Da qualche giorno, i redattori de “La Repubblica”, ed in particolare i suoi commentatori, sono impegnati in una frettolosa correzione di rotta in riferimento alle scelte compiute da Conte.
Diciamo da Conte, e non dal suo governo, in quanto – come sempre avviene nei regimi autoritari, siano essi aperti o mascherati – le decisioni sono concentrate in una sola persona e nei suoi stretti collaboratori: i quali però non agiscono in base alle funzioni a loro attribuite formalmente, bensì a quelle assunte di fatto.
Basti pensare a come i vari “commissari” abbiano ormai esautorato i diversi ministri.
I quali tuttavia si guardano bene dal protestare per tale “diminutio capitis”.
Il ragionamento svolto nei diversi editoriali usciti sul giornale di Via Cristoforo Colombo si può riassumere più o meno in questi termini: in alcuni paesi, l’emergenza sanitaria ha favorito, accelerato o portato a compimento la transizione dal regime democratico alla dittatura.
Dapprima si sono attribuiti poteri straordinari ad un organo dello stato, poi questo conferimento si è trasformato da provvisorio in definitivo.
A questo punto, sorge la domanda: posto che questo è avvenuto anche in Italia, possiamo ancora sperare che la situazione sia reversibile?
La risposta espressa su “La Repubblica” è che lo vedremo presto, non appena cessata l’emergenza sanitaria.
Fino a quel momento, si deve concedere a Conte il beneficio del dubbio.
Quanto meno, non è lecito fare il processo alle intenzioni del Presidente del Consiglio.
Il problema non è posto – a nostro modesto avviso – nei suoi termini corretti.
Ci si dovrebbe infatti domandare se la lesione della Costituzione sia già avvenuta o meno.
Abbiamo già scritto che ciò ha avuto luogo nel momento stesso in cui si è preteso di trasformare un atto amministrativo – quale è il decreto del Presidente del Consiglio – in un atto di carattere legislativo.
“Ad colorandum”, si è fatto ricorso a questo strumento per violare la riserva di legge stabilita dalla costituzione in materia di limitazione dei diritti personali.
Chiarito dunque che si è già consumato un colpo di stato, essendo stata modificata la Costituzione materiale senza seguire il procedimento stabilito per introdurvi degli emendamenti, ci associamo naturalmente all’auspicio che Conte – novello Cincinnato – smetta i panni del dittatore e si ritorni all’osservanza delle norme che regolano la composizione ed il funzionamento degli organi dello Stato.
Ciò dipende però dal compimento di una condizione risolutiva, stabilita dal Consiglio dei Ministri lo scorso 31 gennaio.
Tale condizione consiste nella cessazione dell’emergenza.
A questo punto, però, entrano in gioco due variabili: in primo luogo, quand’anche l’epidemia cessasse subito e completamente, rimarrebbe la conseguente emergenza economica, alla quale si riferisce, oltre che alla profilassi, gran parte della decretazione emanata dal Presidente del Consiglio.
Il quale potrebbe dunque considerarsi munito degli attuali poteri straordinari.
In secondo luogo non risulta chiaro chi dovrebbe accertare se la condizione risolutiva si è verificata.
Se l’organo competente fosse lo stesso Presidente del Consiglio, gli basterebbe affermare che l’emergenza prosegue per trasformarsi in un dittatore nominato a vita.
C’è poi un terzo criterio, che risulta dalla “forma mentis” di Conte, ed è di gran lunga il più insidioso: l’uomo non ha una visione liberista dell’economia.
Egli si riconosce infatti – pur non essendo iscritto al partito penta stella – nei principi che lo ispirano, riferiti alle idee “new age” del neo paganesimo, legati al culto della dea Gaia.
In materia sociale, risulta evidente la diffidenza verso ogni forma di aggregazione, offerta dalla religione, dalla scuola, o semplicemente dalla convivialità: anche i bar e i ristoranti sono chiusi, e comunque non vi si potrà più riunire.
In economia, i “penta stellati” sono dirigisti.
Pur non postulando – come avveniva nel caso dei vecchi partiti comunisti – la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, esso si propone comunque di sottoporli ad un controllo da parte dello stato.
Tale essendo l’ideologia dei “penta stellati”, si può prevedere che Conte dichiari superata l’emergenza solo quando sarà stato realizzato il programma del suo partito.
Ecco spiegati i motivi del declassamento del nostro debito pubblico: le agenzie internazionali vedono l’imminenza di una situazione di instabilità a causa delle resistenze che un simile disegno rivoluzionario è destinato a incontrare.
Alla fine del processo di transizione, l’Italia assomiglierà molto alla Cina, cioè ad un paese in cui non è vero che esista la libertà di intrapresa: la costituzione di nuove imprese è infatti subordinata alla autorizzazione da parte dello stato.
Se è vero che le diverse attività produttive godono di una certa autonomia, il capitale investito è pubblico.
Spesso, anzi, il suo titolare è l’esercito, come nel caso della ditta che produce il sistema “5 G”.
A questo punto, è opportuno interpellare i colleghi de “La Repubblica”, nonché il loro partito di riferimento.
Accanto ad un piccolo gruppo di liberal-socialisti, provenienti dal “mondo” di Pannunzio, di cui sopravvive però solo il quasi centenario Scalfari, si tratta di ex comunisti “riciclati”.
Scegliendo una alleanza di seguaci con i “penta stellati”, tanto i giornalisti de “La Repubblica” quanto i dirigenti del “Nazareno” rischiano di rimangiarsi tutto il processo di revisione compiuto dai comunisti italiani.
In primo luogo, si assume un modello straniero, anche se non è più sovietico, bensì cinese: con tanti saluti alla “via italiana al socialismo”.
In secondo luogo, si entra a far parte della sfera di influenza di una potenza straniera.
Avviene così quanto a suo tempo veniva paventato dalla propaganda anti comunista.
Non è casuale che Renzi, il quale non è mai stato comunista, sia il primo a prendere le distanze.
Ci domandiamo però dove fosse il “rottamatore” quando i suoi ministri rottamavano la Costituzione.
Tornando a “La Repubblica”, pare evidente che le preoccupazioni crescenti degli ambienti occidentali per quanto avviene in Italia abbiano finalmente trovato ascolto.
Si è infatti riaperta l’eterna contesa tra le potenze straniere per il predominio sull’Italia.
Via Cristoforo Colombo non si schiera con i cinesi, ma le sue scelte intanto potranno influire sulla situazione in quanto sopravviva in Italia una cultura politica liberal-democratica.
Il professor Alberto Melloni ha sempre ammonito che quella propria dei “penta stellati” è una cultura politica di destra.
Noi diciamo che essa è irrimediabilmente autoritaria.
Bergoglio se ne è accorto fin da quando il comune di Roma ha minacciato di tassare i beni ecclesiastici, assumendo nei riguardi della Chiesa un atteggiamento ancora più avverso alla libertà religiosa di quello espresso ora dai decreti del Presidente del Consiglio: del quale la Raggi si proclama con orgoglio discepola.
Tra i suoi due maestri, Previti e Conte, quest’ultimo è certamente il più autoritario.
Post scriptum.
Ci giunge notizia che “Faro di Roma” si è schierato con Conte.
Il “feeling” con i “penta stellati” era già iniziato con il sostegno alla giunta capitolina “qui se ressemble, s’assemble”, come scriverebbe “Le Phare”.
Che però non è uscito, malgrado le promesse del dottor Celi al Nunzio Apostolico ed al governo francese.
Per non rimanere al buio useremo le tipiche lanterne cinesi.
Il sindaco di Imperia, per fare un dispetto a Toti – come ai tempi dei vecchi congressi della democrazia cristiana – ha deciso di infliggere un’altra settimana di chiusura ai bar e ai ristoranti.
Scajola crede che tutti i suoi sventurati concittadini siano nelle stesse condizioni di quel suo fanatico sostenitore beneficiario di ben tre stipendi: uno quale dirigente di un ente pubblico, dove è stato assunto per chiamata diretta (se è così bravo, perché non ha fatto un concorso?), uno come dipendente di una società sportiva ed uno di funzionario del suo partito.
Chiusi gli impianti sportivi, chiusi gli uffici pubblici e fermo il partito, questo signore incassa il suo triplice salario senza fare un c… il che costituisce per lui il colmo della felicità.
Purtroppo, però, c’è anche chi deve lavorare per mangiare.
Bravo Scajola!

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Mario Castellano 01/05/2020
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