La linea imposta dal Gruppo Editoriale Gedi, anche se vi sono ancora dei giornalisti capaci di difendere la propria indipendenza e la propria professionalità, in grado dunque di andare controcorrente, è ben precisa: visto che Conte è il nuovo Cavour (Scalfari “dixit”), i democratici devono sostenerlo disciplinatamente; “perinde ac cadaver”, come direbbe padre Bergoglio S.J. al “fondatore” quando va a confessarsi.
Il prezzo da pagare consiste, in prospettiva, nella confluenza del loro partito nel seguito personale e dell’ “avvocato del popolo”.
Per i nipoti di Gramsci, non si tratta di una prospettiva esaltante, ma la corrispondenza inviata da Genova a firma di Francesco Merlo, pubblicata su “La Repubblica” di martedì 15 settembre, spiega in termini brutali che non vi è alternativa.
Bene hanno fatto dunque i democratici liguri ad arrendersi senza condizioni a Grillo, accettando di sostenere un candidato che ha costruito la propria carriera giornalistica e politica insultandoli. È stato per giunta sacrificato un galantuomo come Ariel Dello Strologo, insieme agli altri dirigenti esposti per mesi al “jeu de massacre” praticato dal comico. Il risultato di questo gioco è tragico, per i motivi che diremo.
Ci preme però sottolineare in primo luogo che Merlo ci considera dei morti di fame, costretti a mendicare le cure gratuite praticate dal medico personale di Grillo. Se l’illustre firma de “La Repubblica” si fosse spinta fino a Quarto dei Mille, ed avesse visitato l’ospedale pediatrico Gaslini, avanguardia della ricerca scientifica in questo campo, avrebbe scoperto che le cure gratuite vi vengono praticate ai bambini inviati da tutto il mondo. Per essere dei morti di fame, non c’è male. Il fatto è che il Gaslini appartiene – per volontà del suo fondatore – alla curia, contro cui Merlo esibisce il repertorio vetero anticlericale tipico dei redattori del gruppo editoriale de “L’Espresso” (giornale ormai ridotto allo stato larvale), affermando che Bagnasco ha perpetuato nella chiesa di Genova l’indirizzo tradizionalista di Siri, fino a quando il papa ha deciso di commissariare l’arcidiocesi, inviandovi padre Tasca.
Il metropolita emerito ha invece compiuto un’opera paziente e silenziosa di riforma, avvalendosi però di una struttura ecclesiale ben radicata nella società, ed in particolare nel mondo del lavoro, per cui il suo successore trova una gran parte dell’opera già svolta. Ciò nulla toglie, naturalmente, all’importanza dell’impegno che lo attende, che dovrà però essere rivolto essenzialmente all’ambito della cultura religiosa.
La prassi pastorale è già cambiata radicalmente rispetto ai tempi di Siri. Bastava recarsi in una parrocchia per constatarlo, ma Merlo è troppo impegnato a raccogliere pettegolezzi.
Per amore della verità, più che per il rispetto dovuto a monsignor Bagnasco, ricordiamo all’illustre ma poco diligente collega che il cardinale ha sempre contrastato il separatismo praticato nel Ponente Ligure da Sonia Viale, la quale dirige la politica – non soltanto sanitaria – della giunta regionale, e lo ha fatto precisamente nel nome dei valori di solidarietà e di unità nazionale, cui ha ispirato anche la sua opera quale presidente della Conferenza Episcopale.
Abbiamo ripetuto più volte che nella città di origine di Mazzini, e di adozione di Garibaldi, nessuna autorità civile è stata capace di svolgere questo compito, per cui ha dovuto supplire quella ecclesiastica.
Il motivo di questa negligenza, da parte di Burlando, sta nel fatto che l’ingegnere ha praticato la politica dei “partiti trasversali”, seguendo l’esempio dei suoi compagni di partito di Imperia, esportato in Regione ma sempre riferito al “business” del Ponente. Questo non lo affermiamo noi, lo ha riconosciuto apertamente lo stesso Burlando.
