Leone Tolstoi ha scritto che tutte le famiglie felici si assomigliano, ma ogni famiglia infelice lo è a modo suo.
Parafrasando il grande scrittore, si potrebbe affermare la stessa cosa a proposito delle città.
Le quali sono indubbiamente infelici a causa delle sofferenze e della miseria causate dalla epidemia, ma – per l’appunto – lo sono ciascuna in modo diverso.
Non vi è alcun dubbio sul fatto che questa situazione faccia emergere il meglio ed il peggio tanto nelle singole persone quanto nelle loro aggregazioni.
Non essendo corretto valutare il comportamento individuale dei nostri concittadini, cercheremo di considerarli “sub specie” delle diverse identità in cui essi si suddividono, di ispirazione tanto religiosa quanto politica.
La chiesa cattolica vive ad Imperia una situazione di scisma “de facto”.
Da quando il famoso “motu proprio” di Ratzinger ha stabilito che per celebrare la messa in latino non è necessaria l’autorizzazione dell’Ordinario, i tradizionalisti si sono arroccati nella chiesa della Madonna di Loreto sede dell’antica confraternita di San Martino di Tours fin da quando il disastroso terremoto del 1887 distrusse la cappella a lui dedicata, eretta sulla omonima collina, posta a levante dell’abitato di Oneglia.
La chiesa della Madonna di Loreto ospita anche la statua della barca di San Pietro, effigiato insieme con Sant’Andrea e San Filippo nell’atto di tirare a bordo la pesca miracolosa.
La scrittura dice che in quella occasione, su esortazione del Divino Maestro gli apostoli non gettarono la rete a dritta, bensì a manca.
Lo scultore Perasso, nostro antenato, fu fedele a questo racconto nel comporre la sua opera quanto ai pesci, sono tutte sardine: questo costituisce viceversa un anacronismo, dato che le acciughe non si trovano nel Lago di Tiberiade.
L’artista reclamò tuttavia dalla corporazione dei pescatori, committente della statua, che gliene fosse consegnata una quantità adeguata: al fine, naturalmente di ispirarsi, ma anche per nutrirsi.
A quel tempo, si usava “brestolire” (arrostire) questi pesci nella brace, e poi mangiarli con le spine.
La statua viene portata in processione dai pescatori in due occasioni: la festa patronale di San Giovanni Battista e quella del loro collega e protettore.
In tali solennità, i componenti della corporazione camminano scalzi: non per devozione, bensì perché sulla barca non si usano le calzature.
I tradizionalisti, in palese contraddizione con la loro stessa denominazione, si sono impossessati del luogo di culto comportandosi come il classico elefante nel negozio di cristalleria, ignorando i diritti tanto della Confraternita di San Martino quanto della corporazione dei pescatori.
Vane sono risultate le proteste dell’una e dell’altra.
Lo “status quo” che ne ha calpestato le prerogative venne propiziato a suo tempo non soltanto dal parroco di San Giovanni Battista, ma soprattutto dal Vescovo di Albenga, in seguito costretto da Bergoglio a dimettersi a causa del suo contubernio con i lefevriani.
La messa celebrata secondo il “vetus ordo” ha agglutinato una congerie particolarmente agguerrita di irriducibili, i quali curano con scrupolo maniacale la coreografia.
Basti pensare che il celebrante deve officiare calzando scarpe con le fibbie d’argento, pena la invalidità della funzione.
I movimenti dei sacerdoti e dei chierichetti hanno la solennità del cambio della guardia a “Buckingham Palace”.
Il “clou” è però costituito dai paramenti, forniti dal “leader” dei “tridentini”, il quale ne fa incetta sul mercato antiquario.
Questo signore, che circola per Imperia in abiti ottocenteschi, possiede anche una “cappa magna” munita di strascico sorretto da quattro addetti.
Tale indumento veniva da lui imprestato all’ex vescovo Oliveri, in occasione delle celebrazioni, e subito dopo ripiegato e riportato a casa.
Della fede di questa accolta di “laudatorio temporis acti” non possiamo naturalmente dire nulla: “nolite judicare”.
La loro speranza è naturalmente riposta in una restaurazione politica e religiosa che ci riporta prima del 20 settembre.
Quanto alla carità, “sunt lacrimae rerum”: da quando c’è l’epidemia non hanno regalato ai bisognosi neanche un pacco di pasta.
La Caritas, invece, si sta prodigando, per cui il “derby” tra i “progressisti” e i tradizionalisti è stato stravinto dai fautori della riforma conciliare.
In campo politico, il sindaco Scajola (con la “i” lunga), preso da delirio di grandezza, emana decreti cervellotici e draconiani nello stile delle gride manzoniane.
La nostra quota dei famosi quattrocento milioni, nel silenzio del decreto con cui sono stati erogati, è stata distribuita in contanti, recapitati a domicilio ai richiedenti: i quali si sono “autocertificati” per telefono, dichiarandosi “bisognosi”.
Nessun requisito è stato richiesto, e tanto meno accertato.
Quanto all’ordine cronologico delle domande, lo si sarebbe potuto stabilire se si fossero presentate per iscritto, e dunque debitamente protocollate.
La fretta è sempre cattiva consigliera.
Finiti i soldi, il primo cittadino si è manifestato fantasmaticamente con un messaggio registrato spedito a tutti gli abbonati al telefono con cui batte cassa: mai appello è caduto in un vuoto più assoluto.
Il seguito di Scajola era in origine organizzato sul modello delle “curve”, come tifoseria della locale squadra di pallanuoto.
Le cui imprese sono però finite da quando la ditta “Carli” ha deciso di ritirare la propria sponsorizzazione, essendosi stancati i titolari di finanziare i capricci dell’ex ministro.
Qualcuno, tra i capi dei tifosi, mantiene tuttavia i benefici acquisiti negli “anni ruggenti”: vi è chi colleziona tre stipendi, quello della società sportiva, quello di funzionario del partito e quello di dirigente di un ente pubblico.
A quest’ultima carica è assurto per chiamata diretta.
Speriamo che almeno non abbia ottenuto il sussidio quale “bisognoso”.
La consorteria dei tesserati di “Forza Italia” era organizzata sul modello paramilitare: quando si celebravano i raduni, ciascuno degli adepti doveva segnalare la propria presenza al rispettivo capogruppo.
Gli assenti erano chiamati a giustificarsi presentando un certificato medico.
Tutto era copiato dal “sabato fascista”.
Una volta, in occasione delle festività natalizie, venne indetta una cena nel palazzo dello sport di Diano Marina.
Ogni iscritto fu taglieggiato per cinquanta euro.
Una povera signora chiamò il partito lamentando che aveva l’automobile rotta, ed implorando di essere esonerata.
Le fu inviato a domicilio un veicolo, e dovette aggregarsi alla folla plaudente.
Da tutti costoro, non è venuto nessun aiuto.
Per quanto riguarda la “sinistra”, i democratici hanno finalmente trovato un pretesto plausibile per mantenere sprangata la loro sede, ove non si trova più da tempo né il segretario provinciale né l’impiegata.
Qualche vicino asserisce che si aggira nei saloni deserti il fantasma dell’onorevole Alessandro Natta.
Anche di qui, zero aiuti.
I “rifondatori” hanno messo un banchetto fuori dalla loro sede al fine di raccoglierli, ma con esiti penosamente scarsi.
Poiché si tratta di nostalgici del partito “trasversale” a suo tempo coagulato intorno alla importazione di selvaggina dalla Serbia, siamo stati tentati di domandare se la ditta “Silase” di Castiglione del Lago avesse offerto qualche filetto di cinghiale, o qualche lepre in salmì.
Impietositi da uno spettacolo così desolante, abbiamo tirato dritto.
Non si compiono neanche più le raccolte di cibo nei supermercati, proprio quando ce ne sarebbe più bisogno.
È vero che la solidarietà collettiva ha bisogno, per manifestarsi, della aggregazione fisica delle persone, ma è anche vero che la migliore carità è la più discreta.
C’è tutta una trama di gesti nascosti e silenziosi.
I musulmani si sono organizzati affinché a nessun componente della comunità manchi il necessario.
Non sappiamo se contino soltanto sulle risorse locali, o se invece sia intervenuto lo “Islamic Relief”.
Certamente, però, il precetto della “zacat” opera esemplarmente.
La Caritas non provvede in modo sistematico alle necessità dei cristiani, il cui impegno non necessariamente si esprime attraverso delle organizzazioni di ispirazione religiosa.
Si dimostra ancora una volta la verità e la validità di una nostra convinzione: la fede, nella nostra società, è vissuta in modo privato e soggettivo.
Essa deve certamente ispirare e motivare la carità, ma ciascun credente deve offrire il proprio contributo mescolandosi con tutti gli altri cittadini, senza caratterizzarsi secondo un criterio confessionale, nell’attività sanitaria, in quella produttiva e nei servizi sociali, tra cui vi è anche l’informazione.
Questo è già avvenuto durante la Prima Guerra Mondiale, e poi durante la resistenza, contribuendo in entrambe le circostanze storiche ad abbattere i vecchi steccati e a superare le antiche diffidenze.
Quanto ci deve distinguere è la nostra coscienza di credenti, ed il nostro impegno di uomini di buona volontà.