Mario Draghi conosce molto bene la cultura anglosassone, e dunque è ben conscio dell'importanza e del significato del discorso in cui Winston Churchill, all'inizio della guerra, promise ai suoi connazionali "lacrime, sangue e sudore".
Il Presidente del Consiglio si è dunque certamente domandato per quale ragione gli inglesi seguirono disciplinatamente il loro primo ministro. La risposta a questa domanda è ovvia: tutti avevano coscienza della missione affidata in quel momento al loro Paese, che consisteva nel farsi carico della causa della democrazia e della libertà dei popoli. Churchill non ebbe dunque bisogno di fare riferimento a quale sarebbe stata la Gran Bretagna, ed a quale sarebbe stata l'Europa dopo la guerra. I popoli guardavano infatti all'Inghilterra sperando nella liberazione.
Si è encomiasticamente detto che Draghi, nel suo appello agli italiani, ha parlato per la prima volta da politico, smettendo i panni dell'economista. Indubbiamente, il Presidente del Consiglio è stato eloquente ed energico nella giusta misura quando ha affermato che la prova in cui ci siamo impegnati risulta decisiva per la stessa sopravvivenza della comunità nazionale. E' però mancata nel suo discorso - lo diciamo in quanto seguaci dichiarati di Draghi - una idea dell'Italia quale uscirà dall'epidemia: il Presidente del Consiglio ha detto che sarà cambiata, ma non ha detto come, malgrado questo esito dipenda soprattutto da lui. Se non si indica un obiettivo comune, un ideale - non temiamo di usare questa parola, depurandola di ogni retorica, l'appello a serrare le fila, ad essere disciplinati e coscienti - non può bastare.
Eppure Draghi, proprio in quanto economista, sa meglio di chiunque altro che il Governo dovrà necessariamente imporre una drastica redistribuzione della ricchezza: non perchè sia intenzionato a realizzare un progetto egualitario, ma in quanto solamente con il sacrificio dei patrimoni individuali si potranno trovare le risorse necessarie per preservare lo Stato.
Ci domandiamo dunque perchè non dirlo, perchè tacere che da un male può derivare un bene: se, naturalmente, si ritiene che sia tale l'eguaglianza imposta nel nome della solidarietà. Draghi poteva, proprio essendo l'uomo scelto per impersonare il ruolo di responsabile della nazione, munito di poteri di fatto mai conferiti ad alcuno dei suoi predecessori dal 1945, dichiarare che l'attuale contingenza lo mette in grado di realizzare gli ideali propri della parte politica cui egli ha rivendicato con orgoglio di appartenere, e cioè la sinistra.
Mentre il partito ex comunista si rivela goffamente incapace di esercitare l'egemonia, di assumere cioè il ruolo indicato dal suo fondatore, Antonio Gramsci, consistente nel rappresentare l'interesse generale, Draghi poteva rivendicare questo ruolo per sè e per il proprio Governo. Le misure da adottare sono comunque determinate dalle necessità del momento.
Altra cosa, tuttavia, è presentarsi come chi agisce spinto da uno stato di necessità, altra cosa è qualificarsi come chi coglie l'occasione offerta dalla storia per compiere una missione. Tutto questo lo si potrà dire agli italiani anche in seguito, ma sarebbe stato meglio indicare la rotta nel momento in cui la nave sta per salpare.
Ieri, abbiamo proposto ad alcuni amici una specie di gioco di società, consistente nel redigere l'elenco dei soggetti che si collocano all'opposizione, non però rispetto al Governo, bensì rispetto allo Stato. Mentre l'una di queste scelte è fisiologica in ogni democrazia, l'altra risulta invece foriera di disordine, di rottura del patto collettivo che unisce i cittadini, se non addirittura di conflitti civili. L'elenco che abbiamo redatto risulta probabilmente incompleto, ma lo proponiamo ugualmente ai nostri lettori. Ci sono, in primo luogo, i componenti delle varie mafie. Poi esistono, in quasi tutte le regioni d'Italia, dei movimenti separatisti. Si schiera inoltre da un lato l'estrema sinistra eversiva dei "centri sociali", cui fa da "pendant" l'estrema destra dei movimenti come "Casa Pound" e "Forza Nuova". Poi ci sono i monarchici, che non accettano la repubblica, e gli ordini cavallereschi, che vogliono restaurare il Sacro Romano Impero. Le diverse sette rifiutano anch'esse l'autorità dello Stato, così come i cattolici tradizionalisti, fautori di un regime confessionale, nonchè i musulmani, che aspirano a ricostituire il califfato. Operano anche le "quinte colonne" di potenze straniere, in particolare la Cina: chi c'è dietro i vari Conte e Benotti? "Last but not least", il Vaticano, dove non manca chi ancora vuole rovesciare l'esito storico del venti settembre.
Una parte di questi soggetti risulta irriducibile ad una azione comune, mentre altri possono essere contrastati - a seconda dei casi - con mezzi giudiziari, ovvero con mezzi politici. La loro stessa esistenza rivela quanto è grave e complesso il problema della ricerca di una egemonia. Se non si riesce ad elaborare e a proporre un progetto comune, in cui possa riconoscersi la maggioranza degli italiani, anche la semplice somma aritmetica di tanti rifiuti di principio e di tante "contestazioni globali" - come si diceva tanti anni fa - può portare il Paese alla segregazione.
Draghi ha indubbiamente il vantaggio - proprio di tutti i rivoluzionari nei momenti decisivi - che consiste nel sapere che cosa si vuole, mentre i suoi oppositori sanno soltanto che cosa non vogliono. Costoro possono però tutti insieme determinare il fallimento di questo Governo. Non ci consola sapere che il risultato sarebbe, anzichè la dittatura, il caos, la disgregazione politica e sociale del Paese, il suo smembramento ad opera di soggetti stranieri.
L'unità dell'Italia richiede l'elaborazione di un progetto politico. Draghi non deve avere paura di formularlo e di proporlo. I nemici ci saranno comunque, ma occorre motivare gli amici che lo seguono ed hanno fiducia in lui.