Quanto abbiamo detto martedì scorso a Nizza, parlando con il nostro interlocutore francese, si è puntualmente riflesso ...
Quanto abbiamo detto martedì scorso a Nizza, parlando con il nostro interlocutore francese, si è puntualmente riflesso nell’editoriale, apparso su “La Repubblica” del giorno successivo a firma di Bernard Henry Lévy: il quale non è soltanto il più rappresentativo “maitre à penser” in servizio permanente effettivo attualmente attivo sulle rive della Senna, ma è anche l’ispiratore di tutte le prese di posizione concepite nel campo della politica estera dai diversi Presidenti della Francia: a cominciare dall’intervento contro Gheddafi per arrivare al sostegno offerto agli afgani contrari ai “Talebani”, per finire con l’appoggio – risultato ben più efficace – alla resistenza degli Ucraini.
Ora Lévy prende posizione – per nostra fortuna – contro la Meloni, ed il suo governo prossimo venturo: cui viceversa altri illustri collaboratori del giornale di via Cristoforo Colombo offrono inopinate aperture di credito, forse sperando che il suo Esecutivo non mandi in redazione gli Ispettori del Ministero del Lavoro.
Ciò costituisce invece il proposito dichiarato dei “Fratelli d’Italia”: i quali hanno la memoria lunga, e non dimenticano la demonizzazione lungamente subita nel nome dei “Valori della Resistenza”.
Come diceva un vecchio Professore di Diritto delle nostre parti, quando si conducono delle battaglie politiche, bisogna avere il culo pulito: il che significa non essere da alcun punto di vista ricattabili.
Lévy vive ed opera però – per sua e nostra fortuna – al di là delle Alpi, ove gode del supporto, ampiamente meritato, tanto del Quay d’Orsay quanto del “Deuxième Bureau”.
Se fossimo nei panni della Meloni, cui sicuramente il competente Ufficio Stampa – tanto solerte da farla passare per una grande poliglotta – ha evidenziato l’articolo del pensatore parigino, ci preoccuperemmo.
In sostanza, Lévy annunzia una campagna volta a far erigere contro l’Italia, se governata dall’estrema Destra, un cordone sanitario.
Egli afferma infatti di non essere affatto convinto delle affermazioni, reiterate dalla futura Presidente del Consiglio, secondo cui la pescivendola romanesca avrebbe essudato il suo originale neofascismo.
Non ocorre d’altronde per questo fare dell’archeologia, riesumando vecchie interviste: il folcloristico Michetti, imposto dalla Meloni come candidato a Sindaco di Roma, ha affermato in campagna elettorale che l’Olocausto è stato inventato di sana pianta dagli Ebrei, i quali avrebbero fatto credere a questa bugia grazie al loro asserito controllo sulle banche.
Rispetto a tali affermazioni, la Meloni non ha espresso neanche il più blando dissenso.
Se questa Signora non è ella stessa antisemita – non si è ancora riusciti a captare nessuna asserzione che attesti tale atteggiamento – nel suo “entourage” quanti odiano gli Ebrei sono di casa.
Ciò che tuttavia preoccupa i nostri amici di Nizza non è tanto il neofascismo, comunque mai effettivamente superato, quanto piuttosto la radice autoritaria inestirpabile della Meloni, il suo radicamento in una identità “terzomondista” che rende impossibile il dialogo e la comprensione – per non parlare della collaborazione – con chi viceversa si è alimentato di una cultura politica completamente diversa, e cioè quella liberaldemocratioca dell’Europa Occidentale.
Nei giorni prossimi – ci ha annunziato il nostro interlocutore nizzardo – Macron andrà dal Papa, come volendo portare per l’ultima volta un messaggio personale prima che le visite a Roma divengano imbarazzanti: se si va soltanto in Vaticano, si offende l’Italia, ma l’interlocutore di Palazzo Chigi diviene impresentabile.
Il Presidente sarà accompagnato non già dal Cardinale Primate – la “République” non deflette mai dal suo laicismo – bensì dal Rabbino Capo di Francia.
Il messaggio implicito in questo gesto risulta molto chiaro: la Santa Sede può trovare un “modus vivendi” con l’altra sponda del Tevere, ma mai a spese della Comunità Israelitica: che non è tutelata soltanto dallo Stato di Israele, bensì anche da tutto l’Occidente.
Adesso ci si spiega perché i suoi dirigenti di Roma insistano tanto nel ricordare il silenzio di Pacelli su quanto avvenne nell’ottobre del 1943: un atteggiamento simile, se dovesse ripetersi nel futuro, non verrebbe considerato prudente, bensì complice.
Per quanto riguarda in particolare i rapporti frontalieri, abbiamo concordemente ricordato ciò che avvenne quando Salvini tentò di riprendere la politica fascista dei “cannoni a Ventimiglia”: la mafestazione dei Sindaci, indetta dal Primo Cittadino di Nizza davanti al monumento a Garibaldi, affermò chiaramente che né dall’una, né dall’altra parte del confine si è disposti a ridiscutere quanto fatto a partire dal 1945 al fine di cancellarlo.
Non a caso, Lévy ha ricordato nel suo articolo il Trattato del Quirinale, che costituisce un capolavoro della diplomazia transalpina.
Può essere – questo è il timore che abbiamo espresso apertamente – che la prostrazione sociale in cui versa il popolo italiano non gli permetta di reagire alla nostra imminente deriva autoritaria.
Se però questa tendenza dovesse assumere anche le caratteristiche di una accentuazione centralista, privando i nostri Enti Locali della possibilità di sviluppare – come hanno sempre fatto – una lorto “politica estera”, la Francia è pronta a svolgere in nostro favore la funzione di “Potenza Protettrice”: tale è infatti precisamente il ruolo che le conferisce, sia pure non espressamente, il Trattato, firmato da Macron e da Mattarella come a voler conferire a tale atto il massimo della solennità.
Contro il suo contenuto, la Meloni, non a caso, si è scagliata con veemenza, facendo trapelare l’intenzione di non rispettarlo.
Occorre però che le nostre popolazioni facciano sentire alta e chiara la loro voce, in quanto l’estrema Destra avversa la prospettiva di aggregare Nizza, Imperia e Cuneo in una nuova entità trasfrontaliera, nella visione di una Europa che superi progressivamente gli Stati Nazionali.
Di questo parleremo – se ne avremo l’opportunità – con le Autorità di Nizza e della sua Regione.
Il Sindaco – e Presidente Delegato – Estrosi non dimentica l’origine italiana, né la sua eredità morale antifascista.
Che, modestamente, ci accomuna.
Sappiamo dunque di trovare in lui un interlocutore particolarmente partecipe e sensibile alle nostre ragioni.