Abbiamo analizzato la lista dei finanziatori del “partito” di Toti, cioè – più prosaicamente – di quanti hanno pagato la sua dispendiosa campagna elettorale.
L’elenco comprende i titolari di tre categorie di ditte: quelle che hanno collaborato alla ricostruzione del ponte Morandi, quelle che hanno eseguito dei lavori per la Protezione Civile e quelle che hanno ristrutturato la nave-ospedale destinata ad ospitare i malati per l’epidemia. In questo caso, l’elenco comprende anche l’armatore, il quale ha compiuto il bel gesto di affittare il natante per il compenso simbolico di un euro, guadagnando l’ammirazione dei concittadini. In questo caso, l’elenco comprende anche l’armatore, il quale ha compiuto il bel gesto di affittare il natante per il compenso simbolico di un euro, guadagnando l’ammirazione dei concittadini.
Viene però taciuto il fatto che Via Fieschi ha sostenuto il costo dell’attracco durante il tempo della locazione: il proprietario ha evitato così di pagarlo in un periodo in cui l’imbarcazione sarebbe stata comunque ferma. Costui, per giunta, godrà dei lavori compiuti a spese dell’ente pubblico quando ne tornerà in possesso.
Una ulteriore annotazione riguarda il fatto che i finanziatori di Toti sono praticamente gli stessi soggetti sostenitori a suo tempo della analoga fondazione guidata da Burlando. Non vale la pena di stigmatizzare il trasformismo e l’opportunismo dimostrato da chi insegue gli appalti, concessi – grazie all’emergenza – mediante trattativa privata. Con il risultato che l’ente pubblico perde il risparmio derivante dalla licitazione, ma il contraente privato non guadagna nulla, dovendo ricompensare chi lo ha scelto.
L’aspetto più grave di questa vicenda non consiste nemmeno nel fatto che Burlando abbia distribuito disinvoltamente patenti “di sinistra” a persone che semplicemente avevano stabilito con lui dei rapporti di convenienza reciproca: quando vennero inaugurati i lavori di costruzione del porto turistico di Imperia, il “governatore” pronunziò un panegirico di Beatrice Cozzi Parodi, che ne aveva l’appalto. Sappiamo bene che cosa è successo in seguito.
Anche nelle coalizioni costituite da De Luca, da Emiliano e dagli altri loro colleghi di sinistra figurano persone e soggetti sociali di tutt’altra provenienza.
La differenza con la Liguria consiste nel fatto che nelle rispettive regioni si è tornati a vincere, mentre nella nostra si è tornati a perdere, questa volta malgrado sia stato presentato un candidato tanto “unitario” da rappresentare anche Grillo. Quanto è destinato a durare nel tempo, al di là della persona del candidato, che si può sempre cambiare, è l’egemonia acquisita dalla destra. Questa egemonia, per giunta, non è stata costruita da Toti, bensì da Burlando, nel momento in cui ha scelto di privilegiare degli interessi speculativi o su quelli – pensiamo soprattutto ai poveri pescatori – che si identificano con la produzione.
Oggi tutta la costa, da Ventimiglia fino a Lerici, è rovinata irreversibilmente, proprio quando i flussi turistici sono altrettanto irreversibilmente cessati. Burlando si presenta come un economista, solo perché frequenta dei dirigenti d’azienda. In qualità di “esperto” in questa materia, non ne ha però azzeccata una.
“La Repubblica” continua tuttavia a mandare da Roma degli inviati, che conoscono la Liguria come noi conosciamo gli altri pianeti, incaricati di incensarlo. Credendo per giunta di aiutare in questo modo il malcapitato Sansa. Il quale ha fallito non certo per avere criticato il suo predecessore, bensì per non averne preso le distanze a sufficienza. O meglio, per non avere tratto le dovute conseguenze dalla critica della “cementificazione” per dedicarsi a costruire un blocco sociale ed una alleanza politica alternativa. Quella promossa a suo tempo dall’ “ingegnere” si è dislocata dalla parte opposta perché l’ex “governatore” non ha neppure tentato di egemonizzarla. Per farlo, sarebbe stato necessario possedere una cultura politica adeguata. Burlando, però, manca perfino della cultura generale. Il suo partito “trasversale” ha finito dunque per lavorare per il re di Prussia, esattamente come quello di Imperia, che ne ha costituito il precedente ed il modello.
La sinistra è stata disarmata, perdendo ogni capacità di mobilitazione, e nemmeno ha guadagnato in termini economici: i soci della selvaggina, come quelli dei porti turistici, sono finiti nelle tasche di soggetti privati.
Un discorso analogo si può fare per l’Italia, con la differenza che Conte lavora per interessi stranieri. Al Presidente del Consiglio non importa che le misure “profilattiche” distruggano l’apparato produttivo: all’ “avvocato del popolo” importa soltanto che i cinesi si impossessino del porto di Taranto.
A questo punto, però, il “trasversalismo” non funziona più, in quanto la rappresentanza politica coincide con le diverse identità territoriali.
Non tutte le Regioni sono disposte ad affidare a soggetti stranieri – o che comunque agiscono in nome e per conto degli stranieri – la conduzione della loro economia. Si stanno dunque ponendo i presupposti di una frammentazione dello stato.
Dove l’economia è assistenziale, si può adottare l’ideologia “pentastellata” della “decrescita felice” (che in realtà risulta tale soltanto per i cinesi). Dove invece si vuole ancora produrre, bisogna tenere conto delle necessità di chi è in grado di farlo. Le Regioni settentrionali hanno finalmente rotto il silenzio omertoso, osservato fino ad ora da tutte le istituzioni, criticando le misure introdotte da Conte, mentre quelle meridionali le hanno accettate.
La critica non ha riguardato il procedimento costituzionalmente illegittimo, seguito dal governo per introdurre i nuovi provvedimenti, bensì il merito. Ciò è segno del fatto che non ci si preoccupa più delle regole del gioco, che quando si vuole restare insieme dovrebbero essere condivise, quanto piuttosto del risultato.
Conte è veramente l’ultimo successore del conte (di Cavour): non perché compie la sua opera, bensì in quanto la sta liquidando.