"L'Espresso" nacque negli Anni Cinquanta per iniziativa di un gruppo di intellettuali ...
"L'Espresso" nacque negli Anni Cinquanta per iniziativa di un gruppo di intellettuali appartenenti alla sinistra non comunista, i quali si proponevano di contrastare la degenerazione clericale del governo democristiano, e nel contempo di stimolare una revisione ideologica nel partito comunista, tale da rendere in prospettiva possibile in Italia l'avvento della democrazia della alternanza. Di questa consorteria non faceva parte, pur essendo ad essa affine, il professor Federico Caffè, appartenente ad un altro cenacolo di ex appartenenti al Partito d'Azione, quello raccolto intorno a Ferruccio Parri.
Non è questa la sede per ricostruire le vicende dell'uno e dell'altro raggruppamento, ma conta il fatto che l'attuale Presidente del Consiglio, in quanto allievo di Federico Caffè, appartiene a pieno titolo alla tradizione liberaldemocratica, e che come tale ha assunto la guida dell'Italia.
Il compito di un giornale di opinione non consiste nel fare propaganda per una parte politica, nè per chi è posto a capo del potere esecutivo, ma risulta curioso constatare come l'ultimo numero de "L'Espresso" dedicando due lunghi articoli all'attuale Governo, taccia completamente sulle radici della cultura politica cui appartiene Mario Draghi, malgrado in essa anche i redattori del settimanale dovrebbero riconoscersi. Questi illustri colleghi omettono anche di ricordare che Draghi, in quanto cattolico praticante, concilia nella sua persona l'identità liberaldemocratica con quella - per l'appunto - cattolica liberale. I redattori dell'autorevole settimanale si dimostrano delusi per due circostanze, che essi - a nostro avviso in modo ingiusto e arbitrario - addebitano al Presidente del Consiglio.
La prima consiste nell'essere l'equivalente, per le istituzioni dello Stato, di quanto è per un Comune il Commissario Prefettizio. "Comparatio claudicat", poichè quando in un municipio si insedia il Commissario, tutti gli organi elettivi cessano di esercitare le rispettive funzioni, e le loro competenze vengono assunte da questo funzionario dello Stato. Nel caso di Draghi, tanto le Camere quanto il Consiglio dei Ministri, quale organo collegiale, rimangono attivi, ma subordinati alle decisioni del Capo del Governo. Se comunque Draghi è sostanzialmente un Commissario, la colpa di questo esito non è certamente sua.
Il secondo rilievo che gli viene mosso da "L'Espresso" consiste nel fatto che egli non ha instaurato con i partiti un rapporto dialettico, condannandoli per ciò stesso ad una sostanziale irrilevanza.
A ben vedere, ambedue queste critiche si riconducono al fatto che la democrazia è sospesa, essendo coartata l'espressione - e dunque la stessa rappresentanza esercitata dagli organi elettivi. Di qui deriva l'inefficacia della norma costituzionale in base alla quale i cittadini possono associarsi liberamente nei partiti politici "per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Sulla quale, in effetti, oggi le forze politiche non esercitano nessuna influenza.
La parabola storica della Repubblica risulta dunque conclusa, tanto per effetto della rinunzia degli organi dello Stato a svolgere la loro funzione quanto per l'abdicazione delle forze politiche. Il fatto che a svolgere il ruolo di Commissario sia stato chiamato un liberaldemocratico, lascia tuttavia indifferenti i redattori de "L'Espresso". Non si tratta, in realtà, di un semplice motivo di consolazione, in primo luogo perchè si conferma la piena validità dell'una e dell'altra ispirazione, in secondo luogo, soprattutto, in quanto si evita che la crisi istituzionale sfoci in un esito autoritario. Dovremmo dunque essere grati a Draghi per averci fatto scampare questo pericolo.
Non costituisce certamente una colpa il fatto di avere interpretato gli ideali su cui era stato fondato "L'Espresso" con più prestigio e con più efficacia di quanto abbiano fatto i partiti che affermano di condividerli. Rimane il fatto che una democrazia commissariata costituisce una contraddizione in termini. Di questo esito, però, non è responsabile Draghi: sono responsabili le forze politiche. Come potrebbe, d'altronde, il Presidente del Consiglio stabilire con esse un rapporto dialettico se si dimostrano incapaci perfino di elaborare un programma di governo, per non parlare di una idea dell'Italia e del suo futuro? Draghi non può tuttavia supplire ai partiti nella funzione che ad essi attribuisce la Costituzione. Di questa loro incapacità pagheremo le conseguenze se e quando sarà superata l'emergenza.
Nell'antica Roma, in tempi di guerra, si nominava per sei mesi un dittatore, ma poi gli organi della repubblica riprendevano ad esercitare le loro funzioni. Oggi, in Italia, manca precisamente questa prospettiva, che dipende non tanto da una ripresa della normale attività delle Camere e dello stesso Governo, inteso quale organo collegiale, bensì dalla rinascita di una cultura politica. Le idee politiche, in democrazia, non devono ispirare soltanto i singoli uomini, bensì orientare la vita dell'intera collettività nazionale. Per questo esistono i partiti.
Ci domandiamo se hanno smesso di esprimere delle idee perchè si sono corrotti, oppure si sono corrotti perchè hanno smesso di esprimere delle idee. E' come domandarsi se viene prima l'uovo o la gallina. Conta solo il fatto che la Repubblica non ha più nessuna ispirazione, e dunque il suo commissariamento da parte di Draghi e come l'ossigeno dato ai malati terminali: prolunga la vita, ma non li guarisce.
Nenni disse nel 1946: "o la Repubblica, o il caos". Oggi diciamo: "dopo la Repubblica, il caos". E' dunque tempo di progettare, per il futuro, delle nuove e diverse aggregazioni. 

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Mario Castellano  13/05/2021
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