Una regola del giornalismo dice: “non” fa notizia ”il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane”.
Una regola del giornalismo dice: “non” fa notizia ”il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane”.
Applicando tale principio a Conte, avrebbe “fatto notizia” la mancata costituzione di un suo partito personale. La regola vuole infatti che ogni capo di un regime autoritario, sia esso una dittatura dichiarata o una semidittatura, organizzi i propri seguaci.
Il commento si limita dunque necessariamente a due aspetti di contorno della vicenda: il nome attribuito alla nuova creatura ed il momento prescelto per annunziare la sua nascita. Quale corollario, si potrà anche valutare quale sorta di persone confluiranno nel partito fondato dal cosiddetto “avvocato del popolo”. Che si denominerà “con te”. Ci dicono quanti conoscono la lingua di Confucio che i cinesi pronunziano il nome del nostro Presidente del Consiglio ponendo l’accento sulla vocale finale.
L’uomo di San Giovanni Rotondo ha dunque deciso di tributare un omaggio ai suoi referenti internazionali. Gli italiani non sono ancora al corrente di tale dimostrazione di piaggeria, ma – quando anche la conoscessero – lascerebbero correre.
Il nostro patriottismo non va oltre le partite della “nazionale”. In altre latitudini, il rispetto nei riguardi della lingua risulta ben più radicato.
Quando Giscard d’Estaing fu eletto presidente della repubblica, pronunziò il suo primo discorso in inglese, e solo dopo in francese. I suoi compatrioti ne tennero conto sette anni dopo, negandogli la riconferma.
Da noi, è addirittura probabile che la scelta di declinare perfino il proprio nome secondo una fonetica non soltanto straniera, ma addirittura esotica, venga considerata una prova del cosmopolitismo di chi guida le sorti della nazione, compensando la sua assoluta incapacità di esprimersi in alcun idioma diverso dall’italiano. 
Il Conte di Cavour, notoriamente, parlava perfettamente il francese, ma non riuscì mai ad esprimersi in corretto italiano. Per le traduzioni, si affidava al suo segretario, Isacco Artom, il quale proveniva da una famiglia di commercianti israeliti di Asti, che lo avevano mandato presso le diverse ditte straniere corrispondenti, tanto per impratichirsi nella mercatura, quanto per apprendere le lingue.
Mussolini, che chiuse la successione dei presidenti del consiglio dell’Italia liberale, non era mai riuscito ad imparare il francese, e tanto meno il tedesco e l’inglese. Ciò ne accrebbe il senso di frustrazione, e la conseguente tendenza a cercare una compensazione attraverso il potere personale. Non si fece però mai conferire una laurea “honoris causa”, che varie università gli offrirono in segno di adulazione. Si dice che D’Annunzio avesse scritto molti suoi discorsi nonché una poesia – dedicata al pane, quale alimento contadino per eccellenza – che il “duce” fece pubblicare ed inserire nelle antologie scolastiche. In verità, l’uomo di Predappio eccelleva quale giornalista, sia per lo stile, sia per la scelta degli argomenti. Non si conoscono però  suoi testi specialistici in alcuna disciplina.
Una regressione simile a quella avvenuta dal liberalismo al fascismo, si riscontra anche in quella consumata tra i “padri fondatori” della Repubblica ed il suo attuale affossatore. De Gasperi era bilingue con il tedesco, Togliatti con il russo, Nenni con il francese.
A Conte qualcuno deve avere suggerito il suo curioso gioco di parole, tanto in italiano quanto con il cinese. Nella lingua di Dante, esso ricorda le escogitazioni delle agenzie pubblicitarie, addicendosi però – più che ad una formazione politica – ad una “linea” di biancheria intima o ad una confezione di cioccolatini. Viene curiosamente omesso ogni riferimento alla nazione, che invece invariabilmente ricorre in analoghe denominazioni, o vale il “Partito Nazionale Fascista” in Italia, il “Partito Nazionale Socialista” in Germania, la “Sollevazione Nazionale” in Spagna. I bolscevichi fecero eccezione, mantenendo nel loro nome il riferimento al comunismo. Si trattava infatti di un richiamo all’internazionalismo.
Quanto alla bandiera, essi sostituirono però quella del partito al vessillo imperiale, come fecero i nazisti con quello tradizionale della Germania.
I seguaci di Mussolini si limitarono a mettere il “fascio littorio” sul tricolore, soppiantando l’emblema sabaudo. L’Italia ebbe dunque, durante il “ventennio”, due bandiere diverse.
Conte è limitato da una precisa norma della Costituzione formale, che si guarda bene dal modificare, limitandosi a trasgredirla.
Il richiamo, anche subliminale (ricorda infatti nell’inconscio i rapporti sessuali) alla persona del capo si rifà invece agli inni fascisti, che sottolineavano invece la relazione quasi carnale instaurata tra il capo e i gregari. Valga per tutti il famoso distico “corrente corrente elettrica, corrente corrente forte, chi tocca il nostro Duce pericolo di morte”. C’è in comune l’impostazione settaria, riassunta in motti quali “il Duce ha sempre ragione” oppure “credere, obbedire, combattere”.
E’ però la scelta del momento in cui viene lanciato il nuovo partito quanto più rivela l’astuzia di Conte.
Per la destra vale il motto di Andreotti, secondo il quale “il potere logora chi non ce l’ha”. I suoi capi non riescono più a tradurre in ruoli di comando il seguito popolare che pure loro non manca. I democratici si trovano nella condizione di quelle zitelle che sono ridotte a cercare un marito purchèssia. La confluenza nei “Cinque Stelle” risulterebbe poco dignitosa, e comunque anche i seguaci di Grillo sono in profonda crisi.
Il Presidente del Consiglio si è rivelato molto abile ad aizzare gli uni contro gli altri, provocando il reciproco esaurimento; “ei fè silenzio ed arbitro si assise in mezzo a lor”.
Rimane la necessità di reclutare i “quadri” e i gregari, ma questo non è un problema.
Hitler, Mussolini, Stalin e Franco potevano contare su quanti avevano partecipato ai conflitti civili che li avevano portati al potere. Conte non ha invece nessun reduce da ricompensare né si può richiamare ad una ideologia. La sua è anzi la più tipica dittatura “post ideologica”.
Occorre dunque invertire la tempistica: una volta preso il potere, non mancano mai quanti sono disposti a saltare sul carro del vincitore.
Nelle vecchie dittature, la gente inquadrata nelle organizzazioni di massa veniva convogliata verso le capitali per contemplare il corpo del capo ed applaudirlo. Conte offrirà invece dei viaggi-premio a Pechino.
Per chi non conosce il cinese, basterà scandire il suo nome secondo la fonetica del “mandarino”.

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Mario Castellano 9/09/2020
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