Può succedere che un giornale ospiti, nella sua pagina dei commenti, l’espressione di opinioni divergenti.
Di recente, il “New York Times”, organo ufficioso del mondo “liberal” statunitense, ha pubblicato un contributo scritto da un “congressman” repubblicano, il che ha causato la rivolta dei “columnist” avversi a Trump ed alla sua ideologia.
Diverso però è il caso di quei periodici che si propongono di “dettare la linea”, cioè di stabilire il “che fare” di una parte politica. Questo è precisamente il caso de “La Repubblica”, in cui tutte le grandi scelte della sinistra italiana hanno trovato la loro elaborazione teorica, e poi l’indicazione delle strategie e delle tattiche con cui dovevano calarsi nell’azione concreta.
Ora il quotidiano di Eugenio Scalfari sembra fornire due risposte divergenti, ed anzi reciprocamente incompatibili, alla fatidica domanda “che fare?”.
Martedì primo settembre, Zingaretti aveva affermato fermamente, scegliendo proprio la testata di via Cristoforo Colombo per dare maggiore autorevolezza alla sua sentenza, che l’attuale maggioranza, basata sull’alleanza con il Movimento Cinque Stelle, non ha nessuna possibile alternativa, salvo naturalmente le elezioni anticipate. Il che porterebbe alla vittoria della destra, cioè ad un male assoluto da evitare ad ogni costo.
Vale la pena ricordare a Zingaretti, il quale può essere considerato una sorta di Andreotti da baraccone, l’apologo elaborato dal “divo Giulio” sui “due forni”.
Il forno di Grillo sa che i democratici non andranno mai a rifornirsi dai suoi concorrenti. I quali non sono naturalmente i dirigenti della destra, ma potrebbero benissimo essere quelle personalità – come Mario Draghi – in grado per la loro preparazione ed il loro prestigio di comporre un governo istituzionale di emergenza. I seguaci del comico traggono da ciò le conseguenze che a suo tempo aveva ricavato Craxi, ma con una differenza non da poco. Il “cinghialone”, quanto meno, si alleava con i democristiani nelle amministrazioni locali, poiché mirava a indebolirli, ma non a distruggerli e ad annetterli. Conte, invece, si propone l’obiettivo di escludere i seguaci di Zingaretti da tutte le giunte regionali e comunali. L’uomo del nazareno rinunzia dunque ad esigere una qualsivoglia ricompensa per l’assoluta fedeltà dimostrata nei riguardi del suo “alleato”. L’uomo si comporta come quelle mogli che sono tanto più devote al marito quanto più lunghe risultano le corna sulla loro testa.
Simili osservazioni sono esposte nell’editoriale pubblicato sul numero di mercoledì scorso de “La Repubblica” a firma di Francesco Bei.
Nella stessa edizione del giornale si può tuttavia leggere un altro commento, redatto da Ezio Mauro, da cui risulta che Annibale è “ad portas”. Nel senso letterale del termine, in quanto l’autore paventa che la manifestazione indetta a Roma per sabato prossimo dal fronte dell’opposizione “extraparlamentare” rappresenti una sorta di tentativo di sovvertire le istituzioni, sostituendole con un regime autoritario, estremista e settario. L’articolo contiene una dettagliata esposizione del campionario ideologico di quanti si accingono a sfilare partendo dalla Bocca della Verità. Si tratta in effetti di un pensiero politico incompatibile con i principi liberaldemocratici cui si ispira il nostro stato. Se però gli oppositori di Conte devono essere tenuti lontani dal potere in quanto sollevano la bandiera del negazionismo, riferito all’epidemia, i suoi amici del Movimento Cinque Stelle sono fautori dichiarati di cause anch’esse alquanto bislacche, come l’esistenza delle “scie chimiche” o delle sirene, o la nocività dei vaccini.
Gli oppositori, secondo Ezio Mauro, compongono una setta. Forse risulterebbe più appropriato affermare che si tratta di una coalizione eterogenea, composta da una pluralità di sette.
Vale la pena ricordare come tra i punti deboli dei democratici marchigiani, che rischiano anche per questo di perdere la Regione, vada annoverato il loro sodalizio con la setta dei “macrobiotici”, diffusa particolarmente dalle loro parti. Qual è però la differenza tra l’opposizione ed i seguaci di Grillo? Costoro compongono in primo luogo non una galassia variopinta di associazioni, bensì un partito ispirato al modello della Corea del Nord, gestito da un appartamento di Milano in cui è proibito l’ingresso agli iscritti e perfino ai dirigenti, in cui si svolgono votazioni il cui esito non può essere assolutamente verificato. Per giunta, oltre ad assomigliare ai seguaci di Kim Jong-un, si ravvisa nei sodali di Grillo una analogia inquietante con alcuni culti misterici, come quelli dei “sik” e dei drusi. I cui libri sacri sono accessibili soltanto ad una ristretta cerchia di “saggi”, o di sacerdoti.
