Il Professor Massimo Cacciari, intervenendo su “La Stampa” di Torino del 28 aprile, afferma giustamente che la nostra Europa è “vicina al tramonto”.
L’analisi dell’ex Sindaco di Venezia si può sintetizzare in questo modo: un tempo, la vitalità della democrazia liberale si fondava non solo e non tanto sulla vigenza delle libertà dette “borghesi”, ma soprattutto sul fatto che esse risultavano corredate da una certa misura di giustizia sociale.
Ora la Sinistra, cui certamente va riconosciuto il merito di avere instaurato il “welfare”, assiste apparentemente rassegnata alla sua distruzione.
Noi ci permettiamo, in considerazione dell’esperienza specifica della nostra Regione e della nostra Città, di essere possibilmente ancora più severi del Professor Cacciari.
Dalle nostre parti, la cosiddetta “Sinistra” non muove un dito neanche davanti alla fine dell’economia manifatturiera, che ha costituito a suo tempo la base sociale di questa parte politica: oltre ad essere, naturalmente, anche la fonte di quel reddito che attraverso lo Stato sociale veniva redistribuito.
Quando il “Governatore” Burlando mena vanto di avere trasformato l’intera Liguria in un unico grande scalo turistico, riconosce di avere contribuito a distruggere la nostra economia industriale, portuale e peschereccia.
Quando il Partito ex comunista incarica il proprio commercialista di riferimento di chiedere che la chiusura dell’Agnesi venga anticipata, anziché postergata, per fare posto all’ennesimo “residence” (comunque mai costruito), nega la stesa ragion d’essere del Movimento dei Lavoratori.
Da tutto ciò deriva inevitabilmente il commissariamento, a livello nazionale, del nostro sistema rappresentativo, avvenuto – annota Cacciari – “con i Ciampi, i Dini, i Monti e i Draghi”.
Secondo il Professore, gli elettori evitano addirittura di far vincere i partiti anti sistema proprio per evitare questo esito.
In Francia, dunque, la Le Pen non ha prevalso in quanto un suo eventuale successo avrebbe causato una sorta di colpo di Stato, come quello consumato in Italia quando Draghi è stato incaricato dai cosiddetti “Poteri Forti” di mettere fine alla demagogia dei “Pentastellati”.
Non abbiamo d’altronde perduto granché, essendo stato defenestrato un Governo che festeggiava “l’abolizione della povertà” mediante un apposito Decreto, che aveva incluso nella sua ideologia ufficiale l’esistenza delle “scie chimiche” (!?) e che mandava la nave oceanografica della Marina Militare a cercare le Sirene nel Mediterraneo.
I seguaci di Grillo si sono comunque prontamente ravveduti, come dimostra la parabola di Di Maio.
La situazione, secondo Cacciari, è dunque simile a quella della “guerra fredda”, quando la sola possibilità che in Grecia la Sinistra vincesse le elezioni causò l’instaurazione del regime dei Colonnelli.
Draghi, in fondo, è un Colonnello in borghese.
La conseguenza di questo commissariamento della democrazia causa però – avverte giustamente Cacciari – la progressiva distruzione dello Stato sociale, che determina a sua volta l’aumento drammatico delle sperequazioni tra il Nord ed il Sud dell’Europa: come pure tra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale.
Questa tendenza produce però anche – ci permettiamo modestamente di aggiungere - la sempre minore attrattiva esercitata dalla democrazia liberale al di fuori dell’ambito – a sua volta ogni giorno più ristretto – dell’Occidente.
Questo spiega perché il Terzo Mondo – più a livello popolare che a livello di classi dirigenti – parteggia per Putin, malgrado che l’uomo del Cremlino abbia sfacciatamente violato il Diritto Internazionale: la ragione giuridica e la ragione politica non necessariamente coincidono, come insegna tra l’atro la Guerra di Secessione negli Stati Uniti d’America.
Anche qui c’è un precedente storico: pare che Krusciov abbia invaso l’Ungheria perché Mao Tse Tung lo accusava di essere acquiescente nei confronti della destabilizzazione del “sistema socialista” intrapresa dall’Occidente.
Putin, invece, non ha atteso che gli altri autocrati extra europei lo esortassero ad intervenire in Ucraina, ed anzi si è collocato alla testa di una sorta di Crociata contro le democrazie liberali: che egli, d’altronde, ripudia espressamente, con l’avallo del Patriarca di tutte le Russie.
Siamo sicuri che le sue “Quinte Colonne” non siano già “intra moenia”?
Non alludiamo ai calzolai marchigiani, innalzati allo scomodo ruolo di traditori della Patria.
Ci riferiamo piuttosto ai comuni cittadini.
Non è vero che tutti gli elettori francesi della Le Pen siano dei “fascisti”, come non è vero che tutti gli elettori di Mélenchon siano dei “comunisti”.
È vero piuttosto che gli uni e gli altri – da una parte i piccoli borghesi di provincia, dall’altra i giovani di origine araba della “banlieue” – cercano chi rappresenti le loro rispettive identità ed i loro rispettivi interessi.
Se questa rappresentanza non viene più esercitata nelle Istituzioni repubblicane, i fenomeni come la rivolta dei “Gilets jaunes” e quella delle periferie sono destinati a degenerare in guerra civile.
In Italia, il Meridione guarda sempre più verso i referenti culturali e ideologici – forse anche religiosi – extraeuropei.
I De Luca, gli Emiliano, i Musumeci ricordano i capi delle Repubbliche sovietiche dell’Asia, i quali si proclamavano incondizionatamente fedeli al Partito, ma nello steso tempo preparavano l’avvento delle loro satrapie.
Roma, da parte sua, fa tutto il possibile per incoraggiare simili tendenze.
Quando il Consiglio Regionale della Liguria approvò – con voto “bipartisan” – la richiesta di uno Statuto Speciale, partì per la Capitale una sua sterminata delegazione.
I funzionari di Palazzo Chigi rifiutarono di entrare nel merito delle nostre richieste.
Una volta, Emiliano si recò a sua volta a Roma, dove aveva appuntamento con Renzi, il quale però non lo volle ricevere.
C’è tuttavia una differenza: i Settentrionali abbaiano, i Meridionali mordono.
Comunicando con un nostro amico, alto prelato del Vaticano, ci è capitato di ricordare come il Papa, appena eletto, fosse andato dapprima a Lampedusa per rendere omaggio ai “Terzomondisti” periti nella traversata nel Mediterraneo (secondo Salvini, caduti nell’invasione dell’Europa), e subito dopo a Cagliari, per esortare i Sardi a combattere il colonialismo italiano.
All’epoca, definimmo il suo discorso “bolivariano”.
La Chiesa, come sempre, vede più lontano.

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Mario Castellano  1/5/2022
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