Merlo può consultare, presso l’ufficio stampa di via Fieschi, il discorso pronunziato dall’allora “governatore” quando pose la prima pietra del porto turistico di Imperia. Noi eravamo presenti, i colleghi de “La Repubblica” non c’erano. In quella occasione, Burlando dichiarò apertamente, menandone vanto, il rapporto di “partnership” instaurato tra la sua amministrazione ed il Gruppo Cozzi-Parodi nella implementazione dei porti turistici. Il che ha comportato la completa cementificazione della costa ligure, e la fine di una attività millenaria quale era la pesca.
Si dà il caso che il Gruppo Cozzi-Parodi sia contiguo – politicamente, e non solo territorialmente – con la consorteria leghista di Sonia Viale, a suo tempo di orientamento apertamente separatista. Contro questa tendenza, Bagnasco si è pronunziato, mentre Burlando, naturalmente, non lo ha mai fatto.
Per quanto riguarda l’attuale occupazione dell’ingegnere, risulta addirittura ridicola la narrazione di Merlo, il quale lo dipinge come un innocuo vecchio signore, dedito a giocare a carte all’osteria. In realtà, tutte le trame che hanno portato la Liguria, ed in particolare la sinistra ligure, all’attuale disastro, sono state tessute da lui.
Cinque anni fa l’allora “governatore” uscente, per proseguire da dietro le quinte la politica “trasversale” dei porti turistici, impose al partito la candidatura della Paita, al prezzo di falsare il voto delle “primarie”, cui vennero convogliati su compenso gli immigrati bengalesi e magrebini privi perfino del permesso di soggiorno. La sinistra, così, si divise e perse, in conformità con gli interessi del “partito trasversale”.
Questa volta, la Paita, sempre agendo per conto di Burlando, ripete l’operazione, sotto le bandiere di Renzi. Il quale è “di sinistra” come noi siamo l’imperatore del Giappone. Anche questa volta, la sconfitta è da addebitare all’ingegnere. Stendiamo un velo pietoso sulle sue disavventure automobilistiche, culminate con il classico “lei non sa chi sono io”, rivolto agli agenti della polizia stradale. I quali, per fortuna, non si lasciarono intimidire. “La Repubblica” mandò comunque la De Gregorio a perorare la causa di Burlando, come ora manda Merlo. Il quale propone della devastata sinistra ligure una immagine edulcorata, come quella che davano un tempo della Unione Sovietica i suoi correligionari ivi mandati in viaggio premio.
In realtà, è tutta la nostra Regione che vive il momento peggiore della sua storia, non solo e non tanto a causa della crisi economica e sociale, ma per via della perdita della sua identità, della sua anima. 
Dopo l’unità, due regioni rimasero fedeli all’ideale repubblicano, l’Emilia-Romagna e – per l’appunto – la Liguria. Mentre però gli emiliani ed i romagnoli si dedicarono a preservare intatta la loro identità schierandosi all’opposizione, i nostri antenati scelsero di recare al nuovo stato un apporto diretto, sia pure intimamente critico. La Liguria proiettò allora l’Italia sui mari. Il suo spirito autentico si sarebbe rivelato nella Resistenza, e poi nella scelta della Repubblica.
Ora il suo spostamento verso la destra, quella estrema ed eversiva rappresentata da Sonia Viale, comporta la perdita di una tradizione e di una identità che risale, attraverso Mazzini, alla Repubblica di Genova.
Questa eredità è stata dissipata dalle persone come Burlando, che nel nome di un affarismo propiziato non già da capacità imprenditoriali, bensì da rendite di posizione dovute alle loro cariche pubbliche hanno dapprima scelto la destra come socio nei “partiti trasversali”, e poi – dividendo la sinistra – ne hanno propiziato la vittoria elettorale.
Visitare la Liguria e poi raccontarla ai lettori fingendo di ignorare perfino l’esistenza dei “partiti trasversali” è come scrivere della Francia senza tenere conto della Rivoluzione Francese.
L’importante, però, è che la nostra Regione si allinei con Conte: “ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”. 

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Mario Castellano 19/09/2020
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