L’amico Gianni Donaudi (in braccese “Denaudi”), direttore di “Emozioni”, ci invita a redigere un necrologio di Gregorio Salvatore, in arte “sosi Modugno”, recentemente scomparso.
Si trattava di uno degli ultimi personaggi tipici della nostra città, anche se di recente aveva spostato il centro della sua azione prima su Sanremo, poi su Genova, dove alcuni compaesani erano stati stupiti di averlo incontrato, e ancora più di averne constatato l’inserimento nell’ambiente “underground”, grazie alle sue doti camaleontiche di factotum.
Nel 1958, oltre alla morte di Pacelli, evento cui Scalfari fa risalire l’inizio del cosiddetto “autunno della Repubblica”, fino allora pietrificata dal suo pontificato, si era determinato un fatto di costume molto rilevante.
Al Festival di Sanremo, la scuola detta degli “urlatori” che aveva come capofila Modugno (quello vero) e come sua “spalla” Dallara, prevalse sulla scuola dei “melodici”, il cui massimo esponente era Claudio Villa.
Modugno vinse con “Piove”, e si disse che ciò fosse avvenuto grazie ad un singhiozzo inserito nell’acuto. Questo successo segnò però anche il riscatto culturale e sociale dei meridionali, tanto di quelli rimasti al sud quanto di chi era emigrato al nord, in particolare nella nostra provincia. I quali gremirono il teatro del Casinò per sostenere il proprio conterraneo. Un fanatico giunse ad aprire un ombrello in platea proprio mentre il cantante di San Pietro Vernotico (che all’epoca millantava ancora di essere siciliano) gridava “piove!”.
Immediatamente il giovane Gregorio Salvatore, anch’egli meridionale di origine benché onegliese di adozione, scoprì la propria somiglianza fisica con Modugno, e di lì a proporne l’imitazione organizzando serate nei caffè (che registrarono il tutto esaurito) il passo fu breve e obbligato.
In realtà la similitudine tra le fisionomie era piuttosto vaga, ma venne sapientemente accentuata. Il soprannome “sosi” era una abbreviazione di “sosia”: quale però il nostro concittadino non era certamente più somigliante risultava l’espressione vocale, complice un indubbio talento canoro.
Da quel momento Gregorio Salvatore divenne un protagonista della vicenda imperiese. Le serenate nei caffè, all’epoca ancora centro della vita sociale, gli fruttarono anche una discreta sostanza. L’aneddotica fiorì, al punto che divenne difficile sceverare gli episodi autentici da quelli inventati.
Alla fase del successo, seguì però una lunga decadenza, durante la quale “Modugno” si ridusse a fare l’agitatore per conto della destra.
Durante la guerra del Vietnam, era solito irrompere negli assembramenti (non soltanto politici) gridando “viva Nixon!”.
Un nostro lontano parente, di fede socialista (era il referente locale di Pertini), gestore del bar della stazione di Oneglia, non avendo gradito tale manifestazione delle convinzioni di “Modugno”, gli ruppe una sedia sulla testa. Sotto processo finì però Gregorio Salvatore. Il dibattimento risultò degno delle migliori farse della tradizione italiana, ambientate in pretura. Il dottor Coloretti ebbe un bel daffare per calmare tanto l’esuberanza dell’imputato quanto l’irrequietezza del pubblico. La difesa venne sostenuta dall’avvocato Evelina Cristel di Sanremo, eroina della Resistenza, la quale si appellò (giustamente) alla libertà di espressione.
“Modugno” era anche solito inneggiare al vice sindaco dottor Serrati, che lo aveva in cura in qualità di neurologo. Fu appunto gridando “viva Bruno Serrati” che “Modugno” disturbò il “vernissage” della mostra del pittore cileno (sedicente oppositore di Pinochet) Hector Zablach. Due ex partigiani, Eolo Castagno e Saverio Sanpietro, che patrocinavano l’artista, lo portarono fuori prendendolo sottobraccio, a mò di carabinieri.
Un’altra specialità di “Modugno” era il totocalcio, dove – a suo dire – mancava la vincita sempre per un solo risultato. La compilazione della schedina, per cui chiedeva aiuto ai presenti, dava luogo a pittoresche dispute nelle ricevitorie. Altre avvenivano negli uffici postali, da cui – sempre facendosi aiutare – inviava continuamente dei telegrammi.
Quanti professavano il razzismo nei confronti dei meridionali prendevano naturalmente a pretesto il suo comportamento, per cui l’avvento della Lega Nord segnò una crisi nei rapporti tra “Modugno” e la sua parte politica, senza però che egli rinnegasse le proprie scelte.
Ora anche le liti presso gli uffici postali e i supermercati sono involgarite e burocratizzate, senza più quel tanto di pittoresco, di folclore mediterraneo che “Modugno” sapeva esprimere in modo ineguagliabile. Forse c’era in lui una vena autoironica, sia pure nascosta.
Se Garibaldi aveva realizzato l’unità politica, egli – compiendo il percorso inverso – compì quello folcloristica.
Senza rendersene conto, “Modugno” è stato un grande patriota.