta una grande baracca nel cortile, dove si rimase - condividendo il cibo - per molti mesi.
Come avviene il passaggio dal momento in cui si ricostruisce il tessuto connettivo della società a quello successivo della Resistenza?
È difficile collocarlo nel tempo, in quanto non coincide con un evento e tanto meno con una data particolare. Si diviene resistenti quando si matura la coscienza che non esistono più le vecchie Autorità costituite, o comunque che esse non sono più in grado di svolgere le loro funzioni, che il nuovo tessuto sociale, sorto in origine per una solidarietà spontanea e non organizzata, può dar vita ad un nuovo patto collettivo, ad un nuovo ordine, posto su basi diverse dal precedente e supportato dall'aver saputo superare insieme la prova.
Che cosa possiamo ravvisare di tutto questo in quanto sta succedendo?
I mezzi di comunicazione sottolineano giustamente la disciplina dimostrata da quasi tutti e la generosità espressa da molti, spinta a volte fino all'eroismo. Noi registriamo anche, per dovere di cronaca, i segni di sbandamento di certe Autorità. Non lo facciamo certamente per incitare alla disobbedienza, ma soltanto per denunziare chi non si dimostra all'altezza dei suoi compiti. Il problema non consiste tuttavia nel dare il voto ai Sindaci, ai "Governatori" e ai Ministri.
Occorre piuttosto valutare in quale termini bisognerà riformulare il patto che unisce tra loro gli Italiani. Questo bisognava farlo in realtà ben prima dell'epidemia, e a prescindere dall'emergenza: figurarsi ora, quando si palesano tutti i limiti di un sistema che unisce i difetti dello Stato unitario e di quello federale, senza però mostrare i pregi né dell'uno, né dell'altro.
Assistiamo infatti a una esibizione muscolare dell'Autorità, che tuttavia non si dimostra abbastanza efficiente e nel contempo a una polemica da parte di alcune Regioni cui non si accompagna però una corrispondente assunzione di responsabilità. Ci spieghiamo con un esempio: il Presidente della Catalogna ha deciso che tutto il territorio della Generalità divenisse "zona rossa", praticamente erigendo un confine interno nello Stato spagnolo.
Fontana polemizza con Conte perché non arriva l'autorizzazione a costruire un nuovo ospedale. Se il "Governatore" ritiene di aver compiuto i requisiti, o comunque che l'opera sia necessaria, dovrebbe imitare il collega di Barcellona e iniziare i lavori. Si preferisce invece fare i separatisti, ma soltanto a parole.
Risulta chiaro che dopo questa guerra - perché di guerra si tratta - lo Stato italiano dovrà venire completamente riformato in senso federale oppure lasciare il posto ad altre compagini. Esso infatti, come tutti gli altri Stati nazionali, risulta troppo esteso per governare il territorio e troppo ristretto per governare l'economia. Questa è l'altra, decisiva analogia con gli anni dal 1943 al 1945: è iniziata una nuova fase costituente. L'importante - oggi come allora - è che sia il popolo a decidere.

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Mario Castellano 16/03/2020
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