Palmiro Togliatti si macchiò del torto storico di avere ridotto la tattica ...
Palmiro Togliatti si macchiò del torto storico di avere ridotto la tattica, a mero espediente elettoralistico. Il grande progetto gramsciano dell'egemonia ed il risultato di questo svilimento portò - dopo gli effimeri fasti degli Anni Settanta - al fallimento storico del suo partito. Se infatti l'egemonia consiste nella capacità di interpretare e rappresentare l'interesse generale, il compito di una forza politica non consiste nel fare la somma aritmetica dei motivi di malcontento, bensì nel compierne la sintesi. Che è mancata a livello nazionale, ma è invece riuscita in alcune realtà regionali, cioè in Emilia ed in Toscana. Dove il partito ex comunista che altrove si è ridotto alla rappresentanza dei dipendenti pubblici - e cioè dei garanti - ha assunto la guida dei ceti produttivi. E, di conseguenza, ha vinto le elezioni.
Landini viene porecisamente dall'Emilia, ma non incarna il tipo del dirigente delle cooperative risalenti a Camillo Prampolini. Gli manca la cultura (non parla correttamente l'italiano come Di Maio), ma soprattutto risulta sprovvisto della capacità di mediazione, indispensabile per costruire le alleanze. Più che esprimere il "popolo grasso" delle regioni rosse, l'uomo appare come un tribuno della plebe, un rappresentante dei ceti emarginati dal punto di vista culturale e sociale, un Masaniello condito - anzichè con le "vongole veraci" - con il sugo alla bolognese. L'uomo non parla: ringhia come un mastino, non ragiona come un professore della dotta Bologna; inveisce con rabbia. Se consideriamo che il movimento dei lavoratori italiano ha alle spalle più di un secolo e mezzo di storia, chi osserva il segretario della sua gloriosa confederazione ne ricava l'impressione che la storia abbia compiuto un grande passo indietro.
Ora Landini indice lo sciopero generale. Si tratta di una decisione che dovrebbe fare "tremare le vene e i polsi", ricordando come l'averla presa in modo avventato nel 1919 portò la classe operaia alla sua sconfitta più disastrosa, aprendo la strada della conquista del potere da parte del fascismo. L'errore consistette nel non definire gli obiettivi della agitazione, che non furono nè rivoluzionari, nè riformisti.
Anche negli Anni Settanta vennero proclamati degli scioperi generali, ma subito dopo si impiegava il consenso, dimostrato dai lavoratori al sindacato per ottenere il massimo delle concessioni nelle trattative con il Governo. Draghi non è invece disposto nè a negoziare, nè a fare concessioni. La funzione che gli è stata attribuita è infatti contraria rispetto a quella dei predecessori, che dovevano ampliare la base del consenso, mentre l'attuale Presidente del Consiglio deve instaurare un regime autoritario. Lo sciopero generale cambia dunque natura: non si inquadra in una strategia riformista, bensì in una prospettiva "rivoluzionaria".
Nel 1919, ci si illudeva di "fare come in Russia", mentre le lotte degli Anni Settanta contribuivano, proponendosi degli obiettivi riformisti, al processo di revisione ideologica. Che ha portato, compiendosi, i "democratici" a sostenere Draghi, mentre Landini - rimanendone estraneo - si è fermato al 1919. Malgrado dunque la sua sede sia stata attaccata dai fascisti, il segretario confederale procede verso il connubio tra i sovversivi "di destra" e "di sinistra". Che intanto possono convergere in quanto i loro rispettivi piani di azione risultano privi della parte "construens". Un tempo, si sarebbe detto che "gli estremisti toccano": il malcontento sta generando una violenza di piazza cronicizzata, che non è però in grado di abbattere il sistema. A questo esito Landini porta il suo contributo consapevole o inconsapevole? Non spetta a noi pronunziare dei giudizi morali, ma possiamo esprimere una valutazione di ordine politico. Anche al tempo di Di Vittorio, il sindacato era diretto da comunisti, ma già tendeva a rifiutare il ruolo di "cinghia di trasmissione" del partito, ed a porsi nei suoi confronti in un rapporto dialettico, ma costruttivo. Una forza di ispirazione riformista non può naturalmente aderire al disegno di Draghi e del suo Governo, ma scatenando la piazza, diretta per giunta da soggetti di origine e di tendenza completamente diverse rispetto a quelle proprie del movimento dei lavoratori.
I "no vax" e Draghi procedono entrambi verso uno scontro che conduce verso la rottura dei rapporti civili stabiliti nel dopoguerra. Landini ha scelto da che parte stare, ma non sembra minimamente preoccupato dal fatto che la sua proposta risulti priva di una parte "construens": nè l'uomo possiede la cultura ed il prestigio necessari per elaborarla e per imporla ad un movimento che comunque la rifiuterebbe. Tanto più in quanto verrebbe "da sinistra". Di Vittorio si sta rivoltando nella tomba.

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Mario Castellano  17/12/2021
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