Molti dei principi ideologici e programmatici elaborati da Grillo sono infatti conosciuti solamente a lui, ed il comico si riserva – come è avvenuto nel caso della scelta del candidato sindaco di Genova – di invalidare una decisione adottata dal partito qualora non corrisponda con questi postulati: che però non vengono resi di pubblico dominio. Tale è la forza politica che governa non già un paese dell’Africa o dell’America Latina, bensì la “settima potenza industriale del mondo”.
Eppure, Mauro vede soltanto un diverso e maggiore pericolo: quello che l’Italia venga governata dal generale Pappalardo. Come se oggi le sorti del paese fossero viceversa affidate agli eredi di Einaudi, di De Gasperi, di Guido Carli e di Azeglio Ciampi. Non è d’altronde casuale che Scalfari scorga in Conte la reincarnazione di Cavour (?!): il quale si sta rivoltando nella tomba.
Qual è dunque la differenza tra “l’avvocato del popolo” e l’opposizione extraparlamentare? Mauro non lo chiarisce, ma ci permettiamo di completare il suo ragionamento. Mentre quanti si apprestano a marciare per le vie di Roma si propongono – sia pure velleitariamente – di provocare l’uscita dell’Italia dalla sua attuale collocazione internazionale, Conte ed il suo partito, con cui i democratici sono disciplinatamente allineati – ne garantiscono il mantenimento.
Per cui, l’alternativa che fa intravedere l’articolo di Mauro è la seguente: o non si celebrano le elezioni regionali, per evitare che destabilizzino il governo, oppure non si tiene conto del loro esito. Il che comporta un ridimensionamento del potere degli enti locali. La contraddizione tra gli equilibri su cui si regge un governo e la volontà popolare determina, quando non se ne traggono le conseguenze in base alle regole proprie della democrazia rappresentativa, la consumazione di un colpo di stato. Del quale ripetiamo la definizione giuridica: si tratta di una modifica della Costituzione introdotta senza rispettare le procedure che la stessa Costituzione stabilisce per il proprio emendamento. Ciò avverrebbe precisamente tanto nel caso di un rinvio del voto, quanto nel caso non si tenesse conto del suo esito.
Vi sono stati alcuni colpi di stato, nella storia del dopoguerra, che potrebbero costituire altrettanti precedenti di quanto si sta profilando attualmente in Italia.
Nel 1967, si preparavano in Grecia delle elezioni politiche che avrebbero portato al governo una sinistra di orientamento neutralista, o quanto meno presentata come tale dalla destra interna ed internazionale. I colonnelli presero il potere.
Nel 1973, il governo di Allende stava costituendo sul continente latino americano una estensione dell’influenza cubana: quanto meno, ciò affermavano i suoi nemici. Anche in questo caso, fu instaurata una dittatura militare.
Nel 1980, il sindacato libero polacco, avendo constatato che la libertà conseguita nel campo dei rapporti di lavoro non poteva sussistere da sola se permaneva il regime comunista, propose di sottoporlo ad un plebiscito. In questo caso, il colpo di stato venne consumato per contrastare l’estensione della influenza occidentale.
In tutti e tre questi casi, la violenza perpetrata contro le istituzioni si basava sulla asserzione che il popolo si era sbagliato, o era sul punto di sbagliare. Soprattutto in quanto metteva in discussione la collocazione internazionale del proprio paese. Che è quanto si dice intendano fare gli oppositori di Conte.
Risulta naturalmente insostenibile – tanto più “a posteriori” – che i colonnelli greci ed i generali cileni incarnassero i “valori dell’Occidente”, o che i militari polacchi difendessero il “socialismo”. Risulta però altrettanto falso che un uomo come Conte – ed un partito come il suo – rappresentino in Italia la democrazia liberale.
Questo lo lasciamo credere a Scalfari, nel suo delirio senile. Quanto si intende preservare è in realtà l’influenza cinese sull’Italia.
Le critiche de “La Repubblica” a Zingaretti per la sua acquiescenza nei confronti del partito “alleato” sono dunque soltanto un “flatus vocis”. Il segretario ha certamente ragione – dal suo punto di vista – quando sostiene che il governo non ha alternative. Non già, però, nell’ambito della legalità costituzionale, violata apertamente dall’ “avvocato del popolo”, e che attende di essere ripristinata, bensì nel contesto delle alleanze da cui è stato collocato al potere, e dalle quali viene sostenuto.
E’ triste constatare che “La Repubblica” anticipi un colpo di stato, e lo giustifichi.
In realtà, il “golpe” è già stato consumato.
Ora il nuovo regime si trova nella necessità di dichiararsi e di consolidarsi. Prevenendo ed impedendo ogni tentativo di rovesciarlo.