Domani, 18 luglio, in ora successiva al tramonto, per non interferire con il riposo sabbatico, ci ritroveremo a Ventimiglia per l’inaugurazione di una nuova sede, destinata tanto al culto israelitico quanto all’orientamento ed alla assistenza per quanti, provenendo dalle comunità ebraiche d’oltre confine o dirigendosi verso di esse, dovranno sostare sul confine.
Saranno presenti rappresentanze religiose e civili provenienti da Nizza, da Montecarlo e da Mentone, così come dalla Riviera Ligure, nonché esponenti delle diverse chiese cristiane, quella cattolica, quella evangelica e quella ortodossa.
La nuova realizzazione è stata tenacemente voluta da Maria Teresa Anfossi, presidente per la provincia di Imperia dell’Associazione di amicizia tra Italia e Israele, cui esprimiamo la nostra affettuosa riconoscenza.
I locali, funzionali e spaziosi, collocati nel pieno centro della città, sono stati messi a disposizione dal proprietario a titolo gratuito.
In attesa di udire i discorsi ufficiali ed i “pour parler” ufficiosi tra i partecipanti all’evento, ci permettiamo di esprimere alcune considerazioni preliminari.
In apparenza, l’esperienza inedita costituita da un luogo di culto israelitico gestito esclusivamente da Gentili (su questo aspetto abbiamo riferito diffusamente nel nostro articolo precedente) può apparire come un omaggio offerto ai nostri amici ebrei, sia pure a titolo di doveroso risarcimento morale per le persecuzioni sofferte nel passato.
In realtà, come sempre avviene quando si compie un gesto lungimirante, saremo noi a trarre il maggiore vantaggio da questa iniziativa. Quando diciamo noi, non ci riferiamo a quanti professano una fede diversa, bensì alla intera comunità civile della zona di confine.
La Francia ha sempre rappresentato un punto di riferimento, a volte una luce nell’oscurità, per chi – da questa parte della frontiera – si identificava nei valori della sua cultura e della sua tradizione civile.
Come ricorda il sanremese Italo Calvino nel suo “Il barone rampante”, c’è una vicenda comune, che risale all’erezione nei nostri paesi dell’Alberto della Libertà, avvenuta quando vi giunsero, nel 1794, i soldati della Rivoluzione, tra cui si trovava il giovane ufficiale Napoleone Bonaparte. 
Quell’albero, nel tempo trascorso da allora, ha messo certamente delle radici, ma a volte si è rinsecchito, e le sue foglie sono appassite. Occorreva dunque periodicamente curarlo, affinchè tornasse a germinare.
Durante il fascismo, la Francia rappresentò per tante nostre famiglie – prima quelle degli oppositori alla dittatura, poi quelle degli israeliti, colpiti dalle sciagurate “leggi razziali” – la “derniére chance”, l’ultima speranza.
Se da sempre c’era stata una emigrazione italiana oltre confine, e se la comunità degli italiani di Francia si era sempre distinta per la sua partecipazione a tutti gli eventi della vicenda nazionale transalpina, esprimendo una lunga tradizione democratica, l’arrivo dei “fuoriusciti” – come venivano chiamati spregiativamente gli espatriati antifascisti – permise di formare nell’esilio una generazione intera di persone cresciute nel bilinguismo e nella padronanza di due culture, ma soprattutto nel culto delle libertà repubblicane: l’opposto, cioè, di quanto pretendeva di imporre la propaganda del regime.
Tra quegli italiani, c’era la nostra famiglia materna: per questo siamo stati educati anche noi nel bilinguismo, e – pur nella assoluta lealtà verso il nostro paese di origine – ci sentiamo quasi più francesi che italiani. La Francia, per noi, è più Nizza che Parigi, ma in fondo è la stessa cosa, dato che nella “bella” si trasferisce, durante i mesi estivi, la capitale di questa nazione.
Soprattutto, però, la Costa Azzurra, dove fin dall’Ottocento si erano riversate tutte le “élite” dell’Europa, dagli aristocratici inglesi agli esiliati russi, che vi preparavano la rivoluzione, ha finito per essere luogo dove si è formata – ancor prima che nelle metropoli – la società multiculturale.
La sua grande comunità israelitica riflette, nel proprio ambito, questa eterogeneità di provenienze. Se sulla Costa Azzurra c’è una delle dimore dei Rotschild, vi si sono anche stabiliti molti askenaziti provenienti dall’Europa Orientale, e poi vi è giunta l’ondata migratoria dei sefarditi rimpatriati in Francia dall’Africa settentrionale. Quando si riunisce la comunità israelitica, predominano i colori, i profumi e gli accenti tipici dei sefarditi, anche perché sono ancora molto prolifici.
Il presidente del “concistoire”, cioè dell’Unione delle Comunità Israelitiche che comprende il territorio posto tra Mentone e Tolone, il nostro amico dottor Maurice Niddam, è nato e cresciuto nel Marocco, dove suo zio ricopre la carica di rabbino capo del regno.
Potremmo scrivere a lungo su questa grande realtà, inserita creativamente in un ambiente già di per sé aperto e cosmopolita. Oggi, però, di fronte alla decadenza del costume civile in Italia, sempre più in preda di un identitarismo deteriore ed esposta all’influenza di modelli politici extraeuropei, si sente più che mai il richiamo della cultura e dell’ideale illuminista espresso dalla Francia.
Siamo tentati di varcare anche noi – come fecero i nostri nonni – il ponte sul Garavano. Se vi è chi lo attraversa, vi è anche però chi deve rimanere su questa sponda, e la Francia – attraverso la sua influenza e le sue istituzioni – fa sentire anche qui la sua voce.
Il Principato di Monaco ha costruito e gestisce il nuovo porto di Ventimiglia, e la famiglia dei Grimaldi ha promosso un grande investimento nella sua tenuta situata nel paese di cui porta il nome.
Il confine economico, come avviene in molti luoghi d’Europa, si sta spostando, senza più coincidere con quello politico.
L’economia, però, non basta: ci vuole anche la cultura.
Il nuovo centro che si inaugura a Ventimiglia ci porta il respiro del grande pensiero ebraico. Possiamo contare sulla disponibilità e sulla lungimiranza della comunità insediata oltre confine. Per questo siamo noi, come si è detto, a trarre il maggiore vantaggio dalla iniziativa.
Il migliore investimento è sempre quello nella cultura e nella libertà, anzi nella cultura della libertà.

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Mario Castellano 18/07/2020
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