Il più recente sondaggio rivela che ben il novantacinque per cento degli italiani non ha fiducia nelle istituzioni, mentre solo il rimanente cinque per cento dichiara di mantenerla.
Questa percentuale risulta nettamente inferiore rispetto alla consistenza dei cosiddetti “ceti tutelati” che si riducono ai dipendenti pubblici, per i quali potrebbe venire meno l'usbergo costituito dalla inamovibilità.
Tale principio giuridico era sancito anche dalla costituzione della Grecia, dove però per due volte è stato smentito.
La sua prima violazione risale all'epoca dei colonnelli.
Si dice che uno di costoro, tale Pattakòs, si recasse in visita nei ministeri, ove constatava come il numero dei dipendenti di un ufficio superava la stessa capienza dei locali.
Fatti uscire i malcapitati impiegati nel corridoio, l'alto ufficiale organizzava una singolare competizione.
Chi rientrava per primo nella stanza, permaneva nell'impiego, mentre i perdenti venivano licenziati.
Noi credevamo di essere al riparo da simili metodi da caserma, fino a quando il “governatore” della Liguria ha deciso di reclutare tra i suoi assessori tale Benveduti.
Il quale costituisce la smentita vivente delle norme di diritto pubblico, essendo cittadino svizzero.
Appena assunto l'incarico, il bellicoso elvetico ha constatato la bassa produttività dei nostri “regionali”.
Fin qui nulla di nuovo.
Quanto però risalta è il rimedio escogitato dal Benveduti, il quale – dichiarandosi esperto di arti marziali – ha manifestato la sua intenzione di passare a vie di fatto contro i dipendenti fannulloni.
I sindacati non hanno trovato nulla da ridire.
Tornando alle vicende elleniche, in occasione della recente catastrofica crisi economica, il governo ha deciso di ridurre il personale amministrativo, ignorando il principio di inamovibilità.
Se il gettito fiscale continuerà a diminuire, succederà lo stesso anche da noi.
Ecco perché neanche i “travet” si fidano di Conte.
Per non parlare del fatto che tra le forze di polizia c'è chi non gradisce il ruolo repressivo che è costretto a svolgere, perseguitando i cittadini onesti.
A noi questa situazione è già stata più volte segnalata in via riservata.
Vale comunque la pena di rilevare come la sfiducia degli italiani investa l'insieme delle “istituzioni”, e non soltanto il governo.
Nelle “istituzioni” è anche compresa l'opposizione.
Ieri Renzi ha deciso di non far cadere Bonafede, un noto “disc jockey” assurto a custode dei sigilli della repubblica.
Se il “rottamatore” non ha fatto onore in questa circostanza al suo soprannome, avrà certamente avuto i suoi buoni motivi.
Quanto ai leghisti, che tuonano contro i Ministro della Giustizia,c'è da domandarsi da quale pulpito venga la predica.
Noi abbiamo segnalato inutilmente al Prefetto, al Questore ed al Ministro dell'Interno il fatto che il deputato Furgiuele, noto per essere genero di un “boss della  n'drangheta” è stato chiamato a chiudere la campagna elettorale della destra in tre comuni della provincia di Imperia.
A Ventimiglia, ha trionfato il candidato della Lega (cioè del partito che in passato dichiarava il proprio disprezzo nei confronti dei “terroni” il che dimostra come i seguaci di Salvini hanno promosso dei fruttuosi scambi “culturali” tra nord e sud.
Perchè dunque indignarsi se Bonafede manda ai “domiciliari” altri noti mafiosi?
Anche il Ministro, evidentemente, “tiene famiglia”.
In un paese ridotto alla fame, con istituzioni del tutto prive di credibilità e di prestigio, ci si domanda per quale motivo non si segnali nessun tumulto.
Il Manzoni, constatando come durante la carestia c'era stato l'assalto ai forni, mentre durante la successiva epidemia non era successo nulla, commentò: “Sopporti on rassegnazione e il colmo di quei mal che a loro primo apparire ci avevano fatto imbestialire”.
C'è però un dato connesso con le caratteristiche proprie dell'Italia.
Non è soltanto un sospetto malizioso quello relativo alla pervasività dell'opera di corruzione svolta da soggetti stranieri.
Già molto tempo fa, un economista aveva osservato che l'Italia  si divideva tra quanto si poteva comprare per un pezzo di pane e quanto si sarebbe potuto comprare in seguito per mezzo pezzo di pane.
Figuriamoci che cosa succede ora.
Possiamo immaginare che qualcuno abbia acquistato tanto la maggioranza quanto l'opposizione, quanto anche i responsabili dei vari corpi sociali, compresi quelli religiosi.
Se così fosse, quale sarebbe il prezzo?
Lo smembramento dello Stato darebbe a molti soggetti l'occasione di una rivalsa su quanto hanno subito nel corso della vicenda unitaria.
Ci sono, naturalmente, i nostalgici degli “antichi stati” (non soltanto nel meridione), ma c'è anche chi – in ambito ecclesiastico – vorrebbe ripristinare la situazione anteriore al venti settembre.
La professoressa Pellicciari descrive i “liberali” negli stessi termini in cui certa propaganda di destra dipingeva i resistenti.
In ogni guerra ci sono inevitabilmente gli eccessi, i criminali ed i profittatori.
Dato questo esito inevitabile, è meglio evitarla.
Noi auspichiamo dunque che così sia.
La rilettura in chiave papalina delle vicende ottocentesche non ci tocca personalmente : per noi, quanto avvenne allora è storia, non passione.
Studiando e riscrivendo le vicende dell'unità, è logico che qualcuno interpreti in chiave di guerra di conquista coloniale.
Il Venti settembre del 2018 ci trovavamo a Roma.
Recatici a San Luigi dei Francesi, domandammo al sacrestano se fosse in programma la messa per i caduti pontifici.
La celebrazione avvenne, se ci fu, in qualche cappella gentilizia privata.
Negli anni precedenti, vi si potevano notare Giulio Andreotti, l'ex Governatore della Banca d'Italia Fazio e tutta la nobiltà “nera” di Roma.
Ora si abbandona la liturgia pubblica, e si impiega la propaganda radiofonica per diffondere dei messaggi revanscisti.
Noi discendiamo da clericali per parte di padre e da liberali per parte di madre.
Il matrimonio tra i nostri genitori fu celebrato nel 1947: qualche residua polemica sopravviveva nelle loro discussioni.
Non di questo, però, vogliamo parlare, quanto di noi stessi.
Nostra moglie non ha mai rinnegato la religione ancestrale degli indoamericani, e nella piccola comunità interconfessionale ed interrazziale che abbiamo composto insieme si è sempre osservata la regola dell'eguaglianza.
Nello Stato Pontificio, questo non sarebbe risultato possibile.
C'è dunque una domanda che vorremmo porgere senza alcun intento polemico, alla professoressa Pellicciari, non esprimendoci in qualità di giurista, ma semplicemente quale persona di buon senso.
Se i suoi propositi si realizzassero, come potremmo dire a nostra moglie che non siamo più eguali, che noi valiamo più di lei?
Venga a dirglielo la professoressa Pellicciari.



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Mario Castellano 23/05/2020
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