Il giovane frate, partito dalla nostra città dopo avervi esercitato il suo ministero nel clero secolare, è ora assegnato ad un convento che fa parte integrante di una prestigiosa università, cui presta non soltanto l’assistenza spirituale per docenti e discenti, ma anche il collegamento con l’ambito delle scienze religiose.
“Benedictus dilexit montes, Bernardos dilexit valles, Franciscus dilexit oppida, Dominicus dilexit urbes”. E le urbi, cioè le grandi città, erano sovente nel Medio Evo anche le sedi degli atenei: chi anche oggi le frequenta può acquisire la percezione dello “zeitgeist”, che non è tanto lo spirito del tempo presente, quanto piuttosto l’annunzio del futuro. Sia perché le università sono luogo di aggregazione dei giovani, sia perché vi germina il seme del futuro.
Non è questa, naturalmente, la prima volta che conversiamo sulle prospettive dell’Italia, il che avviene ad intervallo di alcuni mesi, in modo che le novità quotidiane, sedimentandosi, possano essere meditate e fatte oggetto del necessario discernimento. Anche a causa del fatto che i nostri colloqui sono necessariamente brevi, occorre distinguere i fatti dagli eventi. Se applichiamo questo criterio a quanto sta avvenendo in Italia, ci rendiamo conto di come l’epidemia, e soprattutto il collasso dell’apparato amministrativo, l’inadeguatezza delle culture politiche, la dissoluzione del tessuto sociale, la mancanza di ogni prestigio e l’inettitudine dei dirigenti, tutti fenomeni manifestatisi all’improvviso e contemporaneamente, appartengono – proprio in quanto evidenti e clamorosi – alla categoria degli eventi.
Il fatto, che entrambi avevamo percepito, l’uno osservando più la sfera spirituale, l’altro quella temporale, era consistito nel venir meno di una ispirazione collettiva, rapportata con la fede nella trascendenza.
Il discorso prende le mosse dall’imminenza della solennità di San Domenico di Guzman, che nella nostra città di adozione viene festeggiata in tutto il tempo che intercorre dal primo al dieci di agosto, iniziando con la grande processione con cui se ne accompagna la venerata immagine dal luogo in cui venne ritrovata fino alla riva del lago Xolotlàn.
Si tratta di una festa completamente pagana, a cui è interdetta la stessa presenza del clero. Tale è il prezzo dovuto per avere convertito in un santo cristiano una divinità precolombiana, il cui culto si era tuttavia protratto fino a molto tempo dopo la fine del dominio coloniale. La religione rivela in questi giorni la sua dimensione sociale, e malgrado il permanere del suo carattere pagano (o forse proprio per questo) essa ispira e conforma il consorzio civile.
Il cattolicesimo italiano si è diviso tra chi ritiene che la nazione si sia allontanata da Dio perché la norma dello stato non ha più coinciso con il precetto ecclesiastico, e chi pensa viceversa che ciò sia successo per l’indebolimento della religiosità popolare.
Se hanno ragione gli uni, ciò significa che la spiritualità si misura in sostanza in base ai risultati elettorali; se invece hanno ragione gli altri, la distinzione non coincide con le appartenenze politiche. Nel primo caso, la fede diviene un fatto di divisione, nel secondo caso può tradursi in un motivo decisivo di unione del nostro popolo.
Ci poniamo dunque tutti e due la stessa domanda. Se la cosiddetta pietà popolare, vissuta nelle tradizionali forme collettive, misura l’effettiva influenza del fattore spirituale sulla società, vediamo che l’Italia è divisa – anche in base a questo criterio – tra il nord ed il sud del mondo.
Constatiamo anche, con una certa sorpresa, che la tradizione delle processioni è tipica della Liguria. In questo, oltre che nella dieta – basata sul grano invece che sul miglio e sul riso – apparteniamo alla stessa identità mediterranea del Meridione, distinguendoci dalla pianura Padana.
Tali riflessioni di sociologia religiosa si rapportano con il fatto che la chiesa dovrà in breve tempo riassumere la funzione civile di unica superstite autorità, insieme con quella sociale consistente nel promuovere la solidarietà collettiva necessaria alla sopravvivenza dello stesso consorzio umano.
All’attuale classe politica facciamo solo brevemente cenno per constatare che essa sta per sparire. Non già per effetto di una rivoluzione, tanto meno violenta. Ci sarà soltanto una dichiarazione di fallimento, come quelle avvenute nel tempo di Caporetto e dell’otto settembre, ma senza il trauma segnato da quegli eventi.
Il fatto si è consumato già da tempo, per l’incapacità di stabilire una comunicazione, un “idem sentire” tra la politica e la società.
La conseguenza è comunque sempre la stessa: un’involuzione tanto più autoritaria quanto più questi due soggetti risultano reciprocamente estranei.
Conte, con il suo maldestro tentativo di instaurare una dittatura personale, prescindendo da quel minimo di consenso che gli procurerebbe la soddisfazione delle necessità materiali del popolo, ricorda Cadorna nel 1917 e Mussolini nel 1943.
Ormai completamente distaccato dalla realtà del paese, attende solo di essere rimosso per la sua manifesta inettitudine. Ci domandiamo piuttosto che cosa verrà dopo.
La parola spetta alla chiesa.
Qui il discorso ritorna alla similitudine tra il paese di origine e quello di adozione.
Se la chiesa ed il popolo contano sulla stessa risorsa, ciò è sulla capacità di organizzarsi e di solidarizzare spontaneamente, basata su di una ispirazione spirituale collettiva, cioè su di una identità ed una cultura condivise, si può evitare la tentazione di cadere nel confessionalismo, di approfittare della situazione per restaurare lo stato pontificio, ampliandolo all’intero paese.
Questo obiettivo non venne a suo tempo perseguito, in seguito a quanto avvenne nelle due guerre mondiali in quanto risultava incompatibile con la collocazione internazionale in cui si trovava l’Italia nel 1918, e poi nel 1945.
Nel futuro, posto che lo stato unitario si ritroverà di nuovo inadeguato e perdente, questa collocazione non sarà più la stessa.
Ci ritroveremo a far parte del sud del mondo, dove la religione conforma la società, a prescindere dalla funzione che le assegna lo stato. Non ci sarà dunque bisogno del confessionalismo.
La partita non si gioca sul piano giuridico, ma su quello sociale, sul piano della spiritualità collettiva.
Bergoglio rappresenta nello stesso tempo l’antitesi di Pio IX, in quanto è disinteressato alle vicende dello stato, ma nello stesso tempo incarna la sua nemesi storica, essendo destinato a rovesciare il rapporto di forze con lo stato.
Non proclamandosi papa-re, ma mettendosi alla guida del popolo.

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Mario Castellano 11/08/2020
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