Corrado Augias, scrivendo su "La Repubblica", si dice stupito dal silenzio sceso sulla città di Roma a causa delle attuali restrizioni della circolazione, rifacendosi ad un passato remoto in cui l'Urbe non fu per qualche tempo rumorosa.
Non essendo romani, ci risulta impossibile contestare quanto afferma l'autorevole commentatore.
Riteniamo tuttavia che il tempo cui egli si riferisce sia leggendario, se non del tutto immaginario.
Giovenale espresse la famosa definizione di "urbis inenarrabilis", che si può tuttavia interpretare in due modi distinti: è da una parte indubbio che le sue "mirabilia", oggetto delle stupefatte descrizioni che ne scandiscono la storia millenaria, siano tali da risultare ineffabili.
D'altra parte, però, risulta altrettanto incontrovertibile che ciascuno dei "romei" - prima di compiere il proprio viaggio in qualità di pellegrino o di visitatore, si sia previamente formato una particolare idea di Roma, intesa come costruzione intellettuale, se non quale concezione metafisica.
Di qui si originano due reazioni diverse quando finalmente si mette piede nell'Urbe e la si può osservare dal vivo: o si rimane irrimediabilmente delusi, come accadde a Giacomo Leopardi, citato da Corrado Augias; oppure si trasfigura la realtà per farla coincidere con il pensiero astratto che si era formato nella mente.
Tipico il caso di Wolfgang Goethe, che riuscì a vedere nella città settecentesca - descritta da Augias come "un borgo disseminato di gloriose, trascurate rovine" - l'immagine concreta (e non riflessa) della Roma dei classici.
Eppure non erano mai ricorse, nella sua storia, due identità tanto diverse.
Tuttavia, la descrizione di Roma che ci fornisce il poeta di Weimar nel suo "Viaggio in Italia" non dimostra nulla di falso, né di artificioso.
In realtà, l'Urbe risulta così multiforme che ciascuno può trovare in essa il riscontro delle proprie convinzioni.
Mussolini credeva che Roma fosse soltanto quella dell'impero.
Si trattava di una visione storica sbagliata, ma l'unica idea coerente dello sviluppo urbanistico della città rimane quella elaborata dal fascismo.
Ciascuno finisce comunque per rielaborare la percezione della realtà facendola coincidere con la propria idea.
Questa, a ben vedere, è precisamente la genesi di ogni creazione artistica.
Ecco perché Roma continua ad ispirarla, come è avvenuto ancora di recente con "la grande bellezza".
L'arte, naturalmente, non riproduce la realtà, ma la trasfigura.
Sorge dunque il sospetto che la Roma silenziosa di Augias sia frutto della sua fantasia di scrittore, e che la quiete da lui descritta non ci sia mai stata, ma rappresenti il riflesso di un silenzio interiore.
Ci sono stati infatti, anche nella storia recente, dei momenti in cui Roma è ritornata ad essere un luogo dello spirito: pensiamo all'apertura del Concilio, alla notte in cui Roncalli improvvisò il suo famoso "discorso della luna".
Questi eventi non potevano però essere silenziosi, se non altro per il concorso di popolo da cui erano contraddistinti.
Essi inucevano comunque alla meditazione, e per l'appunto al silenzio interiore.
Per il resto, tale condizione è tutt'altro che connaturata con il carattere dei romani, e degli italiani in genere.
Alphonse Daudet asseriva che il motto dei suoi connazionali della Provenza era "fens de bruit", cioè "facciamo rumore".
Al di qua delle Alpi, l'espressione "andare in cimbali" designa il massimo del godimento, che per noi coincide con il chiasso.
Roma è rumorosa in quanto italiana e mediterranea, né più né meno di Napoli.
Anche le pellicole americane, come "Vacanze romane", celebrano l'apoteosi del motorino, cioé del mezzo di trasporto che più inquina l'acustica.
Shakespeare, nel suo "Giulio Cesare", ci fa assistere a scene di popolo tumultuante, con cui Marco Antonio dialoga nella sua famosa orazione.
Anche Filippo Neri, il Santo della plebe romana, dialogava con il popolo e lo stesso è tornato a fare Bergoglio.
Il quale ha importato tale usanza dal suo paese di origine, ma forse non sa che "Pippo Bono" - come era sopranominato - la praticava nella "chiesa Nuova".
La Roma cristiana celebra i suoi fasti in Piazza San Pietro, dove i fedeli non accorrono per pregare, quanto piuttosto per acclamare.
Augias ricorda il carnevale romano, ma anche la successiva quaresima dava luogo a scene di pentimento caratterizzate dall'auto accusa collettiva, gridata per strada.
Per non parlare delle processioni che qui, come in tutti i paesi latini, non sono mai silenziose, bensì accompagnate dai canti e scandite dalla musica delle bande.
I legionari che accompagnavano Cesare di ritorno dalla Gallia gridavano: "Viri romani, servate uxores, calvum adducimus moechum".
I "circenses" erano accompagnati dalle urla della plebe.
Ogni arrivo nel'Urbe di nuovi conquistatori - in tempi recenti la Breccia di Porta Pia, la Marcia su Roma ed infine la Liberazione - era accompagnato da adeguate manifestazioni sonore.
Nel dopoguerra, i cortei politici e sindacali che periodicamente avevano per teatro le vie di Roma scandivano slogan, in genere di contenuto truculento.
Oggi ricorre il 1° maggio, che a Roma veniva celebrato con il "concertone" a San Giovanni.
C'è da scommettere che il ritorno alla libertà di circolazione sarà contrassegnato da urla e schiamazzi.
Tutte le profezie annunziano l'arrivo a Roma di non meglio precisati infedeli: anche costoro entreranno nell'Urbe urlando come ossessi.
Anche questo evento apocalittico sarà rumoroso.
La dicotomia tra Roma silenziosa e Roma rumorosa si può leggere per l'appunto alla luce della contrapposizione tra due vocazioni diverse dell'Urbe: fino al 20 settembre del 1870 era una meta per i pellegrini, un luogo dello spirito: per l'appunto la città "eterna", in quanto proiettava la sua funzione nella trascendenza.
In seguito, gli italiani non sono riusciti a elaborare una loro religione civile, che potesse reggere il confronto con l'altra religione, quella con l'iniziale maiuscola.
Gli stranieri ce lo rimproverano sempre, e con ragione, la Roma della fede, da allora, ha taciuto l'attuale forzato silenzio della città laica.
Sembra preannunziare la sua fine proprio in quanto non ha più nulla da dire.
Cavour voleva portare qui la capitale perché Roma - contrariamente alle altre "cento città" d'Italia - non ha una propria tradizione municipale.
Lo prova il fatto che non ha mai espresso un buon sindaco.
Salvo Ernesto Nathan, che fu tale in quanto non era cristiano.
Ormai è tardi per colmare questo vuoto.
Il silenzio annunzia che l'altra riva del Tevere sta per riappropriarsi dei "sette colli".
Questo avviene paradossalmente sotto il Papa più "laico" e più liberale che sia stato eletto dopo Pio IX.
La chiesa ha saputo ascoltare la voce del mondo.
Lo stato, assordato dal suo stesso rumore, non si è rivelato all'altezza di tale compito storico.