Che nell'ambito del gruppo editoriale G.E.D.I. si facciano figli e figliastri ...
Che nell'ambito del gruppo editoriale G.E.D.I. si facciano figli e figliastri, e che tra i figli figuri "La Stampa" di Torino (appartenente da ben più tempo alla famiglia Agnelli), mentre viene relegata tra i figliastri "La Repubblica", ormai destinata come "Il Secolo XIX" di Genova, a divenire una semplice edizione regionale, lo si sapeva da tempo, ma ne viene una ulteriore conferma dal fatto che soltanto su "La Stampa" siano apparsi sabato scorso due "paginoni" dedicati all'ultimatum (così lo definisce Anna Zafesova) intimato da Putin all'Occidente, del tutto ignorato invece da "La Repubblica". Questa gloriosa testata è ormai divenuta l'equivalente degli organi ufficiali di regime, dediti - come a suo tempo "Il Popolo d'Italia" e "La Pravda" - ad incensare i suoi dirigenti e le sue opere.
La notizia, però, è molto importante, tale che la sua omissione rivela nei redattori di un giornale una ben scarsa professionalità. Tanto più che si accompagna con quella dell'arrivo di altre truppe sul confine dell'Ucraina. Putin - scrive la Zafesova - ha formulato "una proposta fatta per venire rifiutata", secondo una "vecchia tecnica della diplomazia sovietica". Essa infatti non comporta soltanto la garanzia che l'Ucraina rimanga fuori dall'Alleanza Atlantica: questo è negoziabile, anche se Biden dice che l'America non può determinare la politica estera di un altro Stato. Il Presidente della Russia chiede anche che le armi offensive collocate dopo la caduta del Muro ad oriente della ex "cortina di ferro" vengano ritirate. Se ciò avvenisse, i Paesi dell'Europa orientale si riterrebbero abbandonati e traditi, e la stessa garanzia data dagli Stati Uniti all'Europa occidentale con la costituzione della NATO verrebbe messa implicitamente in dubbio.
Il "clou" della proposta di Putin consiste però nella uscita formale dei Paesi dell'Est dal Patto Atlantico. Qui si passa dalla inaccettabilità alla provocazione. Supponiamo, tuttavia, che gli occidentali si pieghino all'ultimatum di Mosca. La Russia cesserebbe a questo punto di essere una potenza regionale - quale è diventata in sostanza dal 1989 - per ridivenire una potenza globale, e l'intero equilibrio mondiale ne risulterebbe modificato.
Se la vecchia "guerra fredda" era una guerra di posizione, cui fece seguito una guerra di movimento, che ha fatto avanzare l'Occidente dall'Elba fino al Don, la Russia rovescerebbe questa tendenza strategica, ritornando quanto meno sulla linea dell'Oder-Neisse. Si riproporrebbe la prospettiva fantapolitica dell'Armata Rossa capace di arrivare fino a Lisbona. Nel frattempo, Putin fa comunque tutto quanto gli permette l'evoluzione del rapporto di forze, riportando il confine occidentale della Russia fino sul Niepro, e minacciando l'Europa di rimanere paralizzata e congelata. Siamo ripagati con la stessa moneta che abbiamo usato dal 1989. Durante la "guerra fredda", le possibilità per i sovietici di destabilizzare l'Occidente erano affidate soltanto ai partiti comunisti. Quanto poco i dirigenti di Mosca contassero su questa risorsa, risultò chiaro nel 1968 e negli anni seguenti: il movimento insurrezionale degli studenti francesi venne scomunicato per le sue deviazioni dall'ortodossia ideologica, e Berlinguer - per non essere sospettato di turbare gli equilibri di Yalta - rifiutò di spendere il suo consenso elettorale per realizzare una alternativa socialdemocratica.
Oggi, diversamente da allora, la Russia non ha più nulla da perdere, avendo dovuto abbandonare il luogo stesso dove il battesimo di Vladimiro segnò l'inizio della sua vicenda nazionale, e si affida alla rivendicazione territoriale fondata su basi storiche, culturali e religiose.
In Ucraina ci sono molti russofoni da "redimere", e lo stesso Putin firma un saggio storiografico lungo ed erudito per dimostrare che comunque la nazione Ucraina non esiste. Il problema, dal punto di vista del diritto internazionale, è mal posto: quanto conta - per determinare lo "status" giuridico di un territorio - è soltanto la volontà dei suoi abitanti.
Anche Erdogan afferma che i curdi non esistono, e Franco sosteneva che non esistevano i baschi ed i catalani. Tutti costoro, dal punto di vista del diritto, esistono in quanto rivendicano il diritto alla autodeterminazione. Dato dunque che si è in presenza di un dialogo tra sordi, l'invasione avverrà, e si spingerà fin dove lo permetterà il rapporto di forze: che cosa sono d'altronde i confini se non dei fronti di guerra che non si possono più spostare?
Mentre a Bruxelles i dimostranti assaltano la sede dell'Unione Europea, a Torino innalzano le bandiere sabaude: non perchè rivendichino la restaurazione della monarchia, bensì in quanto aspirano alla indipendenza del Piemonte. Il loro slogan è "ci pensiamo noi". Si tratta di una consegna difficile da decifrare. Che cosa significhi realmente, lo diranno gli sviluppi futuri del movimento. Per ora, registriamo la presenza delle bandiere degli "antichi Stati", e l'assenza tanto delle bandiere rosse quanto di quelle italiane. Appartengono al Novecento. Appartengono al passato. 

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Mario Castellano  31/12/2021
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