L'articolo con cui Ezio Mauro, su "La Repubblica" del sei aprile, analizza la politica estera della Russia, contiene due affermazioni che ci permettiamo di non condividere.
Una studiosa americana ha messo in dubbio che Marco Polo sia stato davvero nel lontano Catai: oltre al risaputo indizio consistente nel fatto che “Il Milione” non parla assolutamente della Grande Muraglia, costei cita a supporto della tesi negazionista la confusione delle memorie del grande Veneziano, segno – a suo dire – del fatto che costui si sarebbe in realtà fermato in India, ove avrebbe raccolto testimonianze di chi in Cina c'era stato per davvero.In primo luogo, l'autore afferma che gli occidentali sbagliano ritenendo la Russia declassata irrimediabilmente al rango di una potenza regionale in quanto essi non tengono conto di come la sua dimensione imperiale non sia "una sovrastruttura dello stalinismo, ma un elemento della natura russa, qualcosa di insopprimibile in quanto eterno". Mauro identifica inoltre l'ispirazione dell'attuale politica estera russa "con la teorizzazione putiniana dell'autoritarismo come cultura politica e istituzionale figlia perfetta dei tempi, dopo la stagione esausta della democrazia".
Per tentare di smentire queste asserzioni, ci rifacciamo ad un momento storico preciso, quando i dirigenti bolscevichi, subito dopo la fine della prima guerra mondiale, si resero conto che il tentativo di esportare la rivoluzione in Occidente, perseguito attraverso la rivolta degli "spartachisti" in Germania, era fallito. Poco dopo, il congresso dei popoli asiatici, organizzato a Baku, avrebbe fatto intravedere come fosse ben più promettente l'alleanza con i movimenti di liberazione dal colonialismo, ma questa strada poteva essere percorsa soltanto in una prospettiva storica ben più lunga. La lettura dell'Ottobre russo come inizio della rivoluzione proletaria mondiale si rivela dunque completamente sbagliata. Da quel momento erano poste oggettivamente le basi del progetto in base al quale Stalin (non a caso l'unico asiatico inserito nel gruppo dirigente bolscevico) avrebbe intrapreso la sua scalata verso il potere assoluto: quello cosiddetto del "socialismo in un solo Paese".
Lo sviluppo della Russia non sarebbe stato più elaborato in funzione dell'obiettivo di rendere attrattivo il modello socialista dal punto di vista dei rivoluzionari stranieri. Lo sviluppo economico venne programmato per affrontare una guerra difensiva. L'industrializzazione pesante forzata, che avrebbe sconvolto il tesuto sociale del Paese, venne promossa a scapito di quella dell'agricoltura: che non lo ispirava soltanto il programma dei menscevichi, ma anche quello proposto da Bucharin, il quale, non a caso, venne eliminato da Stalin. Il quale si dimostrò tuttavia lungimirante nel prevedere che la Russia sovietica avrebbe dovuto affrontare un attacco armato da parte della reazione occidentale.
L'idea imperiale è per sua natura espansiva, o quanto meno tende alla inclusione delle realtà diverse per cultura e per tradizione, cioè per identità. Stalin privilegiò invece l'ideale del nazionalismo russo a scapito di quello imperiale, riferito alla missione propria della "Terza Roma". Anche dopo la seconda guerra mondiale, non a caso definita dai russi come la "Grande guerra patriottica", Stalin costituì il cosiddetto "impero esterno", esteso sull'Europa centro-orientale, come un antemurale difensivo della Russia, portando fino all'Elba il suo confine militare occidentale.
Quale era invece il disegno originale di politica estera dei bolscevichi? Neanche essi perseguivano lo scopo di creare un impero russo dominatore dell'Occidente. La loro idea era piuttosto quella della Russia come depositaria di una missione redentrice dell'Occidente, riferita - paradossalmente per dei soggetti di formazione rigidamente materialista - alla sua tradizionale spiritualità, e dunque alla superiorità morale del suo popolo. Il Cristo Redentore delle nazioni, idealizzato dal pensiero ortodosso dell'Ottocento, avrebbe compiuto la sua missione promuovendo la rivoluzione socialista mondiale.
Con questo, arriviamo a considerare la seconda affermazione di Ezio Mauro. Se una ideologia ispira la politica di Putin, non è quella dell'autoritarismo, contrapposto al liberalismo, per quanto la crisi di quest'ultimo risulti evidente, non soltanto per l'uomo del Cremlino. La Russia di Putin ritorna piuttosto al suo originario ideale cristiano. Come può però sperare di renderlo egemone sull'Occidente?
Nè i bolscevichi, nè Stalin, poterono concepire un disegno di conquista militare, essendo gli uni e l'altro accomunati dal realismo proprio di chi - fondandosi sul pensiero di Marx - calcola sempre i rapporti di forze. Oggi, per giunta, la speranza di un ritorno dell'Occidente alle sue radici cristiane si affida alla tendenza, alla affermazione della identità propria di ciascuno. Della quale la religione è il principale elemento costitutivo. Questo comporta però che la fede venga considerata come elemento unificatore di ciascuna nazione, essendo declinata secondo la sua specifica tradizione.
La Russia può intraprendere delle iniziative volte a ricercare ed a valorizzare le radici che accomunano il cristianesimo occidentale e quello orientale, proponendosi come esempio di una nazione ricostituita essenzialmente sulle proprie fondamenta religiose. L'identitarismo risulta dunque antitetico rispetto ad ogni disegno tendente a cancellare le differenze tra i popoli. Questa è d'altronde la grande novità intervenuta nel mondo finite le ideologie che tendevano alla sua "reductio ad unum".
Noi siamo stati testimoni di come un emissario del Governo russo abbia proposto alla Santa Sede una iniziativa volta a ricercare ed a valorizzare insieme - tra cattolici ed ortodossi - gli elementi propri della comune identità cristiana. Questa offerta verrà certamente reiterata, e speriamo venga tenuta nel conto dovuto dalle autorità del Vaticano. Se un primato potrà essere attribuito alla Russia nella fase storica che attraversiamo, sarà soprattutto di ordine spirituale.
Le polemiche sui tentativi di spionaggio non devono distoglierci da questo dato di fatto: la "Terza Roma" potrà affermare la propria supremazia - a differenza della prima e della seconda - non come centro di un dominio politico, ma in quanto luogo da cui si irradia l'ispirazione di una fede.