In un nostro precedente articolo, abbiamo scritto – facendo ricorso ad una espressione tipica del paese di adozione – che la presidente Casellati si era “lavata la faccia”. Quella faccia doveva essere molto sporca, al punto che l’avvocato di fiducia di Berlusconi (uno dei molti) ha deciso di lavarsela di nuovo.
Non vi è nulla di più difficile da togliere che la sporcizia.
Diamo la parola all’ottimo collega Stefano Folli, che così ricostruisce i fatti su “La Repubblica” di lunedì 13 luglio: sulla proroga dello stato di emergenza, la Presidente del Senato “ha chiesto un voto parlamentare nelle prossime ore e ha lamentato la costante sottovalutazione dell’Assemblea da parte del governo. Questa uscita - a cui non si è associato il Presidente della Camera – ha provocato una messa a punto di Palazzo Chigi in cui si spiega che per il momento non si vota, in quanto lo stato di emergenza nasce da una delibera del Consiglio dei Ministri che si deve ancora riunire”.
Da questo riassunto tacitiano dei fatti, possiamo trarre le conclusioni seguenti: 1) la Presidente Casellati non trova assolutamente nulla da obiettare su di un punto sostanziale, e cioè che lo stato di emergenza può essere prorogato (come sta per avvenire puntualmente) mediante un atto amministrativo, che come tale non deve essere sottoposto all’esame ed al voto del Parlamento; 2) la Presidente Casellati solleva di conseguenza soltanto un problema – per così dire – di buona educazione nei rapporti tra i diversi poteri dello Stato, ma – a quanto pare – lo riterrebbe risolto qualora una mozione, approvata dalle Camere, autorizzasse il governo a prorogare lo stato di emergenza; 3) Conte, incurante non soltanto della legittimità costituzionale dei propri atti, ma anche della buona educazione – risponde che intende in primo luogo richiedere un voto del Consiglio dei Ministri, e soltanto in seguito si degnerà di informare il Parlamento di quanto deciso dal governo: di informarlo, e non certo di richiedere la sua preventiva autorizzazione.
Fin qui, il riassunto dei fatti. Da cui si evince che la Presidente Casellati, se veramente avesse a cuore la difesa della funzione attribuita dalla Costituzione al Parlamento, dovrebbe ammonire il Presidente del Consiglio circa il fatto che egli non può prorogare a sua discrezione lo stato di emergenza, e che dunque è pronta ad impugnare la relativa delibera in sede di contenzioso di legittimità costituzionale.
L’avvocato Casellati (se fossimo processati, non ci faremmo certamente difendere da lei) ritiene invece che basti un voto del Parlamento per rendere legittimi tutti i decreti del Presidente del Consiglio che Conte si accinge ad emanare durante la proroga dello stato di emergenza. Per ottenere questo risultato, occorrerebbe invece emendare previamente la Costituzione, in base alla quale tali atti hanno carattere amministrativo, e non già carattere legislativo.
In conclusione,  la Presidente del Senato non si lamenta perché Conte ha violato la Costituzione, bensì in quanto “l’avvocato del popolo” rifiuta di associarla nelle proprie malefatte. A proposito di tale modo di agire, si diceva un tempo: “se ci siamo, ci stiamo”.
Le Camere, dunque, non si oppongono all’instaurazione della dittatura, ma anzi si lamentano perché vengono escluse da tale opera poco onorevole.
Fin qui, i problemi che si pongono “in procedendo”.
Per quanto riguarda il merito dei provvedimenti, neanche un deputato o un senatore ha annunziato una pregiudiziale di legittimità costituzionale alla conversione del decreto legge con cui praticamente viene abolito nel nostro diritto pubblico l’istituto della licitazione per scegliere i contraenti privati dell’amministrazione. Per la quale la Costituzione stabilisce i criteri del “buon andamento” e della “imparzialità”.
Dove vanno a finire questi criteri se lo stato e gli altri enti scelgono come contraenti chi vogliono loro, procedendo mediante la trattativa privata?
A parte il fatto che le imprese controllate dalla mafia non si faranno più scappare neanche un contratto di appalto, con la scusa della “semplificazione” delle procedure si aggrava il deficit pubblico. Il colmo è che questa misura ci è stata imposta dall’Unione Europea, la quale poi si lamenta perché spendiamo troppo.
Che cosa ne sanno i burocrati di Bruxelles dell’Italia?

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Mario Castellano 15/07/2020
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