Durante la guerra, l'una o l'altra famiglia venivano avvertite della morte di un loro congiunto.
Ora sembra di essere ritornati a quei tempi: non passa giorno senza che si sappia di qualche suicidio, causato dalla disperazione dovuta alla situazione sociale. La differenza con il passato consiste nel fatto che allora i caduti venivano onorati, divenendo - a prescindere dall'esito del conflitto - dei vincitori, accolti nel panteon delle glorie nazionali e locali. Sui monumenti, eretti dovunque in Europa, si possono ancora leggere - ad imperitura memoria - i loro nomi. Di quanti oggi si uccidono, viene occultato il gesto, e perfino il ricordo, trattandosi comunque di persone considerate emarginate e perdenti. Se nei loro confronti è doverosa l'umana pietà e comprensione, non possono comunque essere considerate un esempio da imitare. Tutti, infatti, abbiamo il dovere di vivere.
A questo punto, però, sorge spontanea la domanda: vivere per che cosa? Nel 1915-1918, la gente voleva vincere la guerra, perchè si identificava nella causa in cui l'Italia era impegnata. Non fu così quando ai nostri connazionali venne imposta una scelta del tutto contraria agli interessi della nazione, e soprattutto estranea alla sua identità collettiva. Non basta, per mobilitare la gente, fare appello al senso del dovere. Occorre riferirlo a qualcosa in cui si crede. Ci sarà sempre chi non vi si riconosce, ma è necessario quanto meno sollevare una bandiera, indicare una meta, evocare un ideale.
Draghi lo ha fatto, ed è singolare che a questo compito - più adatto per un poeta che per un banchiere, per un filosofo che per un ragioniere - sia stato chiamato proprio lui. Nessun dirigente di partito ne sarebbe stato all'altezza. Certamente perchè questi personaggi hanno smarrito ogni ideale e ogni cultura, non hanno nè il cuore, nè la testa, ma soprattutto in quanto si tratta di perdenti. La loro sconfitta si è consumata fin da quando la repubblica ha fatto naufragio nella corruzione. Draghi ha invece vinto una battaglia, quella intrapresa per salvare i nostri conti pubblici, da cui dipende la sopravvivenza stessa dello Stato nazionale.
Si è detto che il professore ci ha dato prima i soldi da spendere, ed ora è incaricato di spenderli per garantire un minimo di spesa sociale. Purtroppo, però, dovrà soprattutto tagliare. Un "leader" può chiedere ai suoi seguaci anche i più grandi sacrifici, ma ad una condizione: che ne sappia spiegare il motivo. Qui arriviamo al dunque. Quando Draghi dice che l'Italia deve essere europea ed occidentale, è indubbiamente nel giusto. La dimostrazione "a contrario" di quanto risulti giusta questa scelta è data dal disastro causato dal suo predecessore, ispirato a modelli politici estranei alla nostra cultura, e collaborazionista - non soltanto nel senso oggettivo - dell'ennesimo predominio straniero sull'Italia. Dopo quello francese, spagnolo, austriaco, inglese, americano, abbiamo subito l'umiliazione di quello cinese. La necessità di uscire da questa sudditanza motiva la parte "destruens" dell'opera di Draghi, cioè la diminuzione della spesa: che porta alla disperazione tanto chi non ha più da mangiare quanto chi vede finire il proprio "status" sociale un tempo privilegiato, il proprio decoro borghese. Occorre però intraprendere e spiegare anche la parte "construens"; il che risulta tanto più difficile in quanto il professore non ha un partito, un seguito organizzato. Tuttavia, Draghi deve riuscirci lo stesso: altrimenti andiamo verso una guerra ed una inevitabile disfatta dell'Italia.
Che cosa può e deve dunque proporre il Presidente del Consiglio? Che il nostro Paese operi, nella fedeltà alle sue alleanze, in rappresentanza della parte mediterranea dell'Europa. Si tratta di continuare da Roma quanto già fatto a Francoforte: con la differenza, però, che questa volta risulta decisivo il coinvolgimento attivo della gente, della base popolare.
Nei giorni scorsi, ci siamo di nuovo recati oltre confine. Gli amici francesi, che non avevano potuto aiutarci quando l'Italia era in balia del populismo, sono contenti perchè ce ne siamo liberati con le nostre forze. Essi non avevano naturalmente piacere di vedere i cinesi a Ponte San Luigi. Il settore, per fortuna nettamente minoritario, della nostra emigrazione intento a sabotare lo sforzo del Governo di Roma ricerca affannosamente una sponda in Vaticano, cui può soltanto offrire un panettone. Da una parte e dall'altra del confine c'è - nelle persone responsabili e coscienti - la consapevolezza del fatto che l'Italia saprà svolgere un duplice ruolo: essere parte integrante dell'Europa occidentale, ma nel contempo rappresentare, in questo ambito, le aspirazioni dei popoli del meridione del mondo.
Draghi riunisce nella sua persona entrambe le istanze, difficili da conciliare e da sintetizzare. Il Presidente del Consiglio deve però proclamare ad alta voce che questa è la sua missione. Se lo farà, potrà sempre contare su noi.