È veramente un peccato che sia già morto Mario Monicelli, che avrebbe saputo trarre dalla vicenda tragicomica della mancata manifestazione di Milano un film degno di “Vogliamo i colonnelli”.
Non sempre e non dovunque – qui Lévy ha indubbiamente ragione – le scienze empiriche sono state tenute distinte dalle discipline umanistiche. Ci sono voluti dei secoli prima che la speculazione filosofica ed il pensiero teologico cessassero di condizionare la visione della realtà fisica. Pensiamo alla prevalenza della concezione tolemaica, basata sull’interpretazione letterale delle Sacre Scritture. Né si può affermare che simili contaminazioni siano avvenute sempre ad opera della religione. Perfino l’Illuminismo cadde nell’errore di conformare la spiegazione dei fenomeni naturali ad un canone ideologico.      
Ricordiamo il caso del naturalista francese Buffon, il quale – osservando le specie animali e vegetali delle Americhe – formulò una sua teoria, in cui asseriva la “immaturità” del Nuovo Continente, collocato – a suo dire – ad uno stadio della evoluzione ritardato rispetto all’Europa.      
I patrioti che si fecero fautori dell’indipendenza delle colonie, tanto nell’America anglosassone quanto nell’America latina, dovettero anche combattere queste tesi, volte a munire il dominio europeo di un fondamento “scientifico”.      
L’errore compiuto da Lévy si spiega, anche se non si giustifica, con quanto sta succedendo laddove la rivolta contro l’egemonia culturale imposta dal colonialismo – e poi dal neocoloniasmo – cade in eccessi che risulterebbero ridicoli se non fossero tragici.      
L’abbattimento delle statue di Colombo può ancora inquadrarsi nel ripudio di un dominio straniero, ma l’accanimento contro i simboli religiosi – di cui si è avuta una manifestazione iconoclasta con il rogo della statua del “Sangue di Cristo” a Managua, ordinato dalla moglie di Ortega nel nome del ripristino dei culti ancestrali – degenera in forme di razzismo “rovesciato”. In base al quale esistono culture “superiori” e “inferiori”, ma tale gerarchia deve essere sovvertita rispetto a quella ispirata dall’eurocentrismo. Che a sua volta aveva escogitato una giustificazione della propria egemonia – il famoso “fardello dell’uomo bianco” – incaricato della missione di redimere i “selvaggi” soltanto perché la nostra cultura era stata l’unica capace di trasferire nelle applicazioni tecnologiche un sapere scientifico a volte più arretrato di quello degli altri.      
La “politica delle cannoniere” si poteva praticare in quanto gli europei avevano le navi di acciaio e migliori armi da fuoco. A sua volta, questo vantaggio pratico era stato causato dalla loro concezione lineare del tempo, che induce ad accelerare la successione degli eventi. Questo non ha senso se la concezione del tempo è viceversa circolare.      
Quando il Papa chiede di fermare lo sviluppo, negando che esso sia identificato con il progresso, rivaluta – pur senza cadere nel sincretismo – un pensiero proprio delle culture ancestrali dell’America Latina.      
Lysenko non c’entra con tutto questo. Il ciarlatano della genetica al servizio di Stalin pretendeva di applicare a questa materia l’analisi marxista, ignorando che le leggi scientifiche non si possono applicare a discipline completamente diverse. Quando invece “Black Lives Matter” rilegge le vicende delle Americhe, lo fa secondo i canoni della storiografia. Si può, naturalmente, dissentire dalle conclusioni, ma non si può negare la serietà di questo pensiero.      
Lévy lamenta che “si riducono i laboratori e gli istituti di ricerca a istituzioni bianche”: per cui, secondo il pensatore francese, “anche le scienze esatte sarebbero infettate dal virus della discriminazione e dell’ingiustizia”. Non le scienze in sé, ma il loro uso, che spesso è stato rivolto contro le classi subalterne, escluse dai benefici propiziati dalle nuove scoperte: chi sarà vaccinato per primo?      
Chiedere giustizia per le vittime della storia non significa accelerare la fine della nostra civiltà, ma al contrario preservarla dalla esplosione del loro malcontento. Per questo, dobbiamo però ripudiare la pretesa di essere superiori, e condividere una rilettura critica della storia.      
Non dimentichiamo che molti dirigenti del meridione del mondo padroneggiavano – e tuttora ben conoscono – la cultura occidentale, nei cui riguardi non dimostrano il senso di superiorità, tipico viceversa di tanti nostri “leaders” politici e di tanti nostri intellettuali, come per l’appunto Lévy. Il quale annunzia nel suo articolo su “La Repubblica” che è stato incaricato di introdurre il congresso sionista mondiale. La cui causa trionfò grazie al fatto che i grandi spiriti ricordati dal filosofo, malgrado molti di loro provenissero dai ghetti e dagli “stetalets” più poveri dell’Europa orientale conoscevano la cultura dei Gentili. Verso la quale non nutrivano né un sentimento di inferiorità, né un sentimento di superiorità.      
Gli eccessi iconoclasti, le teorie manichee della storia che pretendono di ignorare la cultura meticcia, l’estremismo che induce a considerare come dei “traditori” quanti coltivano la sapienza dell’Europa, tutto questo deve essere ripudiato e combattuto.      
Lévy cade però in un errore eguale e coLa lacuna è in parte colmata dalle riprese artigianali che circolano su internet, nelle quali i protagonisti – con l’intenzione di esibire le proprie doti politiche e organizzative – finiscono per coprirsi di ridicolo.      
