L’Istituto Storico della Resistenza di Imperia ha pubblicato un libro che inaugura un nuovo genere letterario: la commemorazione della commemorazione.         
Si tratta infatti di una ricostruzione degli eventi connessi con la concessione della medaglia al Valor Militare alla Provincia di Imperia, che venne appuntata solennemente sul suo gonfalone dal Presidente Pertini. Di quella cerimonia, cui presenziammo in compagnia del compianto Massimo Rocchi, incaricato di rappresentare il Comune di Diano Marina, ricordiamo la constatazione del fatto che la maggior parte dei suoi colleghi amministratori di enti locali si facevano rappresentare dai vigili urbani. Ciò significava che non si trovava più un consigliere disposto ad affrontare la trasferta.         
In precedenza, avevamo presenziato ad una riunione dell’Istituto Storico, nel corso della quale si svolse uno scambio di battute tra l’avvocato Izzo di Afragola, incaricato di istruire la pratica, e l’onorevole Manfredi. Il legale partenopeo, esprimendosi nella sua lingua regionale, disse “accà nun ce stanno e’ muorte”, riferendosi alla scarsità di caduti.         
Anche il parlamentare di Pieve di Teco replicò tacitianamente: “lei pensi alla commissione, che ai morti ci pensiamo noi”. L’organico cui egli faceva riferimento, costituito presso il Ministero della Difesa e composto da ufficiali della riserva, costituisce l’equivalente laico della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi. Con la differenza che non esiste l’analogo del cosiddetto “avvocato del diavolo”, incaricato di ricercare gli eventuali peccati commessi dal candidato agli onori degli altari. Salvo d’Acquisto è stato bocciato essendo stato scoperto che avrebbe piantato la fidanzata: il che comunque non offusca le sue virtù eroiche. Cristoforo Colombo non divenne beato per via dello sterminio dei nativi, ma solo in quanto conviveva senza essersi sposato con Beatriz Enrique.         
Ora l’Istituto Storico ha deciso di celebrarsi per il suo successo più importante. In questo caso non si considera offuscata la gloria a causa della coincidenza con il “partito della selvaggina”, che nel 1980 celebrò l’apice dei suoi fasti. Poi venne, inesorabile, il declino, coincidente con il fallimento del progetto della “grande Serbia”: che trascinò nel suo tragico fallimento anche chi aveva affidato le proprie fortune commerciali e politiche ai rapporti con Belgrado.
Questa vicenda induce a riflettere su due fatti: in primo luogo, la mancanza di ogni progresso civile nella nostra vicenda cittadina. Dal 1945 ad oggi non può essere imputato ai fascisti, bensì a quanti – alimentando un “partito trasversale” – hanno soffocato la normale dialettica tra le forze politiche, soffocando ogni dibattito sui problemi reali della società; in secondo luogo, tra i soggetti confluiti nell’Istituto Storico della Resistenza non si è mai discusso dei temi di una attualità sempre più drammatica, in particolare quelli connessi con l’avvento della società multiculturale.
Il motivo è semplice. Si tratta di forze politiche unite tra di loro in base a due soli fattori: l’essersi trovate alleate nella fase storica compresa tra l’Otto Settembre ed il Venticinque Aprile, dopo di che si sono contrapposte su tutto, salvo che sugli interessi particolari di certi loro dirigenti, quelli che hanno composto il “partito trasversale”. Esse possono dunque confluire soltanto nelle rievocazioni, e nelle rievocazioni delle rievocazioni. Che dopo tanti anni dovrebbero lasciare il posto ad una valutazione critica, e non agiografica, degli eventi del passato.
Tutto deve essere oggetto di revisione: quando si è ricordato il centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale, Napolitano è stato accolto al Panteon da uno striscione che ricordava i crimini di guerra commessi ai danni delle popolazioni meridionali. La questura lo ha rimosso, ma il dibattito rimane aperto.
Questa è precisamente la funzione di chi scrive la storia.          

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Mario Castellano  15/11/2020
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