Sull’ultimo numero de “L’Espresso”, Renzo Guolo critica la nuova legge, che la Francia sta per emanare, con cui si conferisce al locale “Consiglio del Culto Islamico” il potere di designare i suoi ministri del culto.
Poiché però non esiste Oltralpe una facoltà teologica, presso la quale gli “imam” si possano laureare, il Consiglio dovrà inviare i candidati in altri Paesi, dove esistono queste istituzioni accademiche.         
Guolo critica questa soluzione, in quanto – a suo dire – “consegna la rappresentanza religiosa di cittadini e residenti a Stati che, come insegna il caso turco, possono usarla per le proprie strategie di controllo, ma anche l’opzione non impedisce che si sviluppi un islam, come quello transnazionale salafita, in versione neotradizionalista o radicale”. Questo problema si può tuttavia risolvere richiedendo al “Consiglio del Culto Islamico” di istituire una propria facoltà teologica in Francia. Tale istituzione godrebbe però di tutte le prerogative di indipendenza che valgono per ogni università, e dunque si riproporrebbe inevitabilmente il problema posto da Guolo.         
Non necessariamente, infatti, i musulmani francesi sono più “moderati” dei loro correligionari dei Paesi di origine. Per giunta, non si potrebbe impedire alle autorità accademiche di nominare dei professori stranieri.         
Da questo punto di vista, i musulmani italiani sono più avanzati rispetto a quelli d’Oltralpe. Pare infatti che sia in fase avanzata il progetto di costituire una facoltà teologica, che avrebbe sede non già a Roma, bensì ad Enna, nel cuore della Sicilia, cioè nell’unica nostra regione che fece parte per due secoli del “dar al Islam”. Il che suscita inevitabilmente il sospetto di un piano di riconquista.         
Ogni confessione religiosa può comunque situare dove vuole le proprie istituzioni.         
In Italia, la constatata impossibilità di stipulare una intesa tra lo Stato ed i musulmani lascia aperto – tra gli altri – il problema costituito dalla mancanza di effetti civili dei matrimoni celebrati secondo il rito islamico. Questo problema non si pone in Francia, dove soltanto il matrimonio contratto davanti ad un rappresentante dello Stato viene da esso riconosciuto: così che i credenti celebrano due distinte funzioni, come avveniva in Italia prima del 1929. Da allora, nel nostro Paese, i ministri del culto sono considerati funzionari di fatto della amministrazione pubblica, in quanto ufficiali di stato civile. Ciò fornisce allo Stato un motivo in più per richiedere alle distinte confessioni religiose la garanzia della loro adeguata preparazione e della loro lealtà nei riguardi dell’autorità civile. In Francia non si pone questo problema, ma lo Stato esige ugualmente che i ministri del culto vengano nominati in base a dei requisiti certi, essendone stata constatata l’attitudine a svolgere le loro funzioni.         
Quanto non condividiamo, nello scritto di Guolo, è la conclusione secondo cui “quello cui stiamo assistendo nel vecchio continente è il parto di uno strano ircocervo: l’Islam di Stato in versione europea. Un paradosso per una cultura secolarizzata che chiede ai musulmani di distinguere sfera pubblica e privata, Stato e religione”.         
Noi riteniamo invece che stabilendo il procedimento in base al quale si nominano i ministri del culto – naturalmente sulla base di un accordo tra lo Stato e le diverse confessioni – si possa ottenere la garanzia dell’astensione dall’ingerenza nelle questioni temporali. Questa garanzia non risulterà in nessun caso assoluta. Tanto più da parte di una religione – come quella islamica – che non conosce la distinzione cui fa riferimento Guolo.         
Ci domandiamo però se questa distinzione risulti chiara per tutti i cattolici. Sappiamo – per dolorosa esperienza personale – come quanti tra noi riconoscono le prerogative dello Stato – cioè i cattolici liberali – siano stati a lungo emarginati dalla comunità dei credenti. Sappiamo anche che esistono dei soggetti – nell’ambito della Chiesa – che propugnano apertamente l’avvento di uno Stato confessionale, in cui la norma civile rifletta necessariamente il precetto religioso.         
Da questo punto di vista, non scorgiamo nessuna differenza tra i salafiti ed i seguaci di “Comunione e Liberazione” o i cosiddetti “medjugoriani” seguaci di padra Fanzaga.         
Il pericolo di cadere nel confessionalismo non si può dunque attribuire soltanto ai musulmani: anche se risulta innegabile che alcuni di loro ricorrano al terrorismo. Inoltre, non esiste – in ambito cristiano – nessuno Stato confessionale, mentre nel mondo islamico ci si muove verso la restaurazione della teocrazia, come dimostra quanto sta avvenendo in Turchia. Non mancano, tuttavia, in Occidente, le violazioni del principio della laicità dello Stato.         
Nella liberale e protestante Inghilterra, si sono espressamente autorizzati gli organi incaricati degli arbitrati ad applicare nelle loro decisioni la legge islamica. E’ così avvenuto che una eredità venisse divisa in parti diseguali tra i figli maschi e le femmine. Con tanti saluti al principio di eguaglianza. Che ormai viene riferito alle comunità, anziché alle persone.         
Le diverse confessioni religiose tendono così a trasformarsi in altrettanti Stati nello Stato.         
Questo è il vero pericolo incombente sul principio di laicità, e non già il fatto che gli “imam” siano laureati nelle facoltà teologiche dell’Arabia Saudita.


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Mario Castellano  21/12/2020
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