La nostra città, di sera, assomiglia sempre più a quella del 1944.
L’Amministrazione comunale ha deciso di oscurare alcune vie, non certo periferiche, ritenendo che in tal modo vengano poste al di fuori della portata dei malfattori. Il danno che ne consegue non è però per i ladri – i quali dopo il tramonto stanno ormai spadroneggiando – bensì per i residenti.
Ci stiamo addentrando nell’equivalente di una guerra, anche se – per ora – non si combatte. E proprio come in ogni guerra c’è chi tenta di proseguire nelle sue miserabili speculazioni, e chi viceversa si sforza di aiutare quanti – sempre più numerosi – si trovano nel bisogno. Se proseguiamo nel paragone con gli anni dell’ultimo conflitto, quali ce li hanno raccontati i nostri vecchi, vediamo che oggi le solidarietà collettive non hanno più come punto di riferimento gli orientamenti ideologici di allora.
Ciò non avviene né per quanto riguarda la resilienza – cioè il tentativo di continuare per quanto possibile una vita collettiva in qualche modo organizzata e ordinata – né per quanto riguarda viceversa la resistenza.
Nessuno auspica naturalmente una insurrezione violenta, ma è necessario elaborare nuove forme alternative di espressione politica. Quelle in cui siamo cresciuti non funzionano più, in quanto l’unico rapporto residuo tra i governanti ed i governati consiste nell’imposizione di una disciplina sempre più stringente, e nella repressione di chi trasgredisce. Questo è certamente necessario, ma non sufficiente.
Tutti i difetti del nostro ordinamento costituzionale, dopo tanti inutili tentativi di riformarlo, si sono rivelati drammaticamente. Il Parlamento, massima istanza della democrazia rappresentativa, ha abdicato alle sue funzioni, assunte da un organo monocratico quale è il Presidente del Consiglio. A prescindere dalla valutazione nel merito di quanto deciso da Conte, non spetta certamente al Governo il compito di legiferare, neanche in situazioni di emergenza. Tanto più in quanto i decreti del Presidente del Consiglio, anche quando dispongono nella materia dei diritti personali dei cittadini, sono ormai equiparati agli atti legislativi previsti dalla Costituzione materiale e dalla Costituzione formale.
Quanto veniva inizialmente presentato come provvisorio è ormai divenuto una prassi consolidata, di cui nessuno mette in discussione la legittimità. La democrazia rappresentativa è dunque ormai ridotta ad una finzione. Occorre dunque elaborare un sistema giuridico nuovo e diverso per il futuro, se non vogliamo rimanere assoggettati per sempre ad un regime dittatoriale.
Sarebbe necessario che su questo si esprimessero le diverse culture politiche. Le quali, però, hanno cessato di esistere da molto tempo. Lo dimostra il fatto che non sono presenti nella organizzazione dell’aiuto umanitario, espresso soltanto da soggetti di ispirazione religiosa. Tanto meno esse dimostrano di resistere allo stravolgimento della Costituzione. Questo significa, beninteso, alimentare i tumulti, che pure si stanno moltiplicando, nel silenzio censorio dei mezzi di comunicazione.
La resistenza dovrebbe semmai consistere nel trasformare le forme di solidarietà spontanea in nuovi soggetti politici, sia pure embrionali. Questi soggetti devono però esprimere delle idee, un pensiero politico nuovo, visto che quello tradizionale è ormai esaurito. Qui si vede la differenza con la fase finale dell’ultima guerra: in quel tempo risorsero in nuove forme i soggetti politici del periodo anteriore al fascismo, che erano state represse ed emarginate. Oggi quelle stesse istanze non hanno più il prestigio che deriva dall’avere subito una persecuzione, ma sono anzi squalificate dalla loro stessa corruzione e degenerazione, rivelate dal fallimento del sistema che esse stesse avevano costruito. Essendo l’edificio distrutto, non lo si può restaurare, ma soltanto riedificare dalle fondamenta. I presupposti ritenuti indiscutibili non valgono più.
Non ci si deve dunque scandalizzare se c’è chi mette in discussione la laicità dello Stato o l’unità nazionale, o rivaluta il fascismo. L’unico principio che vale ancora e sempre è quello della autodeterminazione, cioè il rispetto della volontà del popolo. Il quale troverà il modo di uscire dalla condizione attuale, in cui gli si nega di esprimersi, e deciderà di quali nuove istituzioni dotarsi. Per questo è necessario ascoltare tutte le voci che si esprimono.
“La Repubblica” irride quelle che sembrano eterodosse rispetto ai canoni consolidati, ritenuti indiscutibili. In qualche caso, si manifestano certamente dei ciarlatani o dei pazzi. Sarà però la realtà a decidere chi sia tale.
Per ora, possiamo constatare che tre quarti di secolo di esaltazione della democrazia liberale hanno portato non soltanto alla sua sospensione, ma alla sua soppressione. Questo potrebbe anche significare che tale sistema di governo risulti ormai obsoleto.
Forse però gli epigoni del pensiero politico tradizionale si sono dimostrati inetti ed incoerenti.
Occorre comunque sostituirli con una nuova classe dirigente: quella che sarà espressa dalle lotte del futuro. Attendiamo alla prova un’altra generazione.
La nostra ha commesso l’errore di credere a quella precedente.