Abbiamo ascoltato con attenzione particolare, alle sette del mattino di domenica, su “Radio Radicale”, la consueta rubrica curata dal nostro amico Giuseppe Di Leo, sperando che registrasse qualche reazione del Vaticano alla restituzione di Santa Sofia al culto islamico. La Santa Sede tace.
Questo fa naturalmente piacere ai musulmani, molto meno agli ortodossi, come pure ai cosiddetti “uniati”, anch’essi alle prese con una pressione demografica e identitaria che li spinge ad emigrare in molti casi verso l’Occidente.
“Pacta sunt servanda”, risponderebbero i prelati della Segreteria di Stato. Non abbiamo la presunzione di giudicare se la loro linea sia giusta o meno. Per compiere questa valutazione, bisognerebbe essere in grado di misurare i rapporti di forze dietro le Logge di Raffaello, c’è chi lo può fare molto meglio di noi.
Proviamo tuttavia a metterci nei panni dei cristiani d’Oriente. I quali, se li potessimo interrogare, risponderebbero forse con un proverbio: “tra due diavoli, è meglio quello che si conosce”. Con i seguaci dell’Islam, essi sono abituati a convivere.
Un nostro amico, essendo stato ammesso a visitare i monasteri del Monte Athos, potè conversare con lo “immirù” del Vatopedi, il quale gli mostrò i preziosi regali offerti ai suoi predecessori dal sultano, e poi lo invitò a riflettere sul perché il convento fosse costruito come una fortezza. La risposta consisteva nel fatto che lo si doveva difendere dalle razzie dei veneziani.
Paolo Rumiz, visitando a sua volta Salonicco, riferì qualche anno fa di come un intellettuale greco gli avesse detto che considerava l’Occidente un nemico ben peggiore dell’Islam.
Noi ricordiamo come una catastrofe la caduta di Costantinopoli nel 1453, ma nella memoria collettiva dei greci è anche impressa quella del 1204, quando la quarta crociata, dimenticando di essere diretta a Gerusalemme, saccheggiò Bisanzio. In quell’occasione, la gran parte delle reliquie che vi erano custodite prese la strada dell’Occidente, insieme con i cavalli ora posti sulla facciata di San Marco a Venezia, e forse anche con la Sindone, che secondo la dottoressa Frale sarebbe il “mandilion”, cioè il telo con cui, secondo la tradizione, la Veronica avrebbe asciugato il volto di Gesù.
Tra il 1204 e il 1453 corre in un certo senso la stessa differenza che esiste tra quanto avvenne a Roma nel 1527 e quanto successe a Parigi nel 1940. Mentre l’Urbe era stata stuprata dai Lanzichenecchi, gli ufficiali tedeschi giunti nella “Ville Lumière” contemplavano ammirati le sue bellezze, e gremivano la “comédie”.
Maometto II mantenne la vocazione imperiale della città “basilissa” (cioè regina), che i crociati latini avevano saccheggiato.
Sul Bosforo, si produsse una continuità che sussunse la differenza tra le religioni, mentre l’Occidente aveva preteso di affermare la propria asserita superiorità disprezzando la civiltà bizantina. Lo stesso era d’altronde avvenuto ai danni della cultura araba a Gerusalemme nel 1099.
Quando i musulmani vogliono designare gli occidentali in modo spregiativo, usano il termine “crociati”.
Certamente, la comparazione tra le crociate ed il colonialismo risulta approssimativa ed impropria, ma il generale Allemby, giunto nel 1918 a Gerusalemme, volle pregare sul Santo Sepolcro, e paragonò il suo corpo di spedizione con l’armata di Goffredo di Buglione.
Se dunque i musulmani considerano l’Occidente come un prevaricatore dei loro diritti, trovano paradossalmente in questo una condivisione da parte degli ortodossi.
Il Concilio di Firenze, celebrato dopo che invano Emanuele II Paleologo aveva cercato aiuto in Occidente per il suo impero pericolante, tentò di salvare Costantinopoli sancendo l’unione tra le due chiese. L’accordo, celebrato con solennità in Santa Maria del Fiore, venne però rinnegato dai monaci bizantini, malgrado sapessero che ciò significava aprire le porte agli ottomani.
La domanda che oggi dovremmo porci è se basterà sacrificare Costantinopoli per salvare Roma.
Maometto disse che entrambe le città sarebbero cadute.

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Mario Castellano 15/07/2020
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