Il nostro amico Gianni Donaudi è riuscito a compiere l’ennesimo miracolo, dando alle stampe ancora un numero di “Emozioni”, una delle migliori e più originali pubblicazioni periodiche dello “underground” italiano.
Questa nuova impresa ci rallegra, ma ci rattrista viceversa riflettere su come la pubblicistica ufficiale non riesca a superare le vecchie “dicotomie”, come le chiamava il professor Preve. Per cui in essa è vietato parlare – se non in termini negativi – del pensiero tradizionalista o almeno di quella parte di esso cui è stata applicata l’etichetta di “fascista”.
Questa “damnatio memoriae” colpisce in particolare un autore del livello di Julius Evola, che si può considerare l’equivalente italiano di Ernst Junger o di René Guénon, tale atteggiamento discriminatorio perdura mentre l’Italia è sottomessa ad un governo che usa gli strumenti più raffinati dello spionaggio elettronico per costituire un regime orwelliano, trasposizione europea di quello cinese. Al cui confronto, l’O.V.R.A. di Mussolini fa la figura di una consorteria di poveri delatori di paese.
Grazie all’ascolto di tutte le nostre comunicazioni telefoniche, gli spioni di Pechino riescono addirittura a farci processare nel loro paese, se critichiamo le sue autorità.
Naturalmente, nessuno rischia di essere estraditato dall’Italia, ma questo può succedere se ci rechiamo in un paese terzo.
Salvini, che aspirava a fare il dittatore, è finito male. Nessuno piange sulle sue sventure, ma il “capitano” ha dovuto soccombere davanti ad un concorrente ben più spregiudicato e temibile.
Torniamo però ad Evola, cui “Emozioni” dedica un lungo articolo sul suo ultimo numero. Questo scritto è dedicato ad analizzare l’atteggiamento assunto dal pensatore siciliano in merito a due momenti fondamentali della vicenda storica italiana, cioè il processo unitario ed il fascismo. Cominciamo, invertendo l’ordine cronologico, da quest’ultimo tema.
Evola considerava il fascismo come un regime piccolo borghese, che impiegava il richiamo ad alcuni elementi della tradizione per i suoi fini propagandistici, al fine di rafforzare il proprio potere con dei pretesti ideologici cui però sostanzialmente non si sarebbe conformato. L’articolo pubblicato su “Emozioni” inquadra però questo tema nel più vasto ambito della posizione di Evola di fronte ai regimi totalitari. Rispetto al pensiero liberaldemocratico, il “professore” assume naturalmente un atteggiamento completamente diverso. I liberaldemocratici rigettano per principio ogni totalitarismo, in quanto per sua natura incompatibile con il criterio della rappresentanza. Evola parte invece da un postulato del tutto diverso. Se per i liberaldemocratici è buono quanto risulta conforme con la libera espressione della volontà popolare, per Evola è viceversa buono quanto corrisponde con la tradizione. Per lui, dunque, il totalitarismo non è necessariamente negativo, e quindi condannabile. Ciò non significa tuttavia che esso sia sempre positivo.
Il totalitarismo è positivo quando s’inquadra in un processo tendente a restaurare la tradizione, mentre risulta negativo quando le si oppone. Come si applica però tale criterio nell’analisi storica concreta?
Evola non discrimina tra i totalitarismi “di destra” e quelli “di sinistra”, non applaude gli uni, né biasima gli altri.
In questo, egli si distingue nettamente da chi esalta i regimi reazionari in base ad una sorta di riflesso condizionato. Ciò spiega perché Evola non aderì al neofascismo, ed anche per quale motivo non si stabilì tra il pensatore siciliano e questa corrente politica un “idem sentire”. Secondo Evola, un totalitarismo svolge una funzione storica negativa quando consegue all’abbattimento di un regime “organico”, cioè tradizionale. Tipico è il caso del totalitarismo giacobino, instaurato in seguito alla Rivoluzione Francese. Si può dare naturalmente anche il caso di un totalitarismo che sorge come reazione ad una fase di degenerazione, cioè di allontanamento dalla tradizione. Se è così, diranno i suoi critici, Evola apprezza il fascismo, dal momento che il regime di Mussolini mette fine alla fase storica in cui era stato adottato in Italia precisamente il modello giacobino, nell’epoca liberale. Dal suo punto di vista, si tratta in fondo di due totalitarismi, e dunque non rimane che scegliere il meno peggiore.
Qui però il discorso si sposta inevitabilmente sulla posizione di Evola in merito al Risorgimento.
A questo riguardo, i critici, in cerca di argomenti utili per demolire il suo pensiero, hanno sempre rinfacciato ad Evola l’approvazione del “Sillabo” di Pio IX. Dal loro punto di vista, avrebbero avuto piuttosto convenienza a segnalare una possibile contraddizione. Il “Sillabo” fu un documento dottrinale, ma la sua elaborazione risente del clima politico di opposizione della chiesa al processo unitario. Che Evola non condanna in modo aprioristico, considerandolo un tentativo di riscossa contro la condizione secolare di umiliazione dell’Italia. Ciò non toglie che si sia trattato di un movimento “oscuro”, in quanto volto – nella sua prassi politica e nei suoi esiti – a demolire quanto ancora sopravviveva della tradizione nel nostro paese.
Si poteva però riscattare l’Italia senza scalfire la tradizione? Il discorso ritorna dunque all’atteggiamento generale di “rivolta contro il mondo moderno” assunto da Evola.
Le prassi politiche conseguenti alla Rivoluzione Francese – compreso anche il fascismo – non escono dalla contrapposizione alla tradizione, neanche quando fanno ad essa strumentalmente riferimento.
Non rimane dunque altra soluzione al di fuori di una completa restaurazione?
Ciò comporta il completo rinnegamento, e dunque la distruzione, del “mondo moderno”. Il professore non ha vissuto abbastanza per assistere a due eventi, che si sono consumati entrambi al di fuori dell’Occidente, e in contrapposizione ad esso: le rivoluzioni islamiche e l’avvento al potere di Putin, nel nome della tradizione ortodossa. Forse, il “professore” li avrebbe considerati entrambi come esempi di un totalitarismo positivo reso però possibile – come insegna René Guénon – dal fatto che in Oriente la tradizione si è perpetuata, mentre in Occidente si è perduta, in quanto si è interrotta.
Un altro siciliano, anch’egli accusato sbrigativamente di essere “fascista” , cioè Pietrangelo Buttafuoco, ne ha tratto le conseguenze, facendosi musulmano. Qui, però, il discorso esula dall’analisi del pensiero di Julius Evola, e si proietta nell’attualità della politica.
Segno, comunque, che i problemi posti da Evola non sono astratti, bensì reali e più che mai attuali.

Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano 4/08/2020
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved