Quando cominciammo a ricevere delle minacce da parte della camorra,...
Quando cominciammo a ricevere delle minacce da parte della camorra, dovute al nostro impegno a fianco del compianto Padre Fidenzio Volpi, volto a depurare un settore della Chiesa dalle infiltrazioni della "criminalità organizzata", la prima preoccupazione, essendo posti davanti alla prospettiva concreta di una morte violenta ed improvvisa, fu quella di compiere la "confessione generale". Padre Volpi, dopo averci assolti dei nostri peccati, andò per primo all'incontro con Dio, ma ci lasciò con i bagagli pronti per intraprendere il viaggio a nostra volta, ed è questa per noi la sua eredità più preziosa.
Molto tempo prima, eravamo stati testimoni di un episodio che manifestava l'importanza - come anche l'utilità per la convivenza tra le persone - del sacramento detto non a caso "della penitenza". Durante la campagna elettorale che portò nel Paese di adozione alla effimera sostituzione del Presidente Ortega, un alto ufficiale della polizia politica aveva minacciato un sacerdote. Il vescovo di Leòn, Monsignor Barni, convocò il responsabile, confidando soltanto nella propria autorità spirituale e morale, e gli ricordò energicamente che si trovava in peccato mortale: per cui, se fosse morto impenitente, sarebbe andato all'inferno "con le scarpe" (tale fu l'espressione testuale usata dall'alto prelato). Barni era originario di Monza, e questo accentuava le riminiscenze manzoniane suscitate dall'episodio. L'ufficiale riconobbe e confessò il proprio peccato, e così ottenne l'assoluzione.
Nel Paese di adozione, abbiamo visto commettere molte gravi violazioni della legge di Dio, ed in particolare del quinto comandamento. Esiste però, fortissimo, il senso del peccato, che invece da noi è venuto meno. In quel Paese vi sono dunque certamente degli immorali, mentre qui abbiamo gli amorali. Ciò spiega perchè laggiù si pratica ancora la confessione, che da noi è passata di moda. Forse la diffusione della miseria, e la prospettiva di un ritorno alla violenza, per motivazioni politiche e sociali, riporterà a sentire di nuovo bisogno di confessarsi.
I giovani sono portati naturalmente alla intuizione, ed appunto un giovane e brillante studioso di scienze religiose - il nostro concittadino Matteo Vinai - si è reso conto di questa prospettiva. Egli ha quindi dedicato al sacramento della penitenza un saggio molto approfondito, pubblicato con la bella prefazione di un altro compaesano, Monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia.
L'autore prende le mosse da una intenzione pratica e modesta, che consiste nello spiegare a chi sia profano di teologia a che cosa serve confessarsi. In apparenza è un poco come spiegare a che cosa servono e come si impiegano le cose di uso comune. Il testo giunge a proposito, perchè la maggior parte della gente non lo sa più. Per quale ragione? Perchè il peccato costituisce per l'appunto una trasgressione della legge di Dio. Se però si parte dal presupposto che Dio non esiste, la sua legge non è più in vigore. Dilaga dunque non soltanto il peccato, ma anche - quanto è ancora peggiore - si diffonde l'incoscienza di quanto esso sia grave.
"Se Dio non esiste, tutto è possibile", e cioè tutto è lecito, come scrisse Dostoevskij. Il quale testimoniò nelle sue opere di una società in cui era forte il peccato, e non a caso il grande scrittore descrisse nelle sue opere il peccato più grave, cioè l'omicidio. Se però in quella società c'era l'immoralità, non c'era l'amoralità. Il peccato è inestirpabile, ma si tratta di una malattia dell'anima che come tale deve essere conosciuta e contrastata.
Molti sacerdoti, che esercitano la "cura delle anime", e dunque sono i loro medici, hanno rinunziato purtroppo a fare il loro mestiere. Vinai, in quanto laico, risorda loro quanto sia necessario questo mestiere, e dunque bisogna chiedere con forza che venga ancora esercitato.
Matteo Vinai, Il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione. Palumbi editore, Teramo, 2021, pagine 192, Euro 12.   

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Mario Castellano  5/1/2022
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