Le sigle organizzatrici dell’evento erano numerose e agguerrite, componendo uno spettro molto ampio, esteso da alcune categorie imprenditoriali fino ai “gilet gialli”, accorsi a dare man forte dalla Francia, e dai “gilet arancioni” seguaci del generale Pappalardo.      
L’influenza della “sorella latina” sull’Italia assume costantemente delle espressioni cromatiche. .     
Il nostro tricolore fu inventato sostituendo il blu con il verde, mentre ora l’indumento catarifrangente si conforma con le prescrizioni dei rispettivi “codici della strada”. La coalizione di sigle che avrebbe dovuto invadere Milano era in realtà troppo ampia per mantenere la necessaria coesione.      
I militari – quale è appunto Pappalardo – dimostrano il loro valore nel guidare la truppa, contando sulla disciplina gerarchica, ma non risultano altrettanto abili nelle mediazioni, necessarie per tenere insieme un seguito eterogeneo. Una delle poche eccezioni fu costituita dal generale De Gaulle, il quale riuscì a mettere insieme una congerie di soggetti che andava dai comunisti ai monarchici. Il capo della “Francia libera” ne fu capace soprattutto perché non apparteneva a nessuna delle forze che lo sostenevano, dominandole tutte con il suo prestigio personale.
Vari soggetti tentarono di imitarlo in Italia. Il più pervicace fu Randolfo Pacciardi, un repubblicano storico uscito dal partito in opposizione al centro-sinistra, ma soprattutto in odio a La Malfa, cui nel congedarsi da questa gloriosa parte politica rivolse l’insulto di Cambronne. Pacciardi promosse, essendo sostenuto dalla finanza interna ed internazionale, un movimento che si richiamava alla “nuova repubblica”, in cui si proponeva di conciliare fascisti ed antifascisti.      
Questo partito pubblicava un periodico intitolato “Folle”, in riferimento alle moltitudini. Purtroppo per Pacciardi, la parola designa anche i malati di mente. L’avventura finì male, perché la maggioranza era destinata ad estendersi progressivamente, estendendosi prima ai socialisti, e poi ai comunisti.      
Ora Pappalardo si rifà non tanto al De Gaulle del 1958, quanto a quello del 1940, ed infatti figura tra i promotori di un “governo provvisorio” della Repubblica Italiana, ispirato al “Comitato dei francesi liberi”.      
È indubbio che il governo di Conte sia subordinato ai cinesi, come quello di Pétain era sottomesso ai tedeschi. De Gaulle, però, contava sul fatto che gli inglesi, volendo continuare la guerra, avevano bisogno di lui. Nessuno è invece disposto oggi ad appoggiare apertamente Pappalardo.      
Mentre dunque De Gaulle, partito con un pugno di seguaci, riuscì in breve tempo a trascinare dietro di sé tutta la Francia, Pappalardo deve lavorare sui tempi lunghissimi. Il che richiede la coscienza, da parte di chi lo sostiene, di avere bruciato i vascelli dietro di sé.      
Gli imprenditori che dovevano seguirlo a Milano si sono però squagliati non appena la questura, comunicando il suo diniego alla richiesta di autorizzazione per la manifestazione, li ha anche diffidati – “ad colorandum” – dal svolgerla. Tale “ultra petitum” si è esteso anche ai soggetti che avrebbero dovuto confluire dalle altre province: la diffida è stata notificata perfino a Sanremo.      
Lenin diceva che i tedeschi, quando prendono il tram per andare a fare la rivoluzione, pagano il biglietto. Il capo dei bolscevichi non chiese infatti al governo provvisorio il permesso per destituirlo. Né i suoi seguaci si sarebbero fermati essendo mancata l’autorizzazione delle autorità competenti.      
Gli imprenditori hanno comunque messo la coda tra le gambe, ed anche il generale – esperto in materia di ritirate strategiche – ha ordinato il ripiegamento dei suoi “gilet arancioni”.      
I cugini francesi, a questo punto, hanno deciso di non varcare le Alpi.      
Degli altri soggetti inseriti nell’orgia di sigle dei promotori, non si è saputo più nulla.      
Un disperato è comunque partito da Sanremo “uti singulus”, ma la questura lo ha fermato ben lungi dalla sede della Regione Lombardia, meta della manifestazione. A questo punto, l’uomo – che sarebbe stato degnamente impersonato da Alberto Sordi – ha implorato gli agenti di lasciarlo passare, elogiandoli perché facevano il loro dovere. I tutori dell’ordine hanno avuto buon gioco nel ricordargli che anche egli aveva l’analogo dovere di desistere.      
“La rivoluzione è rinviata a causa della pioggia, in attesa che maturino le condizioni storiche necessarie”. Nel frattempo, si compie una scrematura tra quanti dovevano promuoverla.      
Un’ultima annotazione riguarda il fatto che il corteo di Milano era motorizzato. Viene spontanea la derisione dei borghesi che insorgono, tenendo però l’automobile “sotto il culo”, come a dire che non rinunziano alle comodità nemmeno nelle ore fatali della storia. Il cavallo aveva tutt’altra dignità, evocando le cariche.      
Vorremmo sapere se Pappalardo apparteneva ai carabinieri a cavallo. I quali, comunque, vanno alla carica soltanto nel “carosello” di Pintrario quando nega ai musulmani europei il diritto di mantenere integri i tratti distintivi della loro cultura, vedendo in tale atteggiamento la radice dell’intolleranza e del terrorismo.      


La scelta tra il sincretismo e l’identitarismo deve essere lasciata alla coscienza di ciascuno.

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Mario Castellano  1/11/2020
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