Chi – come anche noi – ha militato nel movimento dei lavoratori, si è sentito rivolgere infinite volte dai compagni più anziani la frase: “vedrai il nostro governo?”. Il “nostro” governo è venuto, ma non lo vediamo.
Ci riferiamo a questa espressione in senso fisico. Il portone di Palazzo Chigi è sbarrato, la piazza antistante vietata alla circolazione pedonale, presidiata per giunta dall’esercito – non più dai carabinieri e dalla polizia – con esibizione di mezzi blindati, mentre la stessa persona di Conte risulta sempre più avvolta in un enigma, come quelle dei dirigenti del Cremlino, della Città Proibita e del Palazzo del Sultano, che Erdogan ha fatto riedificare ad Ankara.     
L’ultimo mistero riguarda l’esibizione televisiva del cosiddetto “avvocato del popolo”, il cui orologio da polso segnava le cinque e cinquantacinque, mentre il discorso veniva trasmesso “in diretta” alle nove e mezza della sera. L’appello al popolo era dunque registrato. Nulla di male, ma perché non dirlo? Le ipotesi sono due: o l’uomo intendeva riascoltarsi per correggere gli eventuali errori, o qualcun altro doveva concedere il proprio “imprimatur”.     
Chi è il misterioso suggeritore – o controllore – del Presidente del Consiglio? A rigor di logica, l’unico soggetto in grado di svolgere un controllo sulla conduzione del governo italiano è l’ambasciata della Cina, situata in via Bruxelles, da cui il rappresentante del “Celeste Impero”esce sovente per rendere visita al suo amico Bergoglio.     
Nessun primo ministro democristiano – neanche ai tempi della ambasciatrice Clare Boothe Luce – venne mai sottoposto ad un simile smaccato patrocinio da Via Veneto. Eppure, in quell’epoca, i comunisti tumultuavano tutti i giorni al grido di “yankees go home!”. Nessuno, oggi, invita i cinesi a tornare a casa loro, anche perché non sappiamo come lo si dica nella loro lingua.     
Conte esibisce tutte le caratteristiche dei dittatori, a cominciare da una ombrosità che rasenta la paranoia. L’uomo di San Giovanni Rotondo non sembra fidarsi di nessuno.     
Il comunismo russo portò dapprima alla dittatura di un partito, poi a quella di una corrente, ed infine al potere assoluto di una persona: quella di Stalin.     
Conte ha potuto bruciare le tappe in quanto non è stato portato al governo da una forza politica, ma ha saputo insinuarsi nella contraddizione tra i democratici ed i “pentastellati”. Subito dopo, ha sfruttato l’evanescenza di questi due soggetti, che sono entrambi del tutto privi di una base.     
A questo punto, è arrivata provvidenzialmente (per lui) l’epidemia, che ha imposto di concentrare l’esercizio del potere in un organo monocratico. L’operazione è riuscita alla perfezione. Tanto dal punto di vista giuridico, con l’elaborazione di un nuovo strumento legislativo, il “decreto del Presidente del Consiglio”, che consente di emarginare dal processo decisionale sia il governo – inteso quale organo collegiale – sia soprattutto il Parlamento, quanto dal punto di vista operativo, mediante la proliferazione dei “comitati” e dei “commissari”, incaricati di suggerire a Conte quanto egli vuole farsi suggerire. Lo prova il fatto che le persone incorporate in questi nuovi organi non possono vantare alcuna particolare competenza scientifica.     
A questo punto, però, si pone un dubbio inquietante: se Conte è eterodiretto, chi sta dietro di lui ha in mano l’Italia.     
Rimane soltanto, in teoria, il contrappeso al potere centrale dello stato costituito dal decentramento amministrativo, cioè dagli enti locali.     
Tremonti ha insinuato, in un suo articolo, che Conte, conferendo ai sindaci il potere di limitare i movimenti delle persone, ha oggettivamente incoraggiato il secessionismo. Ci permettiamo di dissentire dall’ex ministro.
In primo luogo si deve tenere conto del fatto che i comuni, in Italia, sono più di ottomila. Nell’età comunale, si è arrivati a contare circa trecento stati, poi ridotti nel Rinascimento più o meno a quelli regionali sopravvissuti fino all’Unità.     
Anche quei comuni che furono città-stato non hanno più né la tradizione, né tanto meno le dimensioni che possano fare da base ad una riacquisizione della sovranità.     
Può essere che qualche sindaco, preso da un delirio di onnipotenza (qua e là si assiste a questo fenomeno di patologia mentale) decida di chiudere tutti in casa. Gori di Bergamo, che dei suoi compaesani possiede il buon senso, ha fatto osservare come solo per chiudere una piazza avrebbe bisogno di quindici agenti, e dunque la polizia municipale dovrebbe assumere le dimensioni di un corpo d’armata. La Lamorgese ha risposto che può procedere, poi il “Comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico deciderà se fornire la forza necessaria per eseguire le ordinanze”. Questo significa che più i sindaci sono restrittivi, più cresce l’invadenza del potere centrale.
Se invece un sindaco decide il “liberi tutti”, Conte ha buon gioco ad additarlo al pubblico ludibrio come un “untore”.
Lo stato di polizia è controllato da chi comanda effettivamente la polizia. Quanto al “Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico”, abbiamo interpellato quello della nostra provincia a proposito del giro elettorale dell’onorevole Furgiuele, venuto a propiziare la trionfale vittoria del sindaco Scullino a Ventimiglia. Non ci è pervenuta nessuna risposta. Segno che anche le manovre delle varie mafie vengono represse o incoraggiate a seconda delle convenienze del governo.
Conte alterna minacce di provvedimenti draconiani, come la chiusura dei locali pubblici e delle regioni, con la constatazione della loro inutilità. Ciò fa parte della costruzione di un personaggio che assomma le caratteristiche tanto del “cattivo” come del “buono”. Poiché alla fine prevale sempre il “buono”, il pubblico finisce col percepire come tale il Presidente del Consiglio.
Gli italiani contraggono una sorta di “sindrome di Stoccolma”, e considerano Conte come un benefattore solo perché non li uccide tutti, pur avendone il potere.
Uno studioso russo, per spiegare la vicenda di Stalin, ricorse ad un apologo: un malfattore sale su di un aereo, uccide tutto l’equipaggio, si mette al posto del pilota e riesce in qualche modo ad atterrare. A questo punto, invece di essere arrestato, viene applaudito dai passeggeri come loro salvatore.
L’unica speranza, nel nostro caso, è che si schianti l’aereo. Sempre che sopravviviamo.
La “sinistra” è giunta finalmente al potere, ma al prezzo di rimangiarsi tutto il processo di revisione ideologica compiuto precisamente a partire dalla morte di Stalin.
Siamo caduti nel peggiore autoritarismo, accompagnato dal culto della personalità. Quanto è peggio, siamo governati da Pechino, che è ancora più lontana di Mosca. Soprattutto dal punto di vista culturale.
Pensare che tutto era cominciato nel Risorgimento, quando si cantava: “và fuori d’Italia, và fuori che è l’ora, và fuori d’Italia, và fuori o stranier!”    

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Mario Castellano 23/10/2020
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