Il Papa ha dedicato una sua "Lettera Apostolica", intitolata "Candor Lucis Aeternae", alla figura di Dante Alighieri, ricorrendo il settimo centenario della sua morte.
Le celebrazioni indette dallo Stato risultano decisamente sottotono, non soltanto a causa dell'epidemia. Ancora una volta, la Chiesa - universale, e non soltanto italiana - dimostra la sua netta superiorità, non soltanto sul piano culturale, ma anche su quello della preservazione dei valori civili che sono alla base della nostra convivenza.
Al tempo degli studi liceali, ci venne chiarito in che senso Dante si dovesse considerare poeta nazionale. L'autore della "Divina Commedia" non fu assolutamente un fautore nè dell'unità, nè della indipendenza italiana: entrambi concetti che gli erano completamente estranei. Il suo ideale civile era costituito dall'impero universale, del quale l'Italia avrebbe costituito il "giardino", cioè il luogo prediletto. Ancora oggi, visto che l'unità nazionale dimostra, dinanzi ad una nuova prova, di non funzionare, molti auspicano per il nostro Paese un ancoraggio, un riferimento più ampio: non solo e non tanto in termini territoriali, ma soprattutto in termini politici. Dove questa parola viene usata nel suo significato più alto.
Se dunque i confini dell'Italia erano considerati dal poeta troppo angusti per dispiegare pienamente i suoi valori spirituali ed umani, si spiega facilmente per quale motivo la Chiesa - di cui Dante fu membro eminente e fedele - sappia oggi commemorarlo meglio della nazione, per non parlare dello Stato: le cui autorità sono "in tutt'altre faccende affacendate". Anche in una vicenda di carattere essenzialmente culturale, si ripete quella funzione di supplenza rispetto alla compagine unitaria sorta nell'Ottocento che si è manifestata. In forme ben più rilevanti e drammatiche - dopo i disastri di Caporetto e dell'otto settembre.
Molte volte abbiamo ricordato come in occasione di questi eventi fossero Papi due italiani, cioè Della Chiesa e Pacelli. Ora che il vescovo di Roma è un nostro compatriota diasporico, buon conoscitore dell'identità nazionale ma appartenente a tutt'altra area culturale, possiamo soltanto confidare sulla importanza del nostro legato di civiltà. Manca, infatti, il senso di una appartenenza diretta, come fu al tempo di Benedetto XV e di Pio XII.
Leggendo il documento dedicato a Dante da Bergoglio, colpisce dunque non tanto l'illustrazione degli argomenti relativi alla appartenenza religiosa del poeta, quanto piuttosto l'uso di quelli condivisi con la cultura laica. Proprio qui si dimostra l'egemonia acquisita dalla Chiesa, che dimostra di saper esprimere dei valori - potremmo anche dire degli interessi - propri di soggetti diversi. Ne citiamo tre. In primo luogo, Dante viene descritto come un rivoluzionario. Non già perchè si proponesse di cambiare l'ordine politico e sociale vigente, anche se certamente questo avrebbe significato l'avvento dell'impero universale, ma in quanto l'Alighieri si proponeva di cambiare l'uomo nella sua dimensione interna: "il fine della Divina Commedia è primariamente pratico e trasformante. Non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma in grado di cambiare radicalmente l'uomo e portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità". Le religioni sono succedute ai movimenti politici nella funzione di soggetti rivoluzionari, e riusciranno dove essi hanno fallito, in quanto il cambiamento in atto nel mondo non parte dall'esterno, bensì dall'interno dell'uomo. L'ideale che viene perseguito, oggi come al tempo di Dante, è la pace - fondata sulla giustizia - per l'umanità intera: "questa pace dei singoli, delle famiglie, delle nazioni, del consorzio umano, pace interna ed esterna, pace individuale e pubblica, tranquillità dell'ordine, è turbata e scossa, perchè sono conculcate la pietà e la giustizia. E a restaurare l'ordine e la salvezza sono chiamate a operare in armonia la fede e la ragione, Beatrice e Virgilio, la Croce e l'aquila, la Chiesa e l'impero", la sfera spirituale e quella temporale.
Non manca, nella "lettera apostolica", un riferimento esplicito a Dante come iniziato ed esoterista, sempre esaltato come tale dalla cultura laica, in cerca di argomenti che potessero sottrarlo ad una appropriazione esclusiva da parte dei cattolici. La "Commedia" - scritta da un affiliato alla società esoterica tradizionale dei "fedeli d'amore" - può essere reinterpretata per l'appunto come la descrizione di un cammino iniziatico, come "un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale e storico; infatti, essa rappresenta il paradigma di ogni autentico viaggio in cui l'umanità è chiamata a lasciare quella che Dante definisce "l'aiuola che ci fa tanto feroci" per giungere ad una nuova condizione, segnata dall'armonia, dalla pace, dalla felicità".  
Bergoglio è notoriamente vicino agli ambienti esoterici, che ha frequentato al più alto livello nel suo Paese di origine. Con questo riferimento alla appartenenza ad essi di Dante, il Papa supplisce anche al loro silenzio nell'anniversario del grande poeta.
La massoneria italiana, perduta irreversibilmente l'egemonia sulla società nazionale esercitata dal Risorgimento fino all'avvento del fascismo, è troppo impegnata ad assecondare i disegni politici di Salvini (e di Sonia Viale) per occuparsi dell'autore della "Divina Commedia". Che comunque certi "venerabili maestri", bagnini nella vita profana, non hanno mai letto.


Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano  09/04/2021
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved