"La Repubblica" ha assunto la stessa funzione di portavoce del Governo ...
"La Repubblica" ha assunto la stessa funzione di portavoce del Governo - e soprattutto del partito unico o egemone - cui adempiono gli organi ufficiali dei Paesi dominati da regimi totalitari. Tramontata definitivamente la "Pravda", rimangono "Il quotidiano del popolo" in Cina e "Granma" a Cuba. Chi risiede in queste nazioni, dovendovi svolgere funzioni di diplomatico o di corrispondente dall'estero, deve immancabilmente iniziare la sua giornata lavorativa consultando questi periodici. La domanda che ci si pone non è quasi mai se una notizia sia vera o falsa - l'informazione viene sistematicamente manipolata - bensì per quale motivo si racconta una particolare bugia in un dato momento. Quando poi il giornale ufficiale muove all'attacco di qualche malcapitato, si annunziano dei guai non soltanto per la sua persona, ma per una intera categoria. La cui consistenza risulta direttamente proporzionale alla virulenza ed alla gravità delle accuse. Il partito prese di mira la cosiddetta "Banda dei quattro", costoro vennero tacciati addirittura di fare seccare i raccolti agricoli, essendo motivati per giunta da pura malvagità. Non si comprende infatti quale vantaggio potessero trarre dalla carestia.
Ora "La Repubblica" prende di mira un dirigente dei "no vax" del Veneto. Il quale, essendosi recato in pellegrinaggio a Medjugorje per invoracvi l'aiuto della Madonna, ne è ritornato colpito dal contagio. Con questo apologo, il giornale di via Cristoforo Colombo intende additare al pubblico ludibrio in primo luogo quanti negano l'utilità del vaccino. Fin qui, poco male, trattandosi di una minoranza composta da pochi milioni di persone. Poco male fino a un certo punto: si comincia infatti con la demonizzazione e con la persecuzione di una categoria ritenuta esecrabile, ma poi si continua con chiunque si opponga al potere.
I presupposti di questa estensione della discriminazione sono d'altronde già contenuti nella sua prima manifestazione. Nel caso specifico, viene messa in questione l'utilità della preghiera, ed in genere delle pratiche devozionali. In seguito, si prende di mira lo stesso fondamento di ogni convinzione religiosa, non soltanto dei cattolici, ma anche di tutti gli altri credenti. A questo punto, le persone prese di mira dalla polemica si moltiplicano, fino a costituire la maggioranza dei cittadini. I quali vengono presentati come dei volgari superstiziosi, convinti che dalla trascendenza, della quale la propaganda ufficiale nega l'esistenza (non a caso, l'autore dell'articolo si dichiara ateo) possa venire un qualche soccorso. I credenti si rivolgono certamente a Dio per richiedere una grazia particolare, ma ci pare che il giornalista de "La Repubblica" confonda due categorie ben diverse tra loro, e cioè il soccorso ed il conforto. Nel primo caso, si spera di essere aiutati, mentre nel secondo caso viene impetrata la capacità di rassegnarsi ad un male ritenuto inevitabile, ma proprio per questo inserito in un ordine, in una visione del mondo.
Tacciare i credenti di superstizione, di arretratezza culturale, di ignoranza e di oscurantismo non costituisce soltanto una manifestazione di intolleranza. Questo atteggiamento denota la rimozione di un dato storico che dovrebbe ormai risultare evidente per tutti: la fede non porta necessariamente ad un atteggiamento di rassegnazione e di estraniamento dalle vicende collettive, ma al contrario induce i credenti ad impegnarsi per il bene del prossimo. Per rendersene conto, il collega de "La Repubblica" non deve recarsi a visitare un lebbrosario del Congo: gli basta andare alla mensa della Charitas. Di cui anche il nostro Governo ha sempre più bisogno per mantenere la coesione del tessuto sociale.
Intorno al 1978, avvennero due fatti che avrebbero dovuto aprire gli occhi a quanti ancora consideravano - e considerano tuttora - la religione come "l'oppio dei popoli". Uno fu la rivoluzione di Komeini, la prima suscitata nel "Terzo Mondo" da una ispirazione religiosa; l'altro fatto fu l'elezione di Giovanni Paolo II che mise a nudo il motivo per cui si era esaurita la "spinta propulsiva della rivoluzione di ottobre", rilevata non certo da qualche prelato, bensì da Enrico Berlinguer: era venuta meno la motivazione ideale, ed in particolare quel senso morale senza il quale non si intraprende nessun tentativo di cambiare la società. Vi sono certamente delle opzioni ideologiche da cui è lecito dissentire, ma chi semplicemente le disprezza perchè non condivide quanto esse propongono rischia di non capire che cosa sta succedendo. A questo punto, però, la gente come il giornalista de "La Repubblica" conclude che se la realtà non coincide con il suo schema, non è sbagliato lo schema: è sbagliata la realtà.
Ci è capitato nei giorni scorsi di parlare a Sanremo davanti ad una piazza piena di giovani. Può essere che abbiamo detto delle cose sbagliate, e che abbiano sbagliato quanti le hanno condivise. Attendiamo però dai nostri contraddittori una confutazione basata sulla ragione e sui fatti, non sulla antipatia personale o sulla ideologia. Anche ammesso, però, che venga dimostrato il nostro errore, il giornalista de "La Repubblica" dovrebbe domandarsi perchè i dirigenti del partito democratico di Sanremo non riescono a riempire neanche un salone parrocchiale. Forse perchè i loro predecessori del partito comunista si erano a lungo impegnati a discutere sulla ripartizione dei guadagni del Casinò. Per cui i loro successori non sono più in grado di esprimere l'identità della nostra gente. Quelli che vanno in pellegrinaggio a Medjugorje la capiscono meglio di loro, anche se sbagliano quando pretendono di costituire uno Stato confessionale. Costoro hanno però un seguito in quanto esiste tra loro e la gente comune un "idem sentire", basato sulla condivisione del passato e sulla speranza nel futuro.
Il nostro Governo, ed i giornali che lo sostengono, vogliono invece liquidare l'eredità del passato considerandola superstizione, mentre non propongono - per costruire il futuro - uno sforzo solidale, ma soltanto l'adesione coatta ad un ordine imposto e non motivato da alcun ideale condiviso.