“La Repubblica” spreca fiumi di inchiostro per domandarsi se la Meloni sia fascista...
“La Repubblica” spreca fiumi di inchiostro per domandarsi se la Meloni sia fascista, e giunge alla conclusione che in effetti si tratti di una nostalgica del regime di Mussolini, in quanto rifiuta di togliere la fiamma dal simbolo del suo Partito.

Ci fu un tempo in cui la cultura liberaldemocratica di Sinistra – la cui intellettualità si riuniva ne “Il Mondo di Pannunzio, palestra del giovane Scalfari – sapeva esprimere molto di meglio rispetto a simili questioni di lana caprina.
La Russa ha avuto buon gioco a ricordare come il marito della Senatrice Segre non abbia trovato nulla da ridire candidandosi per il Movimento Sociale quando questo Partito era ancora dichiaratamente neofascista.
Putin permette ai reduci della “Grande Guerra Patriottica” di sfilare nell’anniversario della Vittoria dietro alla bandiera rossa.
Non vi è alcun dubbio sul fatto che si tratti di un autocrate, ma non vi è neanche alcun dubbio sul fatto che la sua dittatura abbia un fondamento ideologico completamente diverso da quella comunista.
Ciò non impedisce però ai liberaldemocratici occidentali di condannarlo.
La Meloni è un soggetto pericoloso per la democrazia italiana proprio in quanto NON si tratta di una fascista, né di una neofascista.
Questa ragazza delle borgate di Roma è cresciuta in un ambiente settario, e dunque autoreferenziale, che certamente proveniva delle nostalgie del passato regime, ma ha finito per elaborare una propria diversa ideologia, per quanto rozza e raccogliticcia.
Noi dubitiamo che la prossima inquilina di Palazzo Chigi abbia mai letto i grandi autori della cultura tradizionalista europea, da Céline a Junger: tanto meno Joseph De Maistre o Monaldo Leopardi, e neanche i loro epigoni come De Benoist e Tarchi.
La sua conoscenza teorica non va oltre un modesto divulgatore quale è stato Pino Rauti, ma le certezze che la Meloni ha tratto dalle proprie frequentazioni intellettuali sono tanto solide quanto è limitato il “background” culturale su cui si appresta a fondare l’azione di governo.
La quale sarà basata essenzialmente su tra cardini.
Il primo dei quali è costituito dal confessionalismo cattolico.
Ci domandiamo perché i redattori de “La Repubblica” si accaniscano nell’inquisire la Meloni in merito al superamento del fascismo quando tra i molti e variopinti movimenti coalizzati nella Destra figura il Partito di Lupi, che espressamente si propone di edificare un regime – per l’appunto – confessionale.
Certamente, la Meloni non abrogherà la legge sul divorzio, limitandosi forse a restringere – sull’esempio di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti – la possibilità di abortire.
Il Diritto - inteso quale “jus condendum” – deve però adeguarsi al mutare delle esigenze sociali.
Dinnanzi alle quali, il legislatore può assumere due atteggiamenti contrapposti: uno consiste nell’adeguare la norma dello Stato al precetto religioso, l’altro nel considerarla da esso completamente svincolata, con particolare riguardo al tema dei diritti personali.
Il Fascismo non restaurò il Foro Ecclesiastico, né ristabilì il Potere Temporale.
Tuttavia, nel momento in cui affermava, con il primo articolo del Concordato, che “la Religione Cattolica è la Religione Ufficiale dello Stato” trasformava l’Italia in uno Stato confessionale.
La Meloni si appresta a compiere questa stessa operazione, in quanto il nostro ordinamento giuridico si conformerà dunque da ora in poi precisamente con il precetto religioso.
In secondo luogo, la Meloni ha dichiarato nel modo più solenne, parlando in Spagna, che rinnega ed avversa le autonomie locali: le quali saranno dunque sistematicamente ristrette, anche laddove il suo Partito esprime il Sindaco o il Governatore.
Il motivo di questa scelta è semplice: conta soltanto l’identità nazionale, mentre quelle minoritarie – nonché le sue stesse varanti, coincidenti con la molteplicità dei campanili – sono considerate alla stregua di un fenomeno eversivo.
Putin afferma che i Ceceni non esistono, ed Erdogan asserisce che non esistono i Curdi.
Franco, a sua volta, negava l’esistenza dei Catalani e dei Baschi.
In terzo luogo – sempre parlando in Spagna – la ragazza delle borgate ha detto chiaramente che intende criminalizzare ogni forma di dissenso.
Una volta, in un Congresso della Democrazia Cristiana, un parlamentare della Destra di questo Partito – tale Costamagna di Torino – criticò Andreotti, all’epoca Presidente del Consiglio, perché il cortile di Palazzo Chigi era perennemente occupato da delegazioni di manifestanti, intenti a protestare per le più diverse situazioni di disagio sociale.
Il “Divo Giulio” gli rispose che tale era il suo vanto, in quanto manifestava una comunicazione non interrotta con il Paese reale.
Che cosa deve fare un governante se non tentare di risolvere i suoi problemi, e parlare per questo con quanti li esprimono?
La Meloni non intende usare il metodo del confronto, del dialogo, del negoziato, bensì ricorrere a sistemi autoritari, ed ha il pregio di dirlo chiaro: come dice altrettanto espressamente di volere un regime confessionale e centralistico.
Ciò significa che saranno emarginati – se non perseguitati – i non credenti, i diversamente credenti, i cattolici liberali, quanti appartengono a minoranze linguistiche o comunque si ostinano a difendere le Autonomie Locali: oltre – naturalmente – ad ogni sorta di protestatari.
Questo non è il fascismo storico, ma è una nuova forma di autoritarismo identitario.
Se comunque la Sinistra aveva veramente a cuore l’antifascismo, non doveva mancargli di rispetto, identificandolo con il commercio di selvaggina.

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Mario Castellano  16/8/2022
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