La mia più importante esperienza professionale è legata al periodo di sedici anni che ho trascorso a partire dal 1989, nel Nicaragua, ...
La mia più importante esperienza professionale è legata al periodo di sedici anni che ho trascorso a partire dal 1989, nel Nicaragua, Paese che considero come la patria di adozione. Il rapporto con questa nazione venne stabilito per via di due ricerche concomitanti. Da parte mia, desideravo compiere una esperienza di studio e di lavoro in America Latina, cioè nella parte del mondo cosiddetto "in sviluppo" per me più accessibile, già conoscendo perfettamente la lingua spagnola; da parte sua l'allora presidente della Corte Suprema di Giustizia, il professor Alejandro Serrano Caldera, essendo stato in precedenza ambasciatore in Francia, stava ricercando un giurista specializzato nel diritto pubblico disposto a farsi carico della formazione del personale amministrativo e della elaborazione della legislazione in questa materia, di cui il Nicaragua era carente.
Il contatto con le autorità del Paese di adozione venne stabilito grazie alla intermediazione della signora Maria Croce di Genova, responsabile della sezione ligure dell'associazione di amicizia tra l'Italia ed il Nicaragua. Per conferire alla missione scientifica cui mi accingevo le migliori garanzie di serietà, richiedemmo la collaborazione del professor Pier Giorgio Lucifredi, all'epoca direttore dell'Istituto di diritto costituzionale della facoltà di giurisprudenza dell'università di Genova, che ci permise di svolgere sotto il suo patrocinio un convegno di studi sul nuovo diritto della Repubblica del Nicaragua, risultato della rivoluzione sandinista del 1979. Il convegno si svolse con pieno successo, avendo acconsentito diversi studiosi di parteciparvi, recando ciascuno gratuitamente il proprio contributo, consistente nell'approfondimento della materia cui si riferiva la rispettiva specializzazione. Per l'occasione, venne a Genova lo stasso professor Alejandro Serrano Caldera, il quale svolse la relazione conclusiva. Essendo stata approvata la mia missione dalle competenti autorità del suo Paese, partii per Managua, dove venni accreditato quale unico cooperante presso la Corte Suprema di Giustizia. Il risultato finale e complessivo della missione scientifica si può riassumere in questi termini: la redazione del primo manuale di diritto amministrativo nicaraguense e comparato, uno strumento indispensabile per l'insegnamento che iniziai immediatamente ad impartire ai funzionari dello Stato: a tale riguardo, si deve considerare che la materia, pur essendo obbligatoria nel corso di laurea, non veniva insegnata nell'università di Managua ormai da cinque anni, avendo l'ultimo professore lasciato il Paese, dove infuriava la guerra civile tra i sandinisti e la cosiddetta "contra", sostenuta dagli Stati Uniti; la successiva redazione del primo trattato di diritto amministrativo comparato dei Paesi dell'America Centrale e del primo trattato di diritto amministrativo comparato dei Paesi dell'America di lingua spagnola, redatto in qualità di professore ospite presso l'università di Miami grazie all'aiuto che mi venne offerto dal preside della facoltà di giurisprudenza, il professor Keith Rosen, massima autorità scientifica internazionale in materia di diritto pubblico dell'America Latina.
Il risultato più importante ai fini dello sviluppo del Paese di adozione fu però l'opera di formazione del personale amministrativo, compresi gli alti gradi del commissariato militare, della intendenza militare e della polizia. Questa opera fu in seguito proseguita quando mi venne conferita dal rettore, sua eminenza Miguel Obando Y Bravo, la cattedra di diritto amministrativo presso l'università cattolica "Redemptoris Mater".
Dal punto di vista pratico, fin da quando avevo studiato il diritto pubblico del Nicaragua, essendomi fatto inviare le fonti in vista del convegno di Genova, mi resi conto della mancanza di una normativa generale tanto sull'atto amministrativo quanto sui ricorsi amministrativi quanto sulla condizione giuridica del personale dell'amministrazione pubblica. Non risultando naturalmente possibile fare entrare in vigore le norme necessarie per disciplinare una materia così ampia, mi dedicai a redigere presso la Corte Suprema il massimario della sua giurisprudenza. La Corte era anche infatti organo di unica istanza della giurisdizione amministrativa. Divenne così possibile usare - sia pure surrettiziamente - la giurisprudenza quale fonte del diritto in questa materia, permettendo quanto meno di fissare i criteri fondamentali in merito alla emanazione dell'atto amministrativo. Qui mi resi conto di una prima contraddizione tra i principi dichiarati nella Costituzione emanata dai sandinisti e la pratica giuridica. Quando la Corte affermava e ribadiva i criteri cui l'attività amministrativa avrebbe dovuto conformarsi, constatandone però la sistematica violazione da parte del Governo, non comunicava mai all'esecutivo a quali principi esso doveva rispettare.
Una analoga mancanza si sta constatando attualmente in Italia: la Corte Costituzionale non ha mai obiettato - anche a prescindere dall'instaurazione di un contenzioso di legittimità - l'uso improprio dei decreti del Presidente del Consiglio quali atti legislativi.
Quando il Presidente Daniel Ortega perse le elezioni, pretese di sottoporre a condizione la trasmissione del mandato, malgrado si trattasse di un atto dovuto. Rilevai in quel momento la violazione di un principio fondamentale del diritto pubblico, ma l'allora Presidente della Corte, Reyes Portocarrero, reagì affermando che un atto dovuto può essere condizionato. L'accettazione di tale criterio causò la perpetuazione della condizione di guerra civile in cui si trovava il Paese, che ha conosciuto di recente una ulteriore recrudescenza. La popolazione è infatti insorta quando il Governo ha preteso di stabilire il criterio in base al quale i lavoratori che abbiano maturato - in base ai criteri vigenti - il diritto al trattamento di quiescenza ne possono godere soltanto se esso viene riconosciuto discrezionalmente dallo stesso esecutivo. L'atto dovuto può dunque essere condizionato. La ripresa della guerra civile è dunque conseguenza della sovversione di un principio giuridico avvenuta molti anni or sono, e da me all'epoca rilevata.
Ora in Italia si sta commettendo lo stesso errore, quando si afferma - o si lascia affermare - un'altra sovversione di un principio giuridico, presumendo che ciò non produca - oltre alla evidente ingiustizia sostanziale - l'accensione di un conflitto civile. Che risulta invece purtroppo inevitabile.

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Mario Castellano  02/11/2021
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