La propaganda fascista, come quella di tutte le dittature, si esibiva continuamente nell'insulto e nella diffamazione per gli oppositori.
Quando si trattava di persone prestigiose, in considerazione dei loro meriti culturali o patriottici, le offese erano ancora più gravi, cadendo sovente nella volgarità: l'obiettivo consisteva infatti nel distruggere il loro prestigio. Ciò permetteva a tanti mediocri, assunti o quanto meno foraggiati dal "Min.Cul.Pop" (Ministero della Cultura Popolare) di compensare la propria inferiorità intellettuale. A volte costoro, risultando incapaci anche di esprimersi, trascrivevano semplicemente le cosiddette "veline" redatte dai funzionari addetti alla propaganda. Questa genia di pennivendoli affonda le sue radici nella storia d'Italia.
Il nostro popolo è noto nel mondo per gli arlecchini servi di due padroni e per i "voltagabbana", così denominati ispirandosi a quel personaggio del Ruzzante che cambiava l'abito a seconda di chi serviva. Anche il termine giuridico "diffamazione" deriva dal "libello famoso", impiegato nelle corti del Rinascimento. A Venezia si può ancora ammirare la buca delle lettere in cui si lasciavano le denunzie anonime indirizzate al "Consiglio dei Dieci".
A volte, però, la carica ricoperta dal diffamatore di professione lo costringeva a firmare i suoi scritti: il che gli permette quanto meno di "distinguersi", come nel caso di tale Francesco Merlo ("nomen, omen") che riceve l'imbeccata (o la inventa) dalle missive dei lettori de "La Repubblica". I quali assomigliano sempre più a quelli de "Il Popolo d'Italia" durante il "ventennio", costituendo la crema del regime.
Ieri si è fatto notare un "democratico" di Verona, che ha accusato il professor Barbero di esprimere dei "pareri che si basano su paure, sensazioni o peggio strumentalizzazioni". La firma apposta dall'illustre cattedratico in calce ad un documento critico nei riguardi delle note misure profilattiche si spiega soltanto - secondo il lettore de "La Repubblica" - con le "debolezze e le incoerenze della natura umana". Dalle quali sono viceversa immuni - per loro fortuna - i redattori del giornale di via Cristoforo Colombo. Secondo l'estensore della lettera, il professor Barbero sarebbe un caratteriale, se non un mentecatto. Quanto alla sua asserita "incoerenza", essa è presumibilmente dovuta al fatto che Barbero ha militato a lungo nelle fila della sinistra, e dunque lo si considera obbligato ad unirsi al coro diretto da Scalfari e da Draghi, simili al vecchio Hindenburg ed al giovane Ludendorff.
A questo punto, comunque, Merlo coglie l'occasione per coinvolgere nel suo disprezzo anche Cacciari, Agamben e Vattimo, difiniti ironicamente intellettuali della "vieux (sic) gauche". L'uomo parla francese "come una vacca spagnola": il sostantivo "gauche" è infatti di genere femminile, e quindi si dovrebbe dire "vieille gauche".
I redattori de "La Repubblica" fanno comunque parte della cosiddetta "gauche caviar", che si riunisce sulle "terrazze" di Roma per bere champagne (sostituito ultimamente dal più economico prosecco), in compagnia di donne di facili costumi. L'attrattiva per le "terrazze" ha contagiato anche la sponda destra del Tevere, al punto che la Chaouqui ne prendeva in affitto una affacciata su via della Conciliazione. Pare che quella di proprietà di Bertone, la più estesa dell'Urbe, non fosse disponibile: l'ex Segretario di Stato non è fesso.
Preso comunque dalla sua furia ideologica, Merlo perde i freni inibitori, ed accusa gli eretici di "fascisteria". Evidentemente, costui considera "fascista" chiunque dissenta da lui, e soprattutto dal nuovo "credere, obbedire, combattere", riflesso nelle misure profilattiche adottate da Palazzo Chigi con la benedizione del Quirinale. Si è ristabilito l'asse tra Montecavallo e Palazzo Venezia, dove il "duce" si era trasferito risultando Piazza Colonna troppo ristretta per contenere le adunate "oceaniche".
Merlo si lancia anche in un paragone tra l'esibizione del "green pass" e quella dei documenti di identità. "Comparatio claudicat", dal momento che il rilascio di tali documenti non è subordinato ad alcuna professione di fede ideologica. Lo scritto si conclude scaricando veleno sul "professore di politica" (Cacciari), sull' "intellettuale addestratore di statisti" (Agamben) e sui "grandi accademici architetti del pensiero" (categoria che comprende Vattimo): questi sono i giornalisti che accusano i "talebani" di reprimere la libertà di pensiero.
Merlo non include naturalmente nell'elenco i "redattori assunti con la raccomandazione dei fondatori". Intanto, Speranza minaccia gli italiani dicendo che il Governo è pronto ad introdurre il "green pass" obbligatorio. A parte il fatto che in uno Stato di diritto le leggi sono stabilite dal Parlamento, è tipico delle dittature inasprire la repressione quando si manifesta un dissenso. Mentre si accusano i "talebani" di attuare questa prassi, da noi la si proclama apertamente. Se una azione viene compiuta dai musulmani è cattiva, se invece la compiono gli agnostici è buona. Questo si chiama applicare la doppia morale: Scalfari potrebbe dedicare all'argomento una delle sue lezioni di filosofia etica.   

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Mario Castellano  12/09/2021
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