Nel gioco del calcio vige la cosiddetta “legge dell’ex”, in base alla quale un giocatore già appartenente ad una squadra, quando si trova a competere contro di essa, tiene molto a segnare una rete, e spesso ci riesce.
Il gruppo editoriale comprendente “La Repubblica” e “L’Espresso” schierava fino a qualche tempo fa contro la chiesa di Bergoglio l’ex prete Sandro Magister, il quale si dedicava a parlare male del papa, accusandolo di essere un povero illetterato, giunto chissà come a sedere sul trono di Pietro.
Noi ci domandiamo più modestamente come hanno potuto certi giornalisti farsi assumere dall’ingegner De Benedetti, il quale si dimostrava poco esigente nel reclutarli. Con il risultato che alla fine ha dovuto smettere di fare l’editore.
Scomparso Magister, il suo ruolo è stato assunto da tale Filippo Di Giacomo, meno noto ma altrettanto assatanato contro i cattolici “progressisti”.
Proponiamo a questo collega un gemellaggio con il dottor Francesco Sudrio, il quale – come faceva Giovanni Preziosi con gli ebrei – ne è talmente ossessionato che li vede dappertutto. Non potendosela prendere con Bergoglio, il Di Giacomo assume come bersaglio un altro gesuita, Padre Korner, il quale avrebbe addirittura “perso l’occasione di stare zitto”.
Che il giornalista de “La Repubblica” ce l’abbia in realtà con il pontefice, lo si desume dal fatto che Korner è un “consigliere del papa per le questioni islamiche”.
Quale bestemmia ha pronunziato, ad avviso del Di Giacomo, questo figlio spirituale di Sant’Ignazio? Secondo il professore della Gregoriana, “i cristiani dovrebbero rallegrarsi perché, dopo 85 anni durante i quali era stata ridotta a museo, Hagia Sophia finalmente verrà di nuovo usata per la preghiera”.
Il 18 luglio scorso, insieme con altri fedeli di diverse chiese cristiane, abbiamo presenziato all’apertura di un nuovo luogo di culto israelitico a Ventimiglia. Secondo Di Giacomo avremmo dovuto deplorare il fatto che delle persone di fede diversa disponessero di una sede in cui celebrare i loro riti e pronunziare le loro orazioni. Evidentemente, questo giornalista – come tutti i suoi amici tradizionalisti – considera nemici quanti professano un’altra religione, o quanto meno mette in discussione la loro libertà di culto. Ciò significa che essi – secondo Di Giacomo – non hanno i nostri stessi diritti individuali e collettivi.
Mentre sul supplemento del venerdì de “La Repubblica” si potevano leggere simili espressioni poco amichevoli nei confronti dei musulmani, il domenicano padre Claudio Monge, intervistato nello stesso giorno dallo stesso quotidiano, si esprimeva sostanzialmente negli stessi termini di padre Korner. Anch’egli si occupa di rapporti con l’Islam, essendo responsabile del centro per il dialogo interreligioso gestito proprio a Costantinopoli dall’Ordine dei Predicatori. Padre Monge parte da una semplice constatazione: “da 560 anni Santa Sofia non è luogo di preghiera cristiana”. I nostri correligionari non hanno dunque perduto nulla. Per giunta, nota il frate domenicano, “la grande domanda che resta è che cosa sono i credenti: sono guardiani del tempio o testimoni di una fede viva?”.
Quanto nuoce al dialogo tra le religioni non è dunque l’acquisizione di nuovi luoghi di culto, bensì “l’uso strumentale dei simboli religiosi”. Anche da noi – ammonisce padre Monge riferendosi a Salvini – “sono più che mai vive le logiche da crociata, da tifoseria, facilmente eccitabili con l’ostentazione blasfema di simboli religiosi usati come spade da brandire”. I buoni rapporti tra le diverse fedi non si misurano in base alla crescita dei rispettivi luoghi di culto, bensì in base al rispetto reciproco.
Il discorso non verte dunque sulla destinazione di un edificio, quanto piuttosto sulla effettiva libertà di culto. Padre Korner afferma che in Turchia le comunità cristiane “non sono trattate peggio delle minoranze religiose che risiedono nella maggior parte dei paesi cristiani”. Su questa asserzione è lecito esprimere qualche obiezione, anche se la costante diminuzione del numero dei nostri correligionari nei paesi islamici non è tanto dovuta alle norme di legge in essi vigenti, quanto piuttosto alla pressione demografica: cioè alla stessa tendenza che determina l’aumento della presenza dei musulmani nell’Europa occidentale.
Questo fenomeno non può essere però contrastato promuovendo delle nuove crociate, come fa Salvini e come Di Giacomo vorrebbe che facessero i gesuiti: i quali un tempo “facevano un quarto voto, quello di obbedienza al papa, perché volevano, con lui, combattere in prima linea. A quanto pare – conclude sconsolatamente il ‘vaticanista’ – non ne hanno più voglia”.
Che cosa significa però, oggi, combattere a fianco del papa? La risposta ce la fornisce padre Monge: non significa muovere guerra contro i musulmani, bensì promuovere il dialogo. “Francesco – dice il frate domenicano – sa bene che non c’è dialogo senza fratellanza e fratellanza senza conoscenza reciproca”. Questo induce a considerare con più attenzione il dibattito in corso tra i musulmani, il cui mondo – afferma padre Monge – è “tutt’altro che monolitico”.
Se vi è nell’Islam chi si considera soddisfatto per la riapertura di una moschea, c’è anche chi ritiene che la decisione del governo turco infranga “la sacralità di un luogo di culto dei fedeli delle religioni del Libro, che il profeta dell’Islam ha intimato di rispettare”.
Qual è la conclusione?
Che mentre i cristiani protestano nel nome della laicità dello stato, i motivi di dissenso di alcuni musulmani si basano sul loro stesso precetto religioso. Questo ci dà la misura di quanto sia importante la conoscenza reciproca, che però presuppone un atteggiamento di apertura, e non di ostilità preconcetta.
Anche nei confronti degli altri cattolici, come dimostra la scomunica scagliata da Di Giacomo contro padre Korner.