La Festa della Liberazione, per la prima volta dal 1945, non è stata celebrata.
Di questo 25 aprile, rimarrà la memoria della figura curva e dolente del Presidente Mattarella, solo con due corazzieri sull’Altare della Patria.
L’assenza anche di un solo resistente riscontrata nella cerimonia – se di cerimonia si può parlare – anticipa di qualche tempo il giorno in cui anche l’ultimo superstite del “Corpo Italiano Volontari della Libertà” sarà scomparso.
Nel 2008, vennero celebrati nel duomo di Milano i funerali dell’ultimo cavaliere di Vittorio Veneto, tale Delfino Borroni, deceduto alla età biblica di centodieci anni.
I garibaldini, finché vissero, presenziavano con i loro labari alle solennità patriottiche.
Il loro destino e quello dei partigiani sono stati simili: entrambi, avendo appartenuto ad eserciti sorti spontaneamente, vennero smobilitati senza poter influire sulle vicende dapprima del regno unitario, e poi della repubblica.
Gli eserciti di popolo, dimostrando con la loro stessa esistenza di come la gente possa organizzarsi dal basso, insorgere e vincere una guerra, non sono graditi dagli stati autoritari.
Molti tra i garibaldini, come anche molti tra i partigiani, ebbero problemi con la polizia e con la giustizia.
Giunti alla tarda età, venne proposto agli uni e agli altri di avallare con il loro prestigio un esito politico e istituzionale su cui non avevano potuto influire.
Vi fu chi rifiutò e vi fu chi accondiscese, per convinzione o a causa della concessione di prebende.
Gli ultimi veterani delle guerre risorgimentali finirono per aderire all’insorgente fascismo, o perché già completamente obnubilati, o vedendo in esso la realizzazione di un ideale nazionalista: che non era però certamente quello di Mazzini e del giovane Garibaldi, nato repubblicano e morto monarchico.
Negli anni immediatamente successivi alla liberazione, soffiava quello che Nenni definiva il “vento del nord”, cioè l’influenza del movimento partigiano sugli orientamenti del nuovo stato.
Questa tendenza si affermò con l’instaurazione della repubblica, e poi si riflesse nelle enunciazioni programmatiche della Costituzione.
In seguito, cominciò la restaurazione.
Guardando alla mappa politica dell’Italia di oggi, vediamo che il “vento del nord” soffia in favore della destra.
Tutti i governatori appartengono alla Lega, o sono comunque vincolati strettamente con questo partito.
La risicata maggioranza che sostiene in parlamento il governo di Conte viene espressa dal centro e dal meridione.
Che cosa significa questo rovesciamento negli orientamenti politici del paese?
In sostanza, esso costituisce il risultato dell’esaurimento di tutte le culture politiche che avevano ispirato l’antifascismo.
Anche la cultura politica liberale, dopo l’unità, si era andata progressivamente spegnendo, senza lasciare eredi nelle nuove generazioni.
Compiuta tale decadenza, venne Mussolini, oggi sono arrivati i vari Renzi, Salvini e Conte.
Rimangono fedeli alla sinistra, al di sotto del Po, l’Emilia e la Toscana, grazie ad un radicamento secolare nel tessuto sociale e nella cultura propria di queste regioni.
Bonaccini ha vinto richiamandosi alla identità dei suoi conterranei.
Questo stesso richiamo ha però determinato, sull’altra sponda del grande fiume, il risultato contrario.
C’è poi tutto il meridione, che in parte è ritornato a destra, ma si mantiene leale verso le istituzioni della repubblica.
Le vicende della Resistenza e della Liberazione, considerate retrospettivamente alla luce della storia precedente e successiva, tramontata da tempo ogni speranza non soltanto in una palingenesi rivoluzionaria, ma anche in un effettivo progresso civile dell’Italia, si possono leggere come una tappa importante nel processo di emancipazione dei popoli.
Questo fenomeno storico è proseguito successivamente, rivelandosi inarrestabile, nel meridione del mondo, prima con la decolonizzazione, e poi con l’affermazione – in tempi più recenti – di nuove potenze poste al di fuori dell’occidente, inteso tanto in senso geografico quanto in senso culturale.
Si tratta di una tendenza che ha coinvolto l’Italia quando sul trono occupato nel 1945 da Eugenio Pacelli è assurto un uomo “chiamato dalla fine del mondo”.
Il quale – appena eletto – si è recato a Lampedusa, come per significare che l’immigrazione dal suo mondo prosegue oggi il processo iniziato con la Prima Guerra Mondiale, continuato con la Seconda e poi con le vicende successive.
Il secondo viaggio del Papa fu a Cagliari, formalmente nel nome della Madonna di Bonaria (che diede nome alla capitale del suo paese), ma in realtà per manifestare come Bergoglio vedesse nella divisione dell’Italia tra una parte dominante ed una ridotta al rango di colonia interna con solo un apologo della situazione mondiale, bensì il suo riflesso nelle nostre vicende interne.
Lo scontro tra il Nord e il Sud sta giungendo proprio in queste ore ad uno snodo drammatico e forse decisivo.
Non importa, dunque, commemorare il venticinque aprile.
Il contenzioso politico non deve più riferirsi al passato: esso riguarda l’attualità.
Mentre le ordinanze dei governatori del settentrione ripristinano la libertà di movimento in ambito regionale, il governo Conte – di cui ancora non sappiamo se intende emanare un nuovo decreto del Presidente del Consiglio – mantiene in vigore le restrizioni.
Risulterà decisiva, a questo punto, la scelta delle autorità di polizia: se sanzioneranno chi esce dal territorio del comune di residenza obbediranno al governo nazionale, in caso contrario dimostreranno di riconoscere un’autorità regionale, che diverrebbe perciò stesso separatista.
I governatori avranno naturalmente cura di astenersi dal reclamare formalmente l’osservanza delle loro disposizioni.
Incombe infatti su di loro la minaccia di un commissariamento delle regioni ex articulo 126 della costituzione “per atti contrari” a quanto essa dispone.
Va però aggiunto che gli organi regionali, nel reiterare il divieto di uscire dal rispettivo territorio, incorrono nella stessa nullità già da noi denunziata nei decreti del Presidente del Consiglio.
Assistiamo dunque ad un conflitto tra due poteri che agiscono entrambi “de facto”.
L’esito dipenderà – come sempre è avvenuto nella storia d’Italia – da quanto decideranno gli stranieri: l’Unione Europea, rifiutando sostanzialmente l’aiuto richiesto da Conte, ha deciso in sostanza di incoraggiare una logica separatista.
Della quale si attende la manifestazione in forma di atti di diritto pubblico: “motus in fine velocior”.