Dopo la giornata del digiuno, che ha visto la destra - ed in particolare quella nuova, guidata dal generale Pappalardo - infrangere doppiamente la legge con le sue manifestazioni, non autorizzate dalla questura e comunque svolte senza rispettare le norme profilattiche vigenti, il settore governativo aveva perso dei punti nella sua contesa con l'opposizione, di cui si poteva denunziare l'uscita dall'ambito della legittimità.
E' bastato però un giorno perchè il conto dei falli, in questa partita ormai degenerata in rissa, venisse uguagliato. Con l'aggravante che altra cosa è l'infrazione commessa da una generalità di cittadini, altra cosa quella di cui si rende responsabile un potere dello Stato.
Conte è apparso sui teleschermi, come sempre da solo, per sottolineare il carattere monocratico del suo potere.
Mussolini si esibiva sul famoso "balcone" di Palazzo Venezia, avendo non già al suo fianco, bensì relegato in un angolo - la terrazza è in realtà molto scomoda, avendo solo mezzo metro di profondità - il fido Starace, incaricato di gridare "saluto al duce!", al che la folla obbediente faceva il saluto romano, rispondendo "a noi!".
Casalino, che di Starace condivide la scarsa cultura e la tendenza all'adulazione, rimane invece dietro le quinte. L'assenza del pubblico reale impedisce comunque di salutare alla voce il nuovo duce. Il quale però condivide con il suo predecessore la tendenza ad usare toni minacciosi. 
Mussolini alludeva però a soggetti generici, come il complotto "demoplutogiudaico massonico", talmente indeterminato che tutti potevano senirsi allusi, mentre Conte cita per nome i propri nemici. I quali - per il fatto stesso di essere da lui nominati - assurgono al rango di traditori della patria.
Ieri è toccato al presidente della Confindustria, un pacioso "cummenda" o "ragiunat" lombardo, come tale quintessenza dell'innocuità, reo di avere criticato il governo. Il che risulta fisiologico in democrazia, ma patologico nelle dittature. "Il duce - si diceva - ha sempre ragione". Cui Mussolini aggiungeva: "noi tireremo dritti!". Conte dimostra di avere le sue stesse tendenze.
Ieri, comunque, ha dato due annunzi: il primo riguarda la differenziazione del regime fiscale tra Nord e Sud, il che cotrasta con il principio costituzionale di eguaglianza. Se un signore di Milano ed uno di Palermo guadagnano esattamente gli stessi soldi, devono pagare gli stessi tributi.
Da ora in poi non sarà più così, dato che il siciliano - a giudizio di Conte - sconta delle difficoltà ambientali da cui lo Stato deve tutelarlo, richiedendogli minori prestazioni.
E' davvero un peccato che le cure del governo abbiano allontanato Conte dai suoi studi giuridici.
Saremmo curiosi di leggere un trattato dedicato a confutare le applicazioni del principio di eguaglianza.
Quanto conta, però, dal punto di vista dell' "avvocato del popolo" (?!), è la prassi. D'altronde, a conferma del fatto che ormai dilaga il conformismo, assolutamente nessuno degli organi di garanzia ha emesso un "flatus vocis" per ricordare che in base alla Costituzione siamo tutti eguali. Nè il Presidente della Repubblica, nè i Presidenti delle Camere, nè il Presidente della Corte Costituzionale si sono pronunciati.
La prima battaglia vinta dai sindacati nel 1969 fu quella per l'abolizione delle cosiddette "gabbie salariali" in base alle quali un lavoratore meridionale - a parità di qualifica - guadagnava meno di un collega settentrionale.
Ora - insieme con il principio di eguaglianza - si torna dunque a negare quello dell'unità nazionale.
I governatori del Nord tacciono anch'essi, non avendo sufficiente cultura giuridica per capire che cosa sta succedendo.
L'altro annunzio di Conte riguarda le grandi opere nel meridione, tra cui il ponte sullo Stretto, che viene periodicamente programmato fin dal tempo dell'antica Roma. Con quali soldi verrà realizzato tutto questo, Conte non lo dice. In realtà, laddove ciò risponderà ai loro disegni di penetrazione strategica, pagheranno i cinesi. Come già stanno facendo in molti Paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Europa orientale.
L'annunzio di Conte - laddove non risulti essere una millanteria - riguarda l'avvenuta sottomissione dell'Italia al "Celeste Impero".
Mentre scriviamo, un religioso dedito ai commenti radiofonici denunzia quanto è già consumato, e chiama i cattolici alla resistenza.
Anche il generale De Gaulle faceva lo stesso, rivolgendosi ai francesi da radio Londra, ma aveva dalla sua parte gli Alleati.
Noi siamo soli davanti al nostro destino.
Per sollevare i cattolici contro la situazione attuale, occorrerebbe che in Italia la religione costituisse ancora un fattore di aggregazione sociale. Il cattolicesimo è però tale soltanto nel meridione, laddove Conte trova la base su cui fonda il proprio potere.
Bisognerebbe piuttosto fare appello alla coscienza individuale, ma questo costituisce precisamente il portato specifico del cattolicesimo liberale, che invece viene ancora una volta osteggiato ed emarginato in favore del tradizionalismo. Con il risultato che la Chiesa si troverà ancora una volta costretta a sottomettersi al nuovo potere, malgrado non vi sia in esso assolutamente nulla di cristiano.
Come avvenne nel 1929, con i Patti Lateranensi.

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Mario Castellano 06/06/2